C'era una volta la Festa di San Giuseppe - di Mimmo Gargano

C'era una volta la Festa di San Giuseppe - di Mimmo Gargano

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L’estate era al suo culmine, tutte le pratiche agricole necessarie nella coltivazione dei limoni, la potatura, la zappatura ed infine la prima irrigazione delle piante –che erano state tenute a regime secco fino al loro appassimento-, erano state portate a termine; grazie alla raccolta dei verdelli ( i bastardoni) era il momento in cui in paese giravano parecchi soldi.

I cittadini bagheresi , specialmente se l’annata era stata soddisfacente, si accingevano ad usare una buona parte di quei soldi per soddisfare alcune necessità non fondamentali (come comprare un vestito nuovo per sé e i familiari, sistemare la casa con la costruzione di qualche vano o con l’apporto di qualche miglioria) che erano state fino ad allora rinviate.
limoniIn quell’epoca ben poche persone non erano, in un modo o in un altro, coinvolte nell’economia dei limoni: i braccianti avevano avuto lavoro in abbondanza, i commercianti di limoni avevano fatto i loro affari, i produttori, dai più piccoli ai più grandi, avevano avuto il loro guadagno; fino ai primi anni ‘70 l’economia di Bagheria, e si può dire tutta la vita del paese, ruotavano attorno ai limoni, la loro coltivazione, la commercializzazione, e, anche se in minima parte, la lavorazione per la produzione di semilavorati.
Era quindi il momento di ringraziare il Santo Patrono sotto la cui protezione tutto era andato per il verso giusto. Si era costituito il Comitato organizzatore di cui facevano parte qualcuno dei maggiorenti locali e qualcuna delle personalità pubbliche più in vista. L’amministrazione comunale partecipava alla formazione del budget destinando una somma più o meno rilevante. I componenti del comitato, divisi in gruppi, andavano in giro per il paese sollecitando i commercianti e i semplici cittadini a donare generosamente per l’organizzazione della festa, a tutto questo si aggiungevano le offerte inviate specificamente per questo scopo dai bagheresi emigrati. Pertanto, specialmente nelle annate più favorevoli, la cifra che si metteva assieme era ragguardevole.

L’impegno del paese per festeggiare degnamente S. Giuseppe era cominciato in verità già da qualche tempo, i mercanti di stoffe avevano venduto “pezze e pezze” di tessuti, le tre o quattro sartorie artigianali erano da tempo impegnate a confezionare i capi di vestiario; i negozi di abbigliamenti confezionati, che cominciavano timidamente a comparire, facevano buoni affari. Anche le gioiellerie avevano un incremento dei loro affari stante l’usanza per cui in occasione della festa di s. Giuseppe i fidanzati regalavano alle fidanzate un gioiello piccolo o meno piccolo.
E finalmente arrivava la festa e non è esagerato dire che in quei giorni il coinvolgimento della cittadinanza era totale; ormai da giorni campeggiavano sui muri grandi manifesti con il dettaglio delle manifestazioni; già le parole usate per annunciare i vari eventi la dicevano lunga circa le intenzioni degli organizzatori: le luminarie, peraltro veramente imponenti, erano annunciate come “sfarzosa illuminazione delle vie e delle piazze cittadine” il rito religioso in onore del Santo si chiamava “solenne pontificale” e così via.
Lungo il corso principale erano già stati allestiti un numero straordinario di stand che offrivano specialità dolciarie e “ scaccio” (mix di frutta secca e semi abbrustoliti) di ottima qualità, mentre nella piazza antistante gli ingressi alle ville Trabia e Valguarnera erano sistemati i baracconi che offrivano divertimenti vari, dall’autoscontro alle giostre per piccoli e grandi. Un appuntamento fondamentale erano le corse dei cavalli che si svolgevano lungo il corso Butera dalla “punta aguglia” al “palazzo” con un percorso in salita molto impegnativo, capaci di catturare un enorme interesse e di dare origine ad un tifo da stadio – come si direbbe ora-. I fantini montavano a pelo ed episodi di disarcionamento non erano infrequenti; ogni tanto un cavallo scosso veniva recuperato anche abbastanza lontano dalla zona della gara; per quanto mi ricordi tra i fantini ce ne era sempre uno, che presto diventava il beniamino della folla e chissà perché era sempre identificato come “u picciriddru”; nei primi due giorni si svolgevano le corse per selezionare i cavalli che avrebbero corso in finale nel terzo e ultimo giorno. A concludere il tutto c’era la “corsa della bandiera” che assegnava il palio. Purtroppo, anche se lo si vorrebbe, è difficile negare che spesso intorno a questa manifestazione giravano personaggi ed interessi non esattamente commendevoli.

