Cronaca

Il 21 novembre 2013, alle ore 12:00, in Bagheria (PA), Via Cesare Abba nr. 30, un Brigadiere dell’Arma dei Carabinieri effettivo alla Stazione di Santa Flavia, libero dal servizio, arrestava per tentato furto in abitazione A.D. classe 1988, domiciliato a Bagheria, celibe, disoccupato. 

Il militare si era incuriosito dopo aver ascoltato il racconto di un pensionato suo vicino di casa, che gli aveva manifestato la sua preoccupazione che l’appartamento ove dimorava fosse infestato dai fantasmi, avendo riscontrato oggetti mancanti ed altri spostati ogni qualvolta usciva di casa, anche per brevi periodi. 

La motivazione era ovviamente assai più semplice, ed infatti è bastato che, nella mattinata del 21 novembre, il Carabiniere si appostasse all’interno dell’abitazione per sorprendere l’A.d., condomino cui il povero pensionato aveva lasciato copia delle chiavi di casa, intento a rovistare nei cassetti del malcapitato.

L’autore del tentato furto, arrestato e condotto presso la Compagnia Carabinieri di Bagheria per le operazioni di identificazione, su disposizione dell’A.G. ha trascorso la notte presso la propria abitazione agli arresti domiciliari, venendo accompagnato nella mattinata successiva presso il Tribunale di Termini Imerese per il rito direttissimo, conclusosi con la convalida dell’arresto e l’imposizione dell’obbligo di dimora nel Comune di Bagheria.

Una domenica mattina a Bagheria. A bordo di una Smart viene intercettata una conversazione. “Minchia mi dispiace di questo che hanno ammazzato”. Non è una domenica qualunque. Il giorno prima hanno crivellato di colpi Francesco Nangano per le strade di Brancaccio.

A parlare dell'omicidio è Sergio Flamia, mafioso bagherese e nuovo collaboratore di giustizia. Che aggiunge: “Mi dispiace prima per lui e secondo perché ora succede l’inferno”.

Si riferiva alla reazione degli investigatori oppure ad una possibile guerra di mafia? C'è un dato certo: Flamia e la vittima si conoscevano personalmente. Ecco perché il neo pentito potrebbe conoscere i segreti di uno dei più recenti delitti di mafia commessi a Palermo. Uno dei tanti di cui ha notizie. Indirettamente o direttamente, per avervi partecipato in prima persona.

Un mese dopo l'omicidio Nangano il collaboratore di giustizia di Ficarazzi, Stefano Lo Verso, di Flamia racconta che “fa parte della famiglia mafiosa di Bagheria. … da una vita...”. Di lui si ricorda bene perché “nel 2004 l’ho conosciuto di presenza che me lo portò al deposito Giuseppe Comparetto... e dove Sergio Flamia doveva fare degli interventi diciamo, facendo parte della famiglia mafiosa di Bagheria vicino a Onofrio Morreale… dovevano commettere un omicidio dove doveva essere partecipe pure lui, che dovevano uccidere Nicola Mandalà a Bagheria e a quella riunione c’era pure Sergio Flamia, Onofrio Morreale e Giuseppe Comparetto che dovevano essere le persone che dovevano attaccare a Nicola Mandalà”.

E non è tutto, perché Lo Verso ricorda che “alla riunione del 2004 c’era presente pure lui quando ci fu la riunione che erano tutti armati, pronti per fare la guerra con i villabatesi e per uccidere… il primo da uccidere doveva essere Gino Mineo”.

Un progetto omicidiario non andato in porto. Mineo sarebbe stato arrestato nel 2008.

Ma Lo verso parla anche di delitti commessi. Dice di avere saputo da Comparetto che “lui (Flamia ndr) aveva commesso diversi delitti in compagnia di Onofrio Morreale... mi diceva che aveva commesso il delitto... quando ci fu alla Matrice che uccisero Nino il Carabiniere, Scaduto, dice che fu Sergio Flamia… dice: mio padrino e Sergio Flamia, avevano la barba, il cappellino, non li ha riconosciuti nessuno... e altri omicidi fra cui il Comparetto mi diceva che avevano ucciso un tale una volta, si trovavano alla Punta Guglia, c’era un negozio di ottica dice, e il Morreale si abbracciò con questo titolare del negozio di occhi… di ottica, e il Comparetto dice: ah se sapessi, dice, di tuo suocero, chi lo ha ucciso

Ho detto: perché?

Dice: perché, suo suocero non fu mio padrino dice, con Sergio? Però dove è stato l’omicidio non lo so e chi è questo soggetto io non lo so, so che è il suocero che è morto, di questo, di questo che aveva l’ottica alla Punta Guglia”.

