Bagheria dei misfatti 10. Esistevano davvero le sette di fratuzzi e stuppagghieri? di Biagio Napoli

Bagheria dei misfatti 10. Esistevano davvero le sette di fratuzzi e stuppagghieri? di Biagio Napoli

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Ma davvero esistevano quelle “sette”?

Anche Cesare Lombroso cita il rituale di associazione dei Fratuzzi di Bagheria descrivendolo con una variante importantissima rispetto a come riportato in precedenza e rispetto ad altre associazioni come quella, ad esempio, degli Stoppaglieri della vicina Monreale.

Scrive dunque il Lombroso: “ Originali erano i riti di ammissione. Al candidato si pungeva un dito; col sangue che usciva dalla ferita si spruzzava l’immagine di un santo, quindi l’immagine si abbruciava e le ceneri venivano sparse al vento. Superata questa prima prova, il neofita era condotto in una grande sala, dov’era appeso un Cristo, gli si dava in mano una pistola, ed egli doveva, senza tremare, spararvi un colpo contro, per dimostrare che, dopo di aver tirato al Signore, non avrebbe difficoltà ad ammazzare il padre od il fratello, quando la società lo volesse. Dopo di che il candidato veniva creato fratuzzo”. ( 1 )

La variazione cui facciamo riferimento è evidentemente quell’atto sacrilego costituito dal colpo di pistola contro la divinità, una blasfemia che rimanda ad una particolare ferocia del malfattore bagherese. Ma questo è il Lombroso; peraltro qualcuno mette in dubbio che durante quegli anni davvero esistessero sette strutturate con riti di iniziazione, segni di riconoscimento tra gli adepti, addirittura statuti. ( 2 )

Scrive Henner Hess: Molti autori riferiscono l’esistenza di varie associazioni a delinquere nel decennio 1870-80. …Per tutte si indicano riti di iniziazione… .Inoltre si menzionano spesso parole d’ordine sotto forma di dialoghi particolari… .Si può tentare di seguire la storia dei riti di iniziazione e delle parole d’ordine finchè affiorano come segno di riconoscimento dell’associazione segreta mafia. Nell’esame delle fonti si dovrebbe risalire non solo alla camorra, ma anche alle sette segrete dei massoni del regno di Napoli, ( anzi, alle dicerie relative a questi fenomeni). … E’ senz’altro possibile che nelle carceri vi fossero congiure con riti simili a quelli napoletani, o brutte copie di quelli massoni a carattere politico- rivoluzionario”. ( 3 )

Ne deriva, secondo Hess, che Salvatore D’Amico, il nostro pentito, “che era stato in carcere per anni” ( 4 ), abbia potuto denunciare l’esistenza di “sette” mafiose e delle loro relative cerimonie, rifacendosi alla sua esperienza carceraria . E il D’Amico, come sappiamo, è testimone assente dei processi a Stoppaglieri ed a Fratuzzi da lui denunciati.
Scrive Amelia Crisantino: “D’Amico non depone in aula, perché già ucciso; la sua figura è molto sfuggente e le dichiarazioni a lui attribuite appaiono costruite ad arte” . ( 5 )
Dalla polizia? Dopo l’Unità d’Italia l’ipotesi di una congiura antigovernativa accomunava in questa sia oppositori politici che criminali; La Destra al potere elaborava la teoria dell’esistenza d’una associazione segreta che avvolgeva come una rete malefica il circondario palermitano. Ma, paradossalmente, gli anni in cui più intensa diviene la ricerca di tale rete, con la sua scoperta e i primi grandi processi a suo carico e alla mafia, sono invece quelli dell’insediamento al potere della Sinistra storica ( 1876 ).

altQuestore di Palermo e delegati dei paesi del circondario si impegneranno al massimo in ottemperanza alla decisione, tutta politica, di trovare quella segreta e ramificata associazione di malfattori. Tra i delegati il più solerte fu, naturalmente, Emilio Bernabò.

