Bagheria dei misfatti 9 - di Biagio Napoli

Bagheria dei misfatti 9 - di Biagio Napoli

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Franchetti e Sonnino, due giovani studiosi settentrionali, compiono all’inizio degli anni settanta una inchiesta sulle condizioni della Sicilia. E’ una inchiesta privata, non governativa, i cui risultati vedranno la luce nel 1876.

Da essa, a proposito di Palermo e dei suoi dintorni, leggiamo: “Se poi, uscendo dalla città, si girano le campagne che la circondano, s’impongono agli occhi e alla mente segni anche più caratteristici di una civiltà inoltrata. La perfezione della coltura nei giardini d’agrumi della conca d’oro è proverbiale e ogni palmo di terreno è irrigato, il suolo è zappato e rizappato, ogni albero è curato come potrebbe esserlo una pianta rara in un giardino di orticoltura. Dove manca il verde cupo degli alberi di agrumi, l’occhio incontra le vigne coi loro filari lunghi e regolari, gli orti piantati di alberi fruttiferi, qualche uliveto, qualche raro pezzetto di terra seminata e dappertutto segni del lavoro più accurato, più perseverante, più regolare”. ( 1 )

Non facciamo fatica, specie sulla scorta di alcuni libri che dell’argomento trattano, ad immaginare per Bagheria e per i terreni non ricadenti nei suoi confini amministrativi ma che di bagheresi sono proprietà, quell’eden ambientale ed operoso sopradescritto.

Sono anni di grande sviluppo economico fondato, a Bagheria, soprattutto sulla coltivazione della vite che, già a metà del secolo, predominava su ogni altra coltura. Ma, come scrive Vincenzo Lo Meo, “la consistenza del vigneto sarebbe da lì a poco aumentata a seguito dello smembramento del feudo dell’Accia di proprietà ecclesiale voluto all’indomani dell’Unità dalla legge Corleo del 1862 che portò alla assegnazione nell’agosto del 1865 di circa 450 ettari di terreno incolto agli agricoltori del comprensorio”. ( 2 )

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Si trattò di circa un migliaio di bagheresi; ad ognuno di essi toccò mezzo ettaro di terra divisa in strisce strette e lunghissime, “ma era terra ottima “ e i braccianti e i piccoli proprietari cui, secondo Giuseppe Speciale, a Bagheria essa fu data, “erano eccellenti vignaioli. L’ex feudo sul quale al momento dell’esproprio furono contati cento alberi…divenne nel giro di pochi anni un immenso giardino"

Durerà un quindicennio; nel 1880 in Sicilia ( e a Bagheria ) giungerà la Fillossera che distruggerà le piante e l’economia del vino. I bagheresi allora si attrezzeranno per mutare tipo di coltura, economia e paesaggio agricolo.

Scrive ancora Vincenzo Lo Meo: “I terreni asciutti e quelli nei quali l’acqua non era abbondante furono utilizzati per buona parte e per i successivi trent’anni per la coltivazione del pomodoro e altre ortive in coltura asciutta che alimentarono una fiorente industria di trasformazione di conserve alimentari ed in particolare della salsa di pomodoro in scatole di latta all’epoca all’avanguardia in Europa”. ( 4 )

Ma l’industria conserviera aveva avuto un pioniere nella persona dell’imprenditore Giuseppe Verdone che, nel 1857, aveva creato a Bagheria il primo stabilimento e, nel 1879, dopo vent’anni di attività ,si era presentato ad un concorso, svoltosi a Caltanissetta, particolarmente importante perché comprendeva tutte le provincie siciliane.
Scrive Emanuele Nicosia: “Questo fu, per quanto ne sappiamo, l’esordio di Verdone e quindi della produzione bagherese sulla scena delle esposizioni agro-industriali in Sicilia”. ( 5 )

Per il periodo che ci interessa, cioè gli anni settanta dell’ottocento, dopo il vigneto la seconda coltura in termini di estensione era l’ulivo; terreni a sommacco e seminativi arricchivano il panorama agricolo.

E gli agrumi? Iniziava in quegli anni, con l’approvvigionamento dell’acqua per uso irriguo, il loro sviluppo. Dai soli 29 ettari ad agrumi censiti nel 1853 arriveremo ai 180 ettari del 1890; nessun paragone comunque con l’estensione della coltura del limone nella vicina conca d’oro ricca d’acqua. Ma, se questa era la diversità, i due territori avevano un denominatore comune: la violenza.

