La crisi e la tascida - di Giusi Buttitta

La crisi e la tascida - di Giusi Buttitta

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La crisi e la tascida – I dati, i numeri, la depressione economica, le statistiche, le curve dei grafici che sembrano aver fretta solo di sprofondare. Sempre più giù. E poi, ci sono le sensazioni, le percezioni, il clima. Un pomeriggio al Corso Umberto, dentro questa estate apatica. Pure lei. Cammini lentamente, cerchi qualcosa, non si sa bene cosa, shopping abulico, poi rallenti, alzi la testa, ti guardi intorno, afferri un frammento di un quadro di insieme, metti in fila piccoli segnali di cedimento, li addizioni, tiri le somme e ne viene fuori una piccola catastrofe. Serie di esercizi commerciali chiusi, interrotte qua e là, da piccoli esercizi commerciali di cianfrusaglieria assortita, questi, invece, ancora aperti, e poi qualche altro esercizio commerciale che viene dal passato, testimone di una Bagheria che qualche decennio fa, ad un certo punto, ci apparve quasi opulenta. 

Un significativo livello di sporcizia ammanta l’ambiente, come se fosse nebulizzato nell’aria, mi soffermo ancora davanti alle vetrine di qualche negozio che vende oggetti a buon mercato. Investimenti limitati. Pochi spiccioli e via, e metti su un’attività. Si respira difficoltà.

Sia chiaro, prima che qualcuno abbia da ridire, nulla contro nessuno, ci mancherebbe, si tira su quello che si può, quello che è interessante evidenziare è il settore commerciale come termometro, mentre le attività legate ad un’idea di lusso scompaiono o si ridimensionano, il low cost dilaga, ma non perché rappresenti l’ultima frontiera del business, ma perché è l’unico sbocco occupazionale possibile, l’ultima carta da giocare, l’illusione che si stia facendo qualcosa.

Ma il commercio e la sua tipologia misura solo la ricchezza che ci sta dietro, non la produce. I negozi di lusso arrivano dove c’è ricchezza; il low-low-low-cost, dove c’è difficoltà. E allora, Bagheria sta messa veramente male. Alla fine, circa sessantamila abitanti, in termini di redditività, sono in grado di produrre questo. Rifletto: è questo il suo salotto buono. Invertire la tendenza? Nella disperazione servono idee. Considerando che sulla ricchezza, direttamente e a breve termine, non si può agire, allora – quanto meno - animiamolo questo salotto buono. Su questo aspetto l’amministrazione potrebbe fare la sua parte.

Per esempio, un programma (non deprimente) di animazione, spettacoli, musica, tutto nel segno della cultura, unito a un livello di decoro maggiore, potrebbe trasformare alcuni spazi del paese in poli d’attrazione anche per la provincia. Attiriamo gente, buttiamoci dentro, con criterio, un po’ di cultura, rassegne, mostre, premi letterari, cinema, musica. Diamoci un tono da colti, se non da ricchi. Credo si possa fare. Perché il brutto sta prendendo il sopravvento. E allora, giochiamocela questa carta della cultura, il materiale non manca, gli spunti nemmeno, le figure di riferimento abbondano. Inventiamoci una movida “alta”, cerchiamo iniezioni di vitalità, non abbandoniamoci a questa insulsa e insopportabile “tascida” (la tascia movida in salsa bagherese), fatta di pantaloncini corti, canotte improponibili, plastica unta, e di un simbolo. Sì, perché la tascida bagherese ha un suo simbolo, che nel suo salotto buono la fa da padrone, un marchio doc, che tra qualche anno ce lo ritroveremo dritto, dritto, appiccicato sul gonfalone. Il simbolo è una vaschetta di plastica bianca, straboccante di patatine unte, afflosciate e ripiegate su se stesse da un caldo umido e pesante, e affogate – senza speranza - dentro un’abbondante quantità di ketchup. Una preghiera, non abbandonatela ad ogni angolo, adottate una vaschetta di plastica bianca unta e sporca di ketchup, riponetela negli appositi cestini, e se questi sono stracolmi portatevela a casa. Invertiamo il corso della tascida del Corso. Togliamoci l’unto d’addosso. Cerchiamo un argine su ogni fronte.

Poveri polli - C’è la crisi, e anche per i polli tira una brutta aria. A Bagheria, da qualche parte, di sfuggita, credo si trattasse di una polleria, ho letto che (come misura anticrisi) ogni dieci polli uno è gratis. La comunità dei polli è in subbuglio, rischiano di diventare un anello prelibato (e a buon mercato) della catena alimentare. Addirittura, mi è capitato di intercettare un dialogo tra polli, dove uno (con un’aria marcatamente intellettuale) rivolgendosi all’altro (con un’aria da impiegato del catasto) citava Woody Allen e diceva: “Dio è morto, Marx è morto, e io mi sento poco bene”. C’è la crisi, e anche a noi, metaforici polli, non va tanto meglio. Negli anni settanta l’agenda del dibattito politico contemplava il tema dell’industrializzazione della Sicilia. Sappiamo che la cosa non ha avuto uno sviluppo, solo embrioni, velleità, aborti. In questo panorama del “quasi nulla” gli ultimi dati ci dicono che possiamo cominciare a rimuovere il “quasi”. Nel settore industriale siciliano, dal 2009 al 2013, sono svaniti nel nulla 22.600 posti di lavoro. Il 2014 non si preannuncia migliore, con oltre settemila operai in cassa integrazione. Gente che rischia di non mettere più piede nelle fabbriche. Le chiusure si moltiplicano e la pianta, già nana, dell’industria siciliana, rischia di sparire del tutto. Intanto, l’ENI dà l’addio alla raffineria di Gela. Mentre tutti sembrano in attesa della ripresa, quella che veramente sta andando avanti senza soste è la discesa.

