Trenta anni fa la marcia Bagheria Casteldaccia contro mafia e droga

Trenta anni fa la marcia Bagheria Casteldaccia contro mafia e droga

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Il 26 di febbraio saranno trascorsi trenta anni da quello che, senza retorica, può essere definito come uno dei momenti di una  svolta nella coscienza di intere comunità: oltre cinquemila persone, giovani soprattutto ma anche famiglie con bambini, studenti, braccianti, edili, laici e credenti,  in corteo da Bagheria raggiunsero, attraverso la strada dei valloni ,la vicina Casteldaccia dove in piazza Madrice si svolse un grande comizio.

Alla fine, di fronte a quella marea di popolo saltarono sul carro anche voltagabbana e opportunisti, politici naturalmente, che appena qualche mese prima, avevano fatto sorridere amaramente il mondo intero sostendendo che a Bagheria non c'era mafia: tentarono di prendere la parola ma furono subissati dai fischi.

Era la rappresentazione vivace, colorata, chiassosa, allegra e plastica di una comunità che con un gesto simbolico diceva no alla mafia, no alla diffusione della droga e che si riappropriava del  proprio presente e del proprio futuro.

Molti dei giovani e degli uomini che hanno oggi trenta o quarant'anni non hanno alcun ricordo di quell'evento o ne hanno solo uno sbiadito dal tempo. 

Per questo il Centro Studi intitolato a Pio La Torre ha promosso una serie di incontri con le scuole, di mostre fotografiche, di testimonianze e quant'altro, per ricostruire il clima in cui nacque la manifestazione, che avranno come momento conclusivo una riedizione di quella marcia. 

Furono anni terribili gli anni '80, e non solo per la Sicilia. Nel 1982 il 30 di aprile venivano uccisi Pio La Torre, segretario regionale del Partito Comunista e il suo autista Rosario Di Salvo; appena quattro mesi dopo il 2 settembre veniva ucciso il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro el'agente di scorta Russo: Dalla Chiesa era mandato dal governo tre mesi prima quale Alto Commissario per la lotta contro la mafia.

Nel mezzo un centinaio di omicidi, venti dei quali in soli trenta giorni tra la fine di luglio e la fine di agosto consumati in quel territorio tra Bagheria, Casteldaccia e Ficarazzi che si guadagnò nel mondo il triste appellativo di "triangolo della morte".

Erano i tempi in cui la voce popolare, poi processualmente documentata, sosteneva che a Bagheria c'erano almeno due raffinerie di eroina, che poi da Bagheria ignare casalinghe e anonimi signornessuno portavano negli USA. Al ritorno iniziavano una attività commerciale o imprenditoriale o compravano casa e macchine nuove.

Ed i rivoli dei proventi  del traffico dell'eroina restavano nella tasche di tanta gente che poi reinvestiva; i prezzi di case e dei terreni, anche agricoli, avevano raggiunto valori impensabili, il fenomeno dell'abusivismo veniva alimentato sì dalla fame di case, ma anche da una insolita disponibilità di denaro.

Erano i tempi in cui sindaci democristiani di Bagheria sostenevano l'inesistenza della mafia, e fu l'anno in cui il killer di mafia Prestifilippo poteva, con il silenzio complice dell'amministrazione del tempo, iniziare quello scempio sull'Arco azzurro che ha richiesto poi  trenta anni per essere cancellato.

Ecco era questo il clima che si viveva a Bagheria: alla morte di un capomafia, Tommaso Scaduto, morto da latitante ma in casa propria, si svolse un vero e proprio pellegrinaggio (soprattutto notturno) di personalità del mondo della politica, delle imprese e delle professioni che andarono ad ossequiarlo; ed ai suoi funerali c'era un parterre de roi formato da decine di polirici.

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Ma la talpa scavava, e c'era gente che a quello stato di cose non si rassegnava: c'erano i giovani, il movimento studentesco, c'erano i partiti, quello comunista soprattutto, c'erano i sindacati, c'era la Chiesa con i nuovi presbiteri che avevano le idee chiare sul ruolo del magistero religioso, c'era a Palermo il cardinale Salvatore Pappalardo che non tacque. 

Ed i frutti si raccolsero.

Due in particolare le cose  di quel periodo, che a a nostro avviso, dovrebbero essere ricordate a quanti non c'erano e che dovrebbero essere scolpite nel marmo e nella memoria dei giovani.

Il j'accuse dell'on. Giuseppe Speciale, capogroppo in consiglio comunale per il Partito Comunista e il documento dei parroci del territorio: due le frasi che possono essere considerate emblematiche di una svolta nel modo di sentire il rapporto con cosa nostra che allora si chiamava mafia.

Il primo: nel silenzio quasi tombale di un'aula consiliare in cui sedevano almeno una ventina tra consiglieri, sindaci ex sindaci e assessori che avevavno partecipato al funerale del capomafia Tommaso Scaduto, Peppino Speciale tuonò:"Voi non siete andati a quel funerale per rendere omaggio ad un morto , ma siete andati per farvi riconoscere e fare professione di disponibilità di fronte ai vivi che restano".

Nell'aula calò il gelo.

Ed ancora quel passaggio  nel documento dei presbiteri che fece il giro del mondo ed in cui si diceva:" Non è più tollerabile assistere allo spettacolo dei politici ai funerali dei mafiosi"

Da allora fu la svolta.

Foto Archivio Pietro Pagano

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