Riprendiamo Franchetti e Sonnino laddove essi, non fermandosi alla impressione del primo impatto, scrivono: “I colori cambiano, l’aspetto di ogni cosa si trasforma…in quel tal luogo è stato ucciso con una fucilata partita da dietro a un muro, il guardiano del giardino, perché il proprietario lo aveva preso al suo servizio invece di altro suggeritogli da certa gente che s’è presa l’incarico di distribuire gli impieghi nei fondi altrui, e di scegliere le persone cui dovranno darsi a fitto. Un poco più in là un proprietario che voleva affittare i suoi giardini a modo suo si è sentito passare una palla un palmo sopra il capo, in via di avvertimento benevolo, dopo di che si è sottomesso. …Le violenze, gli omicidi, pigliano le forme più strane . …Dopo un certo numero di tali storie, tutto quel profumo di fiori d’arancio e di limone principia a sapere di cadavere. …"

altLa violenza va esercitandosi apertamente, tranquillamente, regolarmente; è nell’andamento normale delle cose”. ( 6 )

C’era anche a Bagheria, perché di questo si tratta, la mafia? E quella violenza era nell’ordine delle cose anche a Bagheria?

Antonino Morreale annota i dati contenuti in un rapporto del 1877 del questore di Bagheria riguardanti gabelloti e campieri in odore di mafia i cui reati andavano dal taglio delle viti, al manutengolismo, al sequestro di persona, all’omicidio.

Costoro, su un totale di 42 proprietà, erano presenti in almeno 18 di esse. Vale la pena elencare queste proprietà : Scotto, Serradifalco, Incorvina, Rajata, Accia, Parisi, Marino, Aspra, Palma, Coglitore, Bellacera, Chiarandà, Cifalà, Spucches, Mondello, Sperlinga, Chiusa di Solanto, S. Marco. Esse appartenevano in genere a nobili, ma anche a borghesi e, perfino, al demanio ( Accia ).( 7 )

Per quanto riguarda la violenza a Bagheria durante quegli anni , non possiamo non rivolgerci al racconto estremamente realistico di Antonino Cutrera, delegato di P.S. e scrittore, tra i primi, di cose di mafia.

“Era a quel tempo cancelliere della pretura di Bagheria il sig. Gaspare Attardi…si mostrava molto zelante e rigoroso nell’adempimento dei suoi doveri d’ufficio, specialmente per la parte penale; perciò la mafia non lo vedeva di buon occhio. …Mentre una sera camminava sulla pubblica via, tenendo per mano l’undicenne figliuolo a nome Emanuele, nel rincasare, e precisamente mentre stava per porre il piede sulla soglia della sua casa, fu fatto segno ad un colpo di fucile, che gli freddò lo sventurato figliuolo”. ( 8 )

Il ragazzino morì l’8 novembre del 1874; pare che il padre avesse contribuito a riconoscere e fare arrestare un tale che si riteneva mafioso.
Aguglia Giuseppe era caporale delle guardie campestri di Bagheria. …Ligio al suo dovere…con zelo si prestava a favorire le autorità e la forza pubblica, fornendo tutte quelle notizie che potevano interessare la giustizia. …Trovandosi l’infelice Aguglia a passeggiare con la moglie per una via di Bagheria da uno sconosciuto fu ucciso con una pistolettata al cuore”. ( 9 )

L’uomo morì la sera del 15 giugno 1876; pare che, sconvolto dai misfatti compiuti dalla mafia, dicesse di volersi adoperare per un’opera di risanamento morale di Bagheria.

A "Tomaselli Ferdinando…in una sola notte gli recisero in un suo vigneto, ben dodici mila piante di vite; questo non bastando, occorreva fargli sapere che la sua morte era vicina, perciò nello stesso vigneto in mezzo agli avanzi della vandalica devastazione, formarono una specie di cataletto con canne; ai piedi posero una carica di polvere, ed una palla di piombo, su di una canna conficcata nel terreno un pezzo di carta con le parole in dialetto: Sei futtutu ( sei fottuto ), cioè, sei prossimo a morire...

