Marineria di Porticello: un mare di... proteste

Marineria di Porticello: un mare di... proteste

cronaca
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Parte sabato 3 maggio, da Porticello, la manifestazione di protesta indetta dal comparto della pesca siciliano a seguito dell'ultimo regolamento CE sul Mediterraneo (n. 1967/2006) inerente lo sfruttamento sostenibile delle risorse ittiche. Il settore locale risulta particolarmente colpito dalle "quote di prelievo del tonno". Ma tante altre sono le problematiche sollevate dall'adeguamento alle ullime direttive comunitarie. Proviamo a capire meglio di cosa si trattta.

Come apprendiamo da Francesco Zizzo, responsabile UN.I.COOP. Pesca, "i pescatori sono stanchi di subire continue vessazioni da parte di organi di controllo, troppo osservanti di norme che non tengono conto delle problematiche di gestione della pesca, come il caro Gasolio fra tutti ( che incide circa il 50% sui costi di gestione). I limiti imposti all’attività, non ultimo il Reg.to CE sul Mediterraneo di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca, già in attuazione, sta creando notevoli disagi alle nostre marinerie, perché non attinente alle specificità della nostra flotta".

Pertanto, l’unicoop pesca Sicilia, ribadisce che: bisogna fare, ex novo, una legge quadro (come la precedente, la 32/2000 basata sul Reg.to CE 2792/99 regolamento dello SFOP 2000/06), che prenda a riferimento il Reg.to CE 1198/2006, regolamento del FEP, e su quello sviluppi i prossimi bandi.
Se a questo aggiungiamo il fatto che dai tavoli di concertazione “romana” – conferenza stato regioni - è venuto fuori che alle regioni viene attribuito il 67% dell’intera dotazione del FEP e si fanno quattro conti, capiremo come il fare una buona legge regionale di settore, lavorare quindi affinché la nuova programmazione regionale sulla pesca ed ai consequenziali piani di gestione diventi di fondamentale importanza per la categoria al fine di ipotizzarne un suo rilancio, possa servire soprattutto in termini occupazionali e di impresa.
Si chiama in causa l'autonomia statutaria della regione siciliana che le consente di legiferare all’interno delle sue acque territoriali e gestire di fatto le licenze di pesca della piccola pesca artigianale, circa il 75% dell’intera flotta isolana. Bisognerà, inoltre, intervenire nella misura del “De Minimis” per il caro Gasolio, riconoscendo alle imprese di pesca ulteriori sgravi sulle accise e/o un contributo in percentuale sul consumo.

Il responsabile Francesco Zizzo conclude il suo comunicato ricordando che "l’applicazione del “pacchetto luglio/05”, misure per il settore pesca italiano, che vedevano anche la riduzione dell’iva sui prodotti ittici, dal 10 al 4%, adeguandola al regime agricolo sono misure a sostegno del settore che non possono più ritardare la loro efficacia. Il settore è infatti al collasso: sono oramai mesi che le nostre imprese di pesca, fanno fatica a far quadrare i conti. Si rischia la paralisi, che considerato l’indotto, legato al settore, potrebbe assumere valenza catastrofica per le migliaia di famiglie che da esso dipendono e per l’economia siciliana."

Intanto il sindaco di Santa Flavia, Antonio Napoli, ci ha fornito un quadro esaustivo ed una dettagliata analisi - di seguito proposta - sull'attuale situazione in cui versa il settore, con particolare riferimento alla marineria locale.

Il settore attraversa una fase molto critica le cui cause traggono origine, principalmente, dagli errati interventi che la politica comunitaria ha operato nel recente passato (vedi Bando delle reti Spadare – indiscriminate demolizioni dei natanti ) e sui quali intende proseguire la sua azione.
Il recente regolamento approvato dalla Commissione Europea, cosiddetto “Piano di Azione Mediterraneo”, continua, nel solco della vecchia impostazione della politica comunitaria, a ritenere prioritaria la salvaguardia delle risorse ittiche senza curarsi degli effetti negativi di tipo economico-sociale che tali scelte necessariamente comportano.
Prevale in sede comunitaria la logica che la riduzione delle risorse sia da imputare esclusivamente all’eccessivo prelievo della pesca, forse perché tale settore, a causa della sua “debolezza”, è sacrificabile.


Nessuno osa puntare il dito contro chi realmente è responsabile del depauperamento delle risorse:

• numerosi sono gli insediamenti abitativi, grandi e piccoli, sulle coste del mediterraneo sprovvisti di impianti di depurazione dei reflui fognari, e, laddove presenti, tali impianti finiscono per riversare in mare milioni di metri cubi di acqua trattata, che alterano l’equilibrio salino delle acque marine

• tantissimi sono i siti industriali distribuiti lungo le coste del mediterraneo che sversano abusivamente in mare senza alcun pre-trattamento enormi quantità di veleni, metalli pesanti, ecc..

