Paura del presente- di Maurizio Padovano

Paura del presente- di Maurizio Padovano

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Merry crisis and happy new fears, ho visto scritto su un muro. Ogni volta che il passato sembra ripresentarsi con i suoi peggiori fantasmi, il futuro si indebolisce: e quella epigrafe diventa una efficace sintesi dello status quo.

Oggi, settembre 2018, i fantasmi del passato giganteggiano su un'idea di futuro già drammaticamente depotenziata da qualche decennio di "realismo capitalista", direbbe Mark Fischer (scrittore, critico musicale animatore di K-Punk, uno dei più seguiti blog di cultural theory) . Mentre si blaterava di fine delle ideologie, siamo tutti stati avviluppati da una ideologia pervasiva e mimetica come mai prima. Un paio di generazioni di cittadini europei vi sono cresciuti come dentro a un Truman Show (il film di P.Weir, 1998, nel quale si immagina una vita vissuta a favore di telecamera, come inconsapevole reality show, da parte di un giovane adottato, fin da neonato, da un network televisivo). Il risultato è stato l'imposizione di una percezione "one way" della realtà circostante: il neoliberismo - al quale, diceva la Signora Thatcher, non c'è alternativa, è stato percepito come sistema economico e sociale “naturale” . E “naturali” sono le mostruose diseguaglianze e discriminazioni che genera. Almeno finché le si guarda da lontano. Adesso che " il male è accovacciato alla porta di casa nostra" (Genesi 4,7), adesso che ha assunto le sembianze dell'apologia della Rete e della democrazia diretta (così nell'appello del 3 agosto scorso di Massimo Cacciari), adesso che si manifesta con "inaccettabile disumanità" contro i migranti, da più parti si sente il bisogno di uscire allo scoperto e di schierarsi. Al fianco di chi? Non di astratti umanitarismi o nebulose identitarie: non è così che si sconfiggeranno i nuovi nazionalismi sovranisti e il vecchio razzismo che li sostiene. Di contro alle nuove paure scatenate dalle crisi di sistema del capitalismo finanziario, occorre una nuova idea di Europa - anche dolorosamente diversa da quella degli ultimi 20 anni. Diversa da quella idea di Europa che adesso rende facile il gioco di chi (come negli anni '30 del secolo scorso ) vuole persuaderci che il pericolo è tutto nel nostro vicino, più povero
di noi, di diverso colore - che ci entra in casa e ci abbassa al suo livello di povertà e di insicurezza. È sotto gli occhi di tutti come il capitalismo finanziario abbia imposto agli Stati le proprie regole.
"L'Internazionale trionfa, ma è capitalista" (M.Augé). Un'altra Europa è necessaria: il sovranismo farà presto a diventare isolazionismo. Mai come in questi mesi gli intellettuali vengono invocati da più parti a intervenire nel dibattito pubblico per porre un argine alla deriva populistico-sovranista del governo italiano. Sono chiamati a riportare la discussione su binari di ragionevolezza democratica, senza dimenticare che il razzismo di oggi è figlio del fallimento delle politiche (europee e nazionali) di ieri e di ieri l'altro. Primo Levi ebbe ad affermare che il pregiudizio razziale è una sorta di indice di pre-umanità: indica la nostra appartenenza al mondo animale più che a quello umano. È tipico infatti di tutti gli animali sociali, che vivono in gruppo e hanno bisogno di gerarchie: è incapsulato in istinti primordiali. La discussione a cui chiamiamo e siamo chiamati - come intellettuali, come cittadini, come animali finalmente umani - deve mettere un freno a certi istinti che sono la nostra eredità animale. "L'immigrato fino a quando non ha acquistato non dico l'odore ma l'accento del paese in cui si è stabilito, viene riconosciuto come diverso; non sempre viene fatto a pezzi - qualche volta è capitato - ma viene emarginato, viene ostacolato". In questo settembre 2018 il fenomeno della violenza contro gli immigrati si sta allargando a macchia d'olio. Nella mia città, Bagheria, un gruppo di balordi ha tentato di fare a pezzi, a colpi di
crick, un giovane africano che da un paio d'anni vive fra noi: evidentemente non ha ancora il nostro odore - e contro il colore della pelle non esistono rimedi efficaci. È davvero sconveniente mettere questo episodio in relazione con tantissimi altri che si verificano, giorno dopo giorno, soprattutto nel  meridione d'Italia? È davvero tendenzioso metterli in relazione con i pronunciamenti e gli atteggiamenti di un Governo, di un Ministro degli Interni la cui linea politica è una declaratoria continua di pre-umanità ( a voler usare il concetto illustrato da Primo Levi)?
Intellettuali o no, siamo chiamati a discutere - per mostrarne l'insensatezza e il danno sicuro cui condurranno - le nuove forme di nazionalismo che si autodefiniscono sovranismi; il radicalizzarsi della violenza contro le donne e l'omofobia; la nuova rabbia contro ogni diversità che invoca chiusure protezionistiche e prassi poliziesche. Tutto ciò non è né naturale né inevitabile. Siamo chiamati a discutere ergendo a principio non negoziabile l'universalismo dei diritti ma senza accontentarci di facili analogie con il passato. Non siamo - non dobbiamo essere - la solita vecchia sinistra che si abborraccia attorno a principi astratti e non spendibili con efficacia nel mercato drogato delle fake news con le quali oggi si governa questo paese (e altri): siamo, dobbiamo essere, persone libere e "umane" che vedono e comprendono le ragioni di sofferenza di tutti e che vogliano per tutti la medesima possibilità di vivere dignitosamente. Utopia? No: politica, discussione, confronto, paziente riformismo, umanesimo. E voglia di non arrendersi alla deriva antiegualitaria in atto: altrimenti saremo costretti a dare ragione a Eu enio Montale. La Storia non ci è stata magistra di nulla.

Bagheria 4 settembre 2018

Maurizio Padovano

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