La collaborazione di Flamia, dunque, potrebbe essere decisiva per dare un volto ai killer di parecchi omicidi. 

tartto da livesicilia.it

nella foto di copertina: il ritrovamento dei cadaveri bruciati di Fernando e Pimentel a Casteldaccia
 

Scagionato in primo grado, ora condannato ad un anno  in appello di fronte alla III Sezione, il dottor Stefano Crivello, 40 anni, palermitano, annuncia ricorso in Cassazione e continua a protestarsi innocente del reato per cui ora è stato condannato, e cioè sfruttamento della prostituzione minorile, essendo decaduta l'accusa più grave di violenza sessuale.

I fatti sarebbero avvenuti in una casa famiglia di Bagheria dove il medico prestava servizio: secondo l'accusa approfitando di una situazione familiare complicata del giovane il professionista avrebbe avuto rapporti a pagamento con il ragazzo, che però la storia l'ha raccontata solo a distanza di tempo, allorchè dalla struttura protetta di Bagheria era stato trasferito a Catania.

In una prima fase il medico era stato anche arrestato e poi rimesso in libertà, ma perizie e riscontri sul racconto del ragazzo hanno fatto emergere contraddizioni e lati oscuri, manifestati anche dall'esperto nominato dal Tribunale, che avevano indotto il G.U.P Lorenzo Jannelli, che aveva giudicato il Crivello col rito abbreviato, a scagionarlo  in primo grado da ogni accusa.

Adesso la sentenza della Corte di appello: il medico ha sempre sostenuto la propria innocenza con l'argomentazione che il giovane, che in effetti aveva manifestato pubblicamente il desiderio che il Crivello venisse punito, volesse in qualche modo vendicarsi.

 

Da oltre due mesi Sergio Flamia collabora con i magistrati Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli e gli inquirenti palermitani per ricostruire gli intreccie le strategie di mafie almeno degli ultimi trenta anni.

Da sempre Flamia conosciuto dagli inquirenti come uomo a disposizione di cosa nostra, per le deposizione di diversi pentiti che ne avevano tratteggiato la caratura criminale, aveva fatto 'strada' al'interno dell'organizzazione mafiosa arrivando ad essere in stretto contatto con alcuni dei capi di cosa nostra che si trovavano a transitare nel territorio bagherese: da Giuseppe, Piddu Madonia a Bermardo Provenzano; più di recente rappresentava un punto di riferimento importante per i capifamiglia della mafia locale da Leonardo Greco Nicola Eucaliptus, da Giuseppe Scaduto a Gino Di Salvo, anche lui arrestato nell'operazione di questa primavera denominata 'Argo'.

Flamia conosce praticamente tutte le imprese e i commercianti che pagavano il pizzo e i picciotti che andavano a riscuotere, perchè in ultimo ricopriva la carica di cassiere della cosa nostra di Bagheria e del territorio

Flamia che è stato trasferito in una località segreta, e con lui anche alcuni suoi familiari, sta veramente raccontando per filo e per segno oltre che le dinamiche interne anche  le motivazioni delle guerre di mafia a Bagheria, ma non solo, degli ultimi trenta anni.

Insomma la storia criminale della mafia bagherese che nessuno aveva mai potuto raccontare con tale dovizia di particolare e conoscenza diretta, anche perchè i collaboratori di giustizia che avevano parlato della famiglia bagherese erano in larghissima parte gente da Stefano Lo Verso  a Ciro Vara, da Nino Giuffrè a Giuseppe Barbagallo, di altri comuni e di altre realtà territoriali: portavano quindi, sì contributi importanti, ma sempre in qualche modo 'mediati'.

Stavolta gli inquirenti hanno di fronte un protagonista diretto, che stando a quanto S.P. scrive sulla Repubblica di oggi si è già autoaccusato di una quarantina di omicidi e non solo a Bagheria.

Quello di Nino Scaduto, inteso Ninu u carabinieri, consumato nel 1989 di fronte al bar Aurora a Bagheria, camuffato con barba finta e cappellino, allorchè rimase sasualmente ferito ad un occhio anche un bracciante, Carmelo Valenti: e proprio i due figli di Scaduto, Pietro e Salvatore, sono stati arrestati per l'omicidio dei due ispano-canadesi Fernadez e Pimentel, uccisi secondo quanto ha dichiarato il pentito casteldaccese Giuseppe Carbone al'interno di una villetta a Bagheria, ed i cui corpi, la confessione del pentito, consentì di ritrovare in una discarica.

Ma Flamia, oltre che componente del gruppo di fuoco della cosca bagherese, faceva anche da vivandiere e curatore della logistica avendo messo in diverse occasioni i locali per la realizzazione di alcuni summit di mafia cui partecipava Bernardo Provenzano: si parla di una villetta del suocero di Flamia, Vincenzo, in contrada vicinale Motta e di un appartamento nella disponibilità del Flamia, sempre a Bagheria in via Pola, 25.

 

 

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