• ingenti sono i quantitativi di inquinanti utilizzati in agricoltura o dalle industrie ubicate lungo il corso dei principali fiumi che finiscono in mediterraneo “grande pattumiera.

La riduzione dello sforzo di pesca costituisce per la U. E. un imperativo categorico, quindi, non può essere messo in discussione; i pescatori, reali attori del mare costretti ad affrontare le avversità, ed un lavoro duro, che hanno realmente a cuore la consistenza degli stocks ittici, perché la loro salvaguardia equivale alla continuazione ed allo sviluppo dell’attività di pesca, non vengono fatti partecipi di tali scelte, mirate alla protezione delle risorse, ma sono invece costretti a sopportarne passivamente sulla loro pelle gli effetti nefasti (limitazione degli attrezzi e delle giornate di pesca – demolizioni di natanti – innalzamento delle taglie minime – quote di prelievo ecc.).

Milioni di euro spesi ogni anno per demolire i natanti, per riconvertire i pescatori verso altre attività, non producono alcun beneficio sul fronte delle protezione delle risorse che continuano ad essere depauperate dalle flotte appartenenti ai paesi terzi, che, in quanto tali, non soggiacciono alla politica comunitaria, quindi sono libere di scorazzare indisturbate per il mediterraneo prelevando tonnellate di risorse.
La Comunità Europea, fino ad oggi, non è stata in grado di portare avanti una politica di “Bacino Mediterraneo” e, soprattutto, non ha avuto la capacità di far sedere allo stesso tavolo tutti i paesi “rivieraschi e non”, comunitari ed extracomunitari, le cui flotte operano nel mediterraneo, determinando in tal modo un vantaggio per i nostri concorrenti e un danno per le imprese comunitarie, che, in quanto tali, sono state costrette a soggiacere ad una siffatta politica, assai miope.
La politica Comunitaria ha conseguentemente influenzato la politica nazionale e regionale del settore che al pari di quella comunitaria non si cura dello sviluppo del settore, limitandosi a gestire la riduzione dello sforzo di pesca, l’introduzione di normative stringenti sulla sicurezza dei natanti e dei lavoratori imbarcati, con un notevole aumento dei costi gestionali che finiscono per svilire l’impresa ed i suoi occupati.

Oggi, le imprese di pesca siciliane, a causa delle limitazioni dell’attività dovute alle condizioni meteo-marine avverse ed ai divieti imposti dalla legislazione vigente, possono contare solamente su circa “centoventi” giornate di pesca all’anno per ammortizzare il capitale investito nelle attrezzature e procacciarsi il necessario per la sopravvivenza degli equipaggi.
Nessuna politica di sviluppo, di ammodernamento della flotta, di incentivo all’occupazione ed alla formazione del personale imbarcato; nessuna agevolazione per l’accesso al credito, ai consorzi di garanzia fidi, tutti strumenti utili allo sviluppo del settore.
Si aggiunga la particolare situazione venutasi a creare sul mercato dei prodotti petroliferi, con un innalzamento dei prezzi che nel settore pesca ha raggiunto negli ultimi anni percentuali del 100%.

In un quadro a tinte così fosche, delineato dalla situazione del settore su esposta, cresce a Porticello, una delle principali marinerie dedite alla piccola pesca artigianale in Italia, la principale in Sicilia, il malcontento delle maestranze e degli armatori, che, oberati da tantissimi lacci e laccioli, si vedono costretti a terra a causa dell’eccessivo costo del carburante che ha reso economicamente insostenibile la battuta di pesca con reti a strascico e delle crescenti limitazioni all’attività di pesca, il problema delle reti “FERRETTARE”, autorizzate nel maggio 2006 dal Ministero Politiche Agricole e Pesca con una lunghezza massima della rete pari a 2.500 Mt. entro una distanza di 10 miglia dalla costa.
Questa limitazione all’esercizio della pesca non appare giustificata in quanto costringe tutte le unità (abilitate ad operare anche oltre le 20 miglia) ad operare sotto costa, creando notevoli problemi con gli altri mestieri e con il traffico commerciale e diportistico.
Altro paradosso della politica comunitaria sono le quote di prelievo del tonno rosso, che, sotto la spinta di chissà quali interessi o pressioni ambientaliste, regolamenta il prelievo del tonno rosso in base a quote nazionali, poi ripartite sulla flotta.
Intanto le flotte dei paesi terzi, Giappone e Sud Corea principalmente, sono libere di scorazzare nel mediterraneo prelevando ingenti quantitativi di tonni, mentre le nostre imprese devono limitare le catture in quanto la specie è “sotto osservazione”, ma, non ci è dato sapere secondo quali studi scientifici.
La situazione della marineria di Porticello può essere definita come di crisi profonda, e il perdurare di tali circostanze fanno già presagire il collasso di un intero settore e della sua filiera con enormi riflessi negativi di tipo occupazionale e sociale. Occorre intervenire senza indugio per scongiurare una siffatta catastrofe sociale e ridare un’alternativa di pesca e di lavoro alla marineria.
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