La mafia anche questa volta provò che le sue minacce non sono vane: infatti due anni e mezzo dopo quel fatto mentre Tomaselli, verso l’alba di un giorno di maggio stava sulla via, fu avvicinato da quattro persone che gli fecero una scarica con i loro fucili e lo stesero morto al suolo. La sentenza era stata eseguita”. ( 10 )

Secondo Antonino Morreale, il Tomaselli ( che nel Morreale diventa Tomasello ) venne ucciso il 30 dicembre del 1876 ( e non a maggio ); e, probabilmente, le cose stanno così se, secondo lo stesso Cutrera, venne ucciso due anni e mezzo dopo il taglio delle viti che era avvenuto il 27 maggio del 1874; era un mafioso ma “verso il 1876 erasi manifestata una specie di antagonismo fra lui e i più influenti della mafia”. ( 11 )

Sciortino Francesco era un servo di Tomaselli, al quale era affezionato. … Non tardò neanche per lui la vendetta; dopo poche sere da due individui appostati poco lungi dalla sua casa gli furono sparati due colpi di fucile , che fortunatamente non l’uccisero”. ( 12 )

Perché quel tentato omicidio? S’era trovato “un fucile snodato a due canne, nel fondo Palagonia…pel quale appunto si sapeva nel pubblico che erano passati gli assassini…nel fuggire, dopo commesso il delitto”. ( 13 )

Lo Sciortino, fattasi consegnare quell’arma da chi l’aveva trovata, era corso a consegnarla al delegato. Antonino Cutrera riporta dunque tre omicidi e ( non considerando Attardi padre )un tentato omicidio ritenendoli “tali da darci una prova assoluta della capacità delittuosa della mafia”. ( 14 )

Ma, in quegli anni, numerosi furono i misfatti che a Bagheria si verificarono. Antonino Morreale, non calcolando il tentato omicidio Sciortino, evidentemente del ’77, elenca quanto di delittuoso avvenne dal 1872 al 1876, riportando 13 omicidi, 2 tentati omicidi ( compreso stavolta quello di Attardi padre ), 4 danneggiamenti ( taglio di viti ). ( 15 )

In una nota scrive: “ Per quei cinque anni una media annua di 2,6 omicidi e di 21 ogni 100 mila abitanti, cifre che fanno impallidire i 7 assassinati del 1960-66 ( media annua di 1 e quoziente 2,92 per centomila abitanti ) e i 16 del 1978-84 ( media annua di 2,2 e quoziente 5,70 per 100 mila abitanti ) periodi entrambi di intensa attività mafiosa “. ( 16 )

Responsabile di quella violenza fu ritenuta una associazione di malfattori che era chiamata dei Fratuzzi, considerata filiazione diretta di analoga associazione nata negli stessi anni a Monreale , detta degli Stoppaglieri.

Biagio  Napoli

 

NOTE
1.Leopoldo Franchetti, Sidney Sonnino, La Sicilia nel 1876, libro 1, Condizioni politiche e amministrative
della Sicilia ( L. Franchetti ), Firenze, Tipografia di G. Barbera, 1877, p. 2, archive.org>…> American Libraries
2.Vincenzo Lo Meo, Il limone perduto, I cinquant’anni della limonicoltura nel comprensorio di Bagheria,
Il nuovo Paese, Bagheria 2010, p. 34
3.Giuseppe Speciale, Introduzione a Bagheria Solunto Guida illustrata, Edizioni “Casa di Cultura “-Bagheria
1911, Ristampa anastatica a cura della Civica Amministrazione di Bagheria, dicembre 1984
4.Vincenzo Lo Meo, op.cit., p. 35
5.Emanuele Nicosia, Bagheria operosa, Istituto Poligrafico Europeo, Palermo 2010, p. 32
6.Leopoldo Franchetti, Sidney Sonnino, op. cit., pp.3-5
7.Antonino Morreale, La vite e il leone, Storia della Bagaria, Secc, XII-XIX, Editrice CIranna, Palermo 1998,
pp.405-410
8.Antonino Cutrera, La mafia e i mafiosi, origini e manifestazioni, Alberto Reber, Palermo 1900, pp.149-150
archive.org>…>American Libraries
9.Ivi, pp. 147-148
10.Ivi, p. 147
11.Ibidem
12.Ivi, pp. 148-149
13.Ibidem
14.Ivi, p. 147
15.Antonino Morreale, op. cit., pp.412-413
16.-Ivi, nota n. 87, p. 429

Settembre 2013 Biagio Napoli


 

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