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In vetta – Non è stato facile, abbiamo dovuto lottare, non demordere, essere caparbi, certi che prima o poi ce l’avremmo fatta. Gli avversari non erano facili, gente testarda, abituata a non mollare; ma, alla fine, il primo posto è stato nostro, in vetta ci siamo noi, seppur per poco, ma ci siamo noi. Finalmente. La Sicilia è la regione più povera d’Italia. Per anni la Calabria ci ha conteso e strappato questo primato, ma, ora, si sono dovuti arrendere. Per qualche decimo di punto, ma si sono dovuti arrendere. E' la Sicilia, con il 32,5 per cento di famiglie indigenti (una su tre) contro una media nazionale del 26 percento, la regione più povera d'Italia. Abbiamo superato la Calabria, dove l'indice di povertà relativa è pari al 32,4 per cento. Questo è quello che emerge da un'indagine Istat sulla povertà in Italia nel 2013. Il sorpasso è recente ed è dovuto al numero di persone indigenti che in Sicilia è cresciuto di 2,5 punti percentuali rispetto al 2012 (dal 29,6 percento al 32,5). Le classifiche sono importanti, basta capire da quale lato guardarle.

La Frase – “Sono ottimista sul futuro del pessimismo.” (Jean Rostand).

Jurassic Mind – La vendetta è un piatto che va servito freddo. Anche quella piccola, anche quella che si riduce soltanto ad un simpatico sfottò. Ma la tentazione è forte e non si può non cedere. Oscar Wilde insegna. La notizia è di qualche giorno fa: i webanimalisti (il popolo degli animalisti che si fa popolo del web) furiosi contro Steven Spielberg. Rabbia, indignazione; qua e là, pulsione forcaiola. Un’ondata di rabbia scatenata da una foto in cui il noto regista è ritratto con la schiena appoggiata a un dinosauro morto. Come un volgare cacciatore sopra un elefante abbattuto durante un safari, Spielberg si fa immortalare assieme alla sua preda ormai accasciata. Scoppia la furia del webanimalista, il quale se ne infischia (o, accecato dalla rabbia, gli sfugge) di quanto studiato alle elementari sull’evoluzione della specie, cancella il particolare che i grossi rettili si siano estinti 65 milioni di anni fa; e condivide la foto. Per ben 31 mila volte l’immagine di Spielberg il carnefice viene condivisa. E per un numero di volte ancora maggiore Spielberg viene ricoperto d'insulti ("E' un assassino"; "Non m'importa chi è. Non avrebbe dovuto uccidere questo animale"; "Disgustoso. Scommetto che si è tenuto solo le corna!"; "Per favore, condividete la foto, così che il mondo possa svergognare questo uomo spregevole"; e così via…). Peccato che l'animale, ovviamente, è un robot, è il triceratopo di "Jurassic Park", e la foto fu scattata durante le riprese del film. La prima lezione da trarre dall’episodio è che il web ha annullato i tempi di decantazione del pensiero, ci si indigna, si reagisce di pancia, si sputano sentenze, non si resiste a quell’irrefrenabile voglia di esprimere la propria opinione. E si fa la figura degli imbecilli. Meditate, gente. Meditate. La seconda lezione è che non c’è nulla di più pericoloso di quando l’ottusità si scambia per verità. Infine, chiarisco perché aver evidenziato questa notizia è una forma di piccola e perfida vendetta. Per qualche mia osservazione riportata nei numeri precedenti su animalisti e popolo del web, ho dovuto fronteggiare – pubblicamente o in privato – alcuni attacchi polemici da dogmatici appartenenti alle due congreghe. Le mie erano posizioni sfumate e non in contrapposizione, ma, nello sbalzo pressorio di qualche lettore, così sono state intese. Ora che animalisti e - al contempo - popolo del web si consegnano al ridicolo con tanta docilità, ci si può esimere dall’impugnare il pennarello blu e sottolineare tre volte?

La Frase – “Il Web non si limita a collegare macchine, connette delle persone.” (Tim Berners-Lee, Discorso al Knight Foundation, 2008). E non sempre è un bene.

La Frase – “Caso Ruby, Berlusconi assolto. Ora si attendono le motivazioni, ma quando te le spiegano le barzellette non fanno più ridere.” (di qualcuno che preferisce rimanere anonimo).


 

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