Scrive Amelia Crisantino: “La personalità e i problemi del delegato Bernabò influenzano pesantemente il suo lavoro. E’ uno dei tanti funzionari di basso livello che vivono il trasferimento dal nord come una deportazione…e prima di arrivare a Monreale, gli ultimi due anni della vita di Bernabò sono un turbinio di trasferimenti che hanno gravi ripercussioni su una economia familiare già molto fragile. …E’ delegato di terza classe, ha moglie e due figli. …Il delegato Bernabò si dà molto
da fare, per senso del dovere e per bisogno, visto che in genere alle azioni più importanti segue una gratifica in denaro o una promozione col relativo aumento di stipendio”. ( 6 )

Ben grama doveva trascorrere la vita dei delegati se gli stessi problemi di Emilio Bernabò li ebbe Antonino Cutrera, anch’egli delegato di terza classe e, come già sappiamo per le numerose citazioni, tra i primi scrittori, con Giuseppe Alongi, di cose di mafia. I due autori, per i loro libri, prenderanno a piene mani dal materiale prodotto dal delegato Bernabò e dal questore; sono questi, col pentito Salvatore D’Amico, a “creare” la setta degli stoppaglieri e la rete di quegli oscuri legami che stringono in una sola grande associazione i tronconi ( tra cui i fratuzzi di Bagheria ) presenti nei paesi della provincia.

Il Cutrera e l’Alongi prenderanno per buono quanto prodotto dalla polizia ma incorreranno nelle feroci critiche di Henner Hess .( 7 )
A non credere all’esistenza delle associazioni di malfattori sono, ovviamente, sia i notabili di Monreale che quelli di Bagheria. Durante la primavera del ’78 si terrà alla Assise di Palermo il primo processo contro gli stoppaglieri.

Scrive Amelia Crisantino: “Il 3 e il 4 maggio sfilano i notabili: Antonino Leto, già sindaco, Giuseppe Inghilleri, Andrea Di Bella, già sindaco, Angelo Sangiorgio, Vincenzo Vaglica, il conte Ranchibile ( garantirà personalmente per Pietro Gorgone, che è stato fattore presso suo fratello il principe ), il parroco Salvatore Mirto; tutti quanti a giurare che gli imputati sono bravissime persone”. (8 )

Anche a Bagheria, così come a Monreale per gli stoppaglieri, a disconoscere l’esistenza dei fratuzzi ritroviamo ricchi borghesi rappresentanti del potere politico, nobili e, ancora, sacerdoti.

Scrive Antonino Morreale: “L’esistenza stessa della setta mafiosa è messa in forse: non ci crede Alessandro Pittalà, non ci crede il principe Lanza che dall’alto del suo rango decreta che “quelli di Bagheria non sono neanche capaci di capire il significato di setta, l’ex sindaco Castronovo, il fratello sacerdote Francesco e il sindaco Mancuso dichiarano che sono tutte “favole”. ( 9 )

Alessandro Pittalà è futuro sindaco, Angelo Castronovo fa parte dei 108 denunziati ( soltanto 31 di essi verranno processati ), padre Francesco Castronovo, suo gemello, illustre pedagogo e artefice dell’istruzione a Bagheria, evidentemente ha a cuore soprattutto gli interessi della famiglia, Giacomo Mancuso è sindaco
facente funzione e medico condotto, dopo decenni, ancora in carica.

Nonostante loro, e gli avvocati della difesa, “il 22 aprile 1879 il tribunale di Palermo accertato che si trattava di vera associazione a delinquere in numero superiore a cinque avente per scopo di “padroneggiare il paese e trarre lucri nei pubblici e privati negozi” condannò 29 persone in base all’articolo 4326 del codice penale per “associazione di malfattori”. ( 10 )
L’importanza della condanna dei fratuzzi, che era condanna della mafia e non di singoli delitti, venne tuttavia ridimensionata dall’esito, l’anno successivo, del secondo processo agli stoppaglieri la cui assoluzione metteva in crisi il teorema secondo cui la mafia, nata a Monreale, da qui si era diffusa nei paesi vicini rimanendovi strettamente collegata.

Cos’era avvenuto? Alla Assise di Palermo dodici stoppaglieri erano stati riconosciuti colpevoli e condannati ( 16 maggio 1878 ); un vizio di forma nella costituzione della giuria aveva però portato la Cassazione ad annullare quella sentenza; il processo bisognava rifarlo e, per legittima suspicione, lo si ricelebrò a Catanzaro. Qui gli avvocati della difesa che, e per causam, non credevano all’esistenza della setta, non solo attaccarono pesantemente Salvatore D’Amico sulle cui “false” dichiarazioni si era fondato il processo, ma sostennero anche, con la Sinistra ormai al governo, che le accuse agli stoppaglieri avevano il fine di accreditare le leggi straordinarie di pubblica sicurezza proposte dalla Destra.

altE, infine, l’arringa dell’avvocato Marinuzzi non termina con una perorazione sicilianista? E’ convinta la giuria calabrese, è convinto il presidente del tribunale che , nativo di Palermo, se ammette l’esistenza della setta, “reca offesa al proprio paese”. ( 11 )

E’ la prova generale per quell’altra orgia di sicilianismo che, all’inizio del Novecento, con la formazione, addirittura, di un “Comitato pro Sicilia” capeggiato da uomini di cultura come il Pitrè, porterà all’assoluzione degli imputati in un altro grande processo alla mafia, quello agli assassini del commendatore Emanuele Notarbartolo.

