Dietro la fame nervosa si nasconde spesso una “fame per gli affetti”.
Quando ci lasciamo andare alla fame nervosa e cediamo alla tentazione di aprire il frigorifero o quel pacco di merendine, succede che dopo la gratificazione temporanea subentra quasi sempre un forte sentimento di frustrazione e di impotenza che ci porterà ad essere delusi di noi stessi.
Il cibo non rappresenta la ricetta giusta per guarire dalla tristezza, dalla delusione, dalla rabbia, dal senso di colpa. Il piacere che ci da il cibo, se usato in questo modo, è temporaneo e istantaneamente ci lascerà un profondo senso di vuoto.
Un sostegno psicologico può in questi casi essere utilissimo, innanzitutto per permetterci di accettare le nostre emozioni, ossia di guardarle in faccia. Una volta riconosciute saremo più consapevoli del fatto che il cibo non può essere un sostituto della nostra voglia di amore e di affetto (che è il vero nostro bisogno primario).
Durante gli incontri i pazienti scoprono di essere affamati di carezze, di coccole, di un abbraccio mai dato.
In questi casi è utile provare a fare un elenco di ciò di cui riteniamo di aver veramente bisogno, la nostra “vera fame”. Gli affetti, a differenza del cibo, ci offrono infatti una gratificazione che non è temporanea e soprattutto che non ha controindicazioni (leggasi rimorsi, sensi di colpa ecc.).
Il percorso terapeutico ha, fra gli altri, un obiettivo molto importante: quello di far comprendere quanto la nostra fame sia una fame emotiva, una fame di sentimenti.
Una volta compreso questo aspetto e che è utile accettare le proprie emozioni, il terapeuta concentrerà il lavoro sulla relazione tra fame, cibo ed emozioni, con l’intento di una piena accettazione ed espressione da parte del paziente dei propri sentimenti.
Se volete “resistere” alla tentazione di mangiare esistono poi innumerevoli trucchi: provate a distrarvi, a contare fino a 100, a respirare profondamente, a bere un bel bicchiere d’acqua.
Ma il vero trucco è imparare a distinguere le emozioni dalla fame e a mangiare solo quando questo stimolo si basa su una esigenza reale (fisiologica), e queste sono tutte cose che fanno parte del protocollo proprio del percorso terapeutico.
Dott. Francesco Greco
Tel. 392 2965686
http://www.consulenzapsicologicaonline.blogspot.it
studiofgreco@gmail.com___________________________________________________________________________
Il Dott. Francesco Greco, Psicologo e Psicoterapeuta, è specialista in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale. Svolge attività clinica per i disturbi d'ansia, depressione, disturbi dell’alimentazione, abuso di sostanze, internet addiction, disturbi dello sviluppo, consulenza di coppia e familiare a Bagheria (Pa).
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Dietro la fame nervosa si nasconde spesso una “fame per gli affetti”.
Quando ci lasciamo andare alla fame nervosa e cediamo alla tentazione di aprire il frigorifero o quel pacco di merendine, succede che dopo la gratificazione temporanea subentra quasi sempre un forte sentimento di frustrazione e di impotenza che ci porterà ad essere delusi di noi stessi.
Il cibo non rappresenta la ricetta giusta per guarire dalla tristezza, dalla delusione, dalla rabbia, dal senso di colpa. Il piacere che ci da il cibo, se usato in questo modo, è temporaneo e istantaneamente ci lascerà un profondo senso di vuoto.
Un sostegno psicologico può in questi casi essere utilissimo, innanzitutto per permetterci di accettare le nostre emozioni, ossia di guardarle in faccia. Una volta riconosciute saremo più consapevoli del fatto che il cibo non può essere un sostituto della nostra voglia di amore e di affetto (che è il vero nostro bisogno primario).
Durante gli incontri i pazienti scoprono di essere affamati di carezze, di coccole, di un abbraccio mai dato.
In questi casi è utile provare a fare un elenco di ciò di cui riteniamo di aver veramente bisogno, la nostra “vera fame”. Gli affetti, a differenza del cibo, ci offrono infatti una gratificazione che non è temporanea e soprattutto che non ha controindicazioni (leggasi rimorsi, sensi di colpa ecc.).
Il percorso terapeutico ha, fra gli altri, un obiettivo molto importante: quello di far comprendere quanto la nostra fame sia una fame emotiva, una fame di sentimenti.
Una volta compreso questo aspetto e che è utile accettare le proprie emozioni, il terapeuta concentrerà il lavoro sulla relazione tra fame, cibo ed emozioni, con l’intento di una piena accettazione ed espressione da parte del paziente dei propri sentimenti.
Se volete “resistere” alla tentazione di mangiare esistono poi innumerevoli trucchi: provate a distrarvi, a contare fino a 100, a respirare profondamente, a bere un bel bicchiere d’acqua.
Ma il vero trucco è imparare a distinguere le emozioni dalla fame e a mangiare solo quando questo stimolo si basa su una esigenza reale (fisiologica), e queste sono tutte cose che fanno parte del protocollo proprio del percorso terapeutico.
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