festaAppena era sera cominciava, imponente, il rito del passeggio nel corso Umberto illuminato a giorno, con famiglie intere che andavano su e giù, guardando e mostrandosi nei loro abiti spesso nuovi, confezionati o comprati per l’occasione; si consumavano quintali di bevande e dolciumi, e di “scaccio”.
Per chi ne avesse voglia vi era la possibilità di ascoltare della (buona) musica suonata dal palco in piazza madrice da formazioni musicali di tutto rispetto, come erano la banda dei Carabinieri o di altro Corpo; i brani eseguiti erano di solito tratti da opere liriche o da operette; a nostro giudizio si può affermare che questa pratica abbia contribuito a creare ed alimentare quel poco di cultura musicale diffusa presente dalle nostre parti; (anche sotto un altro aspetto si può affermare che la festa del patrono costituiva uno stimolo per la cultura, se è vero che erano i giorni della festa quelli in cui l’unica libreria di Bagheria vendeva decine e decine di copie di libri tra cui i più richiesti erano: i Reali di Francia, i Paladini di Francia, I Beati Paoli ecc.)

Solo in un momento successivo lo spettacolo musicale cominciò a reggersi sulla presenza di “cantanti” che avevano acquistato notorietà grazie alla televisione che si andava diffondendo; erano comunque personaggi importanti del panorama della musica leggera il cui ingaggio costava fior di quattrini e impegnava una buona parte del budget; riuscire a portare a Bagheria personalità di spicco del panorama musicale costituiva fiore all’occhiello per gli organizzatori.
Altro appuntamento immancabile per molti era la Processione del simulacro del Santo Patrono che partendo dalla Chiesa Madre si svolgeva lungo le vie del paese, e non solo quelle principali. La partecipazione, in parte dettata dalla fede, in parte consigliata da motivi scaramantici, era veramente massiccia. Nelle vie che sarebbero state percorse dal corteo i balconi erano ornati con coperte riccamente ricamate e spesso era anche esposto un asse di legno su cui erano montate delle lampade elettriche che venivano accese al passaggio del Santo creando effetti di una certa suggestione.
Ma la festa non si esauriva solo nelle manifestazioni che si svolgevano nelle vie e nelle piazze centrali; un po’ in tutti i rioni popolari, che erano anch’essi dotati di qualche luminaria, era frequentissimo vedere la partecipazione diffusa della gente sotto forma di mangiate “babbaluci”, anguria, scaccio, organizzate sui marciapiedi (dove c’erano) o direttamente sulla strada.
Alla conclusione dello spettacolo musicale del terzo giorno di festa si vedeva la folla sciamare in direzione dello stadio ove “si sparava” “il gioco di fuoco” sulla cui imponenza si giocavano, talora, le sorti di qualche uomo pubblico.
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Questo avveniva negli anni d’oro dell’economia di Bagheria; poi venne la crisi, dell’agrumicoltura e, di riflesso di Bagheria. Quella che prima era una ricchezza diffusa che toccava un po’ tutti -anche se in parti diseguali- diventò sempre più appannaggio di pochi personaggi che trovarono il modo di speculare sui sostegni forniti dalla mano pubblica alle difficoltà del settore agrumicolo.
Si assistette ad un impoverimento diffuso dei lavoratori agricoli e dei piccoli proprietari mentre alcuni grandi proprietari speculavano sullo “scafazzo” e sulla vendita dei terreni agricoli che cingevano il paese, trasformati in aree edificabili. Anche grazie a questo iniziò uno dei più vistosi casi di speculazione edilizia di cui si abbia notizia e i cui effetti non sono ancora del tutto conclusi.
Alla fine forse anche il Santo Patrono si stancò di fornire la sua protezione a simili fenomeni, e da allora il declino di Bagheria si è sempre più approfondito con inevitabili ripercussioni anche sulla festa di San Giuseppe ridotta ormai a livelli da “minimo sindacale”.
Buona festa a tutti

Domenico Gargano

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