Aprile 2014 Biagio Napoli

 

NOTE
1-Cesare Lombroso, L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza ed alle disciplinecarcerarie, quinta edizione, Fratelli Bocca Editori, Torino 1896, vol. 1, p. 641; https:// archive.org/stream/luomodelinquent00lombgoog#page/n697/model/2 up

2-La cosca dell’Uditore è la prima associazione di cui si hanno notizie ricavate da una relazione del questore del 28 febbraio 1876 ( Salvatore Lupo, Storia della mafia, dalle origini ai nostri giorni, Donzelli Editore, Roma 2004, p. 70 ). Sia il rito di affiliazione che il modo di riconoscersi tra affiliati sono analoghi a quelli
degli stoppaglieri di Monreale.

Un articolo del Giornale di Sicilia del 21 agosto 1877 del redattore giudiziario del giornale riporta lo statuto, il rito di iniziazione e il modo di riconoscersi degli stoppaglieri . L’articolo viene integralmente citato da Giuseppe Montalbano nel suo Mafia politica storia, Scuola Tipografica “Boccone del Povero”, Palermo nov. 1982, pp. 58-65.

Scrive Antonino Cutrera: “Quanto ai segni di rico- noscimento troviamo che essi sono quasi identici in tutte le associazioni, tranne qualche lieve variante.
Per esempio tanto gli stoppaglieri quanto i fratuzzi, forse per la vicinanza delle rispettive sedi, e per la contemporaneità in cui esistettero, tenevano unico mezzo e consisteva nel seguente breve dialogo:
-Ahi, ca mi doli lu scagghiuni!
-Avi assai ca vi doli lu scagghiuni?
-Da festa ra ‘Nunziata.
-Cu c’era?

-Tizio, Caio, Sempronio chi mi hannu ricivutu da fratuzzu. ( La mafia e i mafiosi, origini e manifestazioni, Alberto Reber, Palermo 1900, p. 123; archive.org>…> America Libraries

3-Henner Hess, Mafia, prefazione di Leonardo Sciascia, Laterza, Roma-Bari 1991, pp. 138-140

4-Ivi, p. 140
5-Amelia Crisantino, Della segreta e operosa associazione, una setta all’origine della mafia, Sellerio
Editore Palermo,2000, p. 16
6-Ivi, pp. 144-145

7-Sulla vicenda umana di Antonino Cutrera si veda Mario Genco, il delegato, Sellerio Editore Palermo, 1991; quanto a Giuseppe Alongi, scrive il Genco ( pp. 15-16 ), fu invece “funzionario di polizia destinato a brillante carriera di questore e, anche lui, ad un posto fisso nelle bibliografie degli scrittori di mafia.
Dell’Alongi è infatti La maffia nei suoi fattori e nelle sue manifestazioni, Studio sulle classi pericolose della Sicilia, Fratelli Bocca Editori, Torino 1887, archive.org>eBook and texts>American Libraries, ripubblicato nel 1977 da Sellerio con introduzione di Henner Hess.

A pagina 141 troviamo la formula del giuramento degli affiliati alla setta della Fratellanza di Favara : “Giuro sul mio onore di essere fedele alla Fratellanza come la Fratellanza è fedele con me; come si brucia questa santa e queste poche gocce del mio sangue, così verserò tutto il mio sangue per la Fratellanza; e come non potrà tornare questa cenere nel proprio stato e questo sangue un’altra volta nel proprio stato, così non posso rilasciare la Fratellanza”.
Una rivalutazione dell’opera dei due autori dell’ottocento si ha in Salvatore Lupo, il tenebroso sodalizio, XL edizioni, Roma 2011

8-Amelia Crisantino, op. cit., pp. 225-226
9-Antonino Morreale, La vite e il Leone, Storia della Bagaria, Sec. XII-XIX, Editrice Ciranna, Roma-Palermo
1998, p. 416
10-Ivi, pp. 416-417
11-Amelia Crisantino, op. cit., p. 256

Aprile 2014 Biagio Napoli

 

 

 

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