Anche il pentito Flamia conferma: Provenzano godeva di protezione

Anche il pentito Flamia conferma: Provenzano godeva di protezione

cronaca
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Cominciano a circolare sui giornali indiscrezioni sulle confessioni di Sergio Flamia , il pentito bagherese arrestato a maggio nell'operazione 'Argo' che da mesi collabora con gli inquirenti: il pentimento di Flamia troverebbe giustificazione con la paura che i fratelli Scaduto, Pietro e Salvatore, accusati dall'altro pentito di Casteldaccia, Giuseppe Carbone, di essere i responsabili dell'omicidio dei due ispano- americani Juan Fernandez Paz e Fernando Pimentel, avevano messo nel mirino anche lui.

In un articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia di oggi, Riccardo Arena scrive appunto che Flamia avrebbe riferito ai magistrati che hanno raccolto le sue deposizioni, e cioè il procuratore aggiunto Leonardo Agueci e i p.m. Caternia Malagoli e Francesca Mazzocco, che nella sua veste di accompagnatore e custode di Bernardo Provenzano durante i suoi lunghi periodi di pemanenza a Bagheria, aveva avuto modo di percepire che nei confronti di Provenzano ci fosse un atteggiamento morbido da parte di chi indagava, sostanziatosi con tolleranza e mancate operazioni nei suoi confronti.

Questa parte delle confessioni di Flamia potrebbe confluire nell'attuale proceso in cui i p.m. Nino Di Matteo in primis sta mettendo a fuoco gli elementi che portano a pensare che tra la mafia e pezzi deviati dei servizi e della politica fosse stato siglato un patto di non belligeranza in cambio della consegna di Totò Riina, e della instaurazione di una sorta di pax mafiosa nei territori di mafia più turbolenti che Provenzano sarebbe stato in grado di garantire.

Saranno i magistrati che si stanno occuopando della cosiddetta trattativa stato-mafia a valutare la portata e l'utilità delle dichiarazioni di Flamia.

Dai colloqui di Flamia con i magistrati viene fuori che il mafioso bagherese avrebbe fatto pervenire 5.000 euro ai familiari dell'infermiere Gaetano Lipari, altavillese che lavorava presso il Poliambulatorio di Bagheria ed era il n° 60 dei 'pizzini' di Provenzano e che lo aveva curato durante la sua latitanza, perchè non si pentisse.

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