E' successo a Mia- di Massimo Mineo

E' successo a Mia- di Massimo Mineo

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Per Mia quella di ieri è stata una lunga notte. Sembrava non finire mai quel tormento. Occorreva scegliere tra il bisogno e la vergogna. Mentre provava a trovare una posizione comoda per dormire era infastidita dal non riuscire a respirare bene, per quanti sforzi facesse il respiro era sempre più corto.

Assalita da una sensazione di calore eccessivo si alzò per andare a rinfrescare il viso in bagno. Stette col capo chino oltre due minuti mentre l’acqua scorreva, chiuse l’acqua senza nemmeno averla toccata e si perse qualche altro minuto dentro due occhi vacui impressi nello specchio. Spense le luci e chiuse gli occhi nel buio per ascoltare il respiro delle sue due figlie, si perse in quel suono riuscendo a trovare un attimo di sollievo. Sempre al buio raggiunse il frigorifero per bere dalla bottiglia un sorso d’acqua mentre con la coda dell’occhio riusciva a scorgere il centro tavola con la corrispondenza degli ultimi giorni e ancora aperto il sollecito di pagamento dell’affitto. Evitando qualsiasi rumore tornò in camera da letto, toccò lo schermo del suo cellulare perché facesse un po' di luce, si avvicinò alla culla di Francesco e con una carezza infinita circumnavigò quel tenero viso. Poi aprì il suo armadio, spostò una fila di maglioni e recuperò una scatola non troppo grande. La tenne tra le sue mani un tempo indefinito senza mai aprirla. Fece capolinea l’alba e si girò verso suo marito. Rimase a guardarlo mentre la luce acquistava coraggio e marcava in modo più deciso i lineamenti di un uomo buono che non ha fatto mancare mai niente alla sua famiglia.

Fu la prima ad alzarsi, come ogni mattina. Mentre tutta la famiglia si organizzava per affrontare un altro giorno di lockdowm, mise un golfino, prese la borsa e salutò per andare a fare la spesa.
Con passo veloce e occhi fissi a terra raggiunse piazza Verdi. Era la prima volta e pregò per tutto il tragitto affinché non la vedesse nessuno. Ecco a pochi metri da lei l’ingresso del Banco dei Pegni, ma il cuore gli andò in gola perché ad attenderla c’era una fila di persona che aspettava di entrare. Dovette accettare la necessità di rendere pubblica la sua vergogna, e l’imbarazzo fu devastante. Nell’attesa non faceva che chiedersi quale pietà, quale compassione, quale rispetto potesse avere un Monte se non riusciva nemmeno a garantire l’invisibilità dell’umiliazione. Trovò conforto nell’intravedere qualche altro che lottava con il proprio imbarazzo a fronte di qualcuno più disinvolto, ma fu un conforto amaro.
Arrivando allo sportello, aprì la borsa e tirò fuori i propri gioielli, quasi stesse mostrando una refurtiva. Il dolore e il rimorso soppiantarono la vergogna mentre un impiegato stimava il valore di ciò che stava sul banco. Un sentimento irrefrenabile la spingeva a riprendere ciò che era suo e scappare, ma non trovò la forza di farlo.
Sparsi in quel banco, in attesa di giudizio, c’era quanto di più caro aveva sempre custodito. Ognuno di quei gioielli aveva un valore oltre il denaro, ognuno di quei gioielli era il sigillo di un ricordo, di un sentimento, di un momento importante. Mentre l’impiegato prendeva ogni singolo gioiello nella mente di Mia si rincorrevano le più belle immagini della sua vita.
Uscì dal Banco dei Pegni senza neanche salutare, un silenzio senza pensieri accompagnò il suo ritorno a casa. Entrando chiuse la porta senza far rumore, corse in bagno e si lascio cadere in uno straziante pianto soffocato per non farsi sentire dalla sua famiglia.

“Nessuno sarà lasciato solo”?
Già troppi sono stati lasciati soli. La percentuale di coloro che in questi ultimi giorni si rivolgono al Banco dei Pegni è impressionante, e a far preoccupare è la percentuale dei nuovi accessi. Tutto ciò è un preoccupante campanello d’allarme per quello che sta diventando un vero e proprio dramma sociale. La liquidità comincia seriamente a scarseggiare e se una famiglia è costretta ad attingere alle proprie “riserve straordinarie”, la cosa non può certo lasciare indifferenti coloro che sono preposti a dare risposte socio-economiche.
Siamo in piena emergenza, è vero. La priorità è stata ed è giustamente la tutela sanitaria. Ma fino a questo momento quello che sembra veramente mancare è la capacità di esprimere fattivamente una tempistica economica da emergenza.
Tra le varie misure di intervento, in questi giorni il Governo lavora su quello che è stato definito il reddito di emergenza. Quello che serve subito è accorciare il tempo di congiungimento tra bisogno e soddisfazione di quel bisogno. Il rischio incombente è che se questo tempo di congiungimento si continua ad allungare ad essere lasciati soli saranno tanti, forse troppi.

Siamo al 22 aprile e ancora tantissimi professionisti e possessori di partita IVA attendono il mortificante bonus di marzo da 600 euro. La cassa integrazione di un numero impressionante di lavoratori, sempre per quanto riguarda il mese di marzo, è al palo. Il reddito di emergenza è ancora in discussione mentre la gente fa la fila davanti al Banco dei Pegni. Una molteplicità di categorie di lavoratori non è dovutamente garantita, basti ad esempio pensare agli insegnanti delle scuole paritarie considerati alla stregua dei colleghi statali ma con la differenza che i primi il loro stipendio lo ricavano dalle rette che in questo momento non si incassano. Un numero indefinito di attività commerciali rischia già di fallire ancor prima di riaprire.
Il problema è più che serio e la capacità di gestire la variabile tempo farà la differenza.

Massimo Mineo

 

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