Brividi di mezzanotte a Palazzo Cutò

Brividi di mezzanotte a Palazzo Cutò

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Saranno ancora…“Brividi a mezzanotte”.
Si rinnova infatti l’appuntamento con il cinema di qualità con la quinta edizione della mini rassegna notturna ideata e curata dalla Pro Loco cittadina,

 

che avrà come suggestiva cornice quella ormai consueta dell’affascinante corte Intima di Palazzo Aragona Cutò.

La scelta dei film, operata dai curatori della rassegna, muove da un filo conduttore che lega autori diversissimi tra di loro: la Sicilia con la sua anima (e la sua mala anima) in cui - come per l’ulivo e l’olivastro in terra di moderna odissea - tempeste e naufragi, oblii e mutazioni segnano la costante presenza del barbarico e mostruoso mondo abitato da ciclopi e da pirandelliani Giganti della montagna.

Un’Isola che ci verrà mostrata da quattro punti di vista diversi; immagini di quel che siamo stati che si rifletteranno in una galleria degli specchi lungo un percorso di ricerca (non privo di ostacoli) dell’identità di ciascuno di noi. Lungi dai curatori della rassegna la pretesa di coglierla nella sua interezza, si vuole qui segnalare solo la felice intuizione degli stessi nell’aver ben assemblato osservatori diversi in una sintetica operazione sul come eravamo, con la speranza di capire – un poco di più – alla fine, come siamo.

Pietro Germi, Luchino Visconti, Lina Wertmuller, Roberto Benigni: quattro registi dunque per quattro “Sicilie” diverse ed ostinatamente però sempre uguali.
L’ineluttabile destino, la pesante pigrizia ed il senso sempre presente della morte “come un continuo brusìo all’orecchio” ne Il Gattopardo – costituiscono l’inconfutabile humus di una Sicilia (impareggiabilmente descritta da Giuseppe Tomasi di Lampedusa) sospesa perennemente tra il proprio passato ed un futuro visto con occhio disincantato e scettico; che sembra fatalmente incombervi; futuro che non è mai realmente tale essendo - storicamente - mutamento di facciata. “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” è l’arcinota frase che aleggia nel film assieme all’altra (altrettanto famosa) che pesa come una condanna: “E dopo sarà diverso. Ma peggiore”.

La Sicilia grottesca di Divorzio all’Italiana vista attraverso la maschera ripugnante e patetica del barone Fefè e l’ipocrisia giuridica e di costume dell’articolo 587 del Codice di Procedura Penale: il delitto d’onore. La sacralità della fedeltà, dell’onore, della famiglia, spazzata via dalla fresca sensualità, tanto acerba quanto vitale di Angela, lolita sbocciata come un fiore nel deserto del conformismo di una società prigioniera della sua stessa doppia morale. Il piede galeotto della Sandrelli, sul finale del film, è quasi una pietra tombale sul becero machismo siculo. E’ la fine dell’innocenza, ma al contempo - a modo suo - un manifesto femminista. Passando dal barone Fefè al Mimì Metallurgico dei primi anni ‘70, attraversando d’un fiato il destino di una decadente aristocrazia siciliana (1860), la società meridionale dell’immediato dopoguerra (1960) per arrivare all’operaio siculo emigrato al nord, pseudo-emancipato e… marxista, si scopre che poco o nulla è cambiato; semmai sono aumentate le frustrazioni, mai affrancati da quel macigno che inchioda fino a pretendere il rispetto di precisi quanto atavici codici non scritti.
Non c’è alcuna metamorfosi, muore la trasformazione ideologica, così come muoiono il tentativo di emancipazione e lo slancio verso “la civiltà nordica”. Rimane negli occhi e nella mente il goffo volo di chi sembra avere solo, alla fine, ali di piombo. Condannati alla coppola, si direbbe.

Ed infine, l’occhio geniale e disincantato del Benigni dei primi anni ’90 per leggere con (solo apparente) candore Sicilia e sicilianità. Disarmato e disarmante il Benigni di Johnny Stecchino porta in superficie tragedie e miserie, facendoci sorridere. Ma solo per un attimo. L’attimo successivo infatti è già amarezza perché quel candore diventa potente strumento di contrasto capace di far risaltare - come il più luminescente degli evidenziatori - i nostri quotidiani drammi. In Johnny Stecchino, commedia degli equivoci scritta a quattro mani con Vincenzo Cerami, “mafia” - così come ne La vita è bella “nazismo” - sono letti con lo stesso occhio (candido ed ingenuo). E proprio per questo, se è possibile, fanno ancora più paura.
Buona visione a tutti!

L'articolo di Giusy Buttitta è quello pubblicato nella brochure di presentazione dell'iniziativa della Pro Loco.

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