"Appunti per una storia di Bagheria" III° parte - di Giuseppe Speciale

"Appunti per una storia di Bagheria" III° parte - di Giuseppe Speciale

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Branciforti contro Branciforti.

Il Mazzarino nel 1649 si era fatto coinvolgere in una congiura che aveva come scopo quello di elevare al trono di Sicilia un barone dell’isola.
Il prescelto, almeno formalmente, era, anzi, lo stesso Mazzarino.

Era poi venuto fuori che il vero candidato dei congiurati era un nobile spagnolo da poco venuto in Sicilia, il conte di Montalto. E proprio questa circostanza aveva indotto il Mazzarino a svelare la congiura al vicerè.
La reazione degli spagnoli fu violenta e alcuni congiurati, due avvocati e un prete, ci rimisero la testa. 

Il Mazzarino, colpito in un primo tempo dai fulmini del vicerè che era in quel tempo il sanguigno Giovanni d’Austria (un bastardo asburgico), fu in seguito amnistiato e reintegrato in tutti i suoi diritti di feudatario.
Secondo l’aspettativa del conte di Raccuja non avrebbero dovuto esserci dubbi per la corte di Madrid.

Il titolo di principe di Butera non poteva che spettare a lui.
Madrid, invece, vedeva (e non poteva farne a meno) la questione in termini politici.

Gratificare del titolo di principe un nobile che era sempre stato fedele alla Spagna sarebbe servito a poco, meglio legare definitivamente alla Spagna un barone riottoso come il Mazzarino.

In questo senso furono date le opportune direttive ai giudici che dovevano dirimere sulla base del complicatissimo diritto successorio feudale vigente in Sicilia, la contesa fra i due cugini che, poi, erano anche cognati. (A destra, Francesco Branciforti)

E i giudici della gran corte civile, capita l’antifona, dettero partita vinta al Mazzarino sentenziando che sì il Raccuja aveva più titoli per succedere alla defunta cugina nel principato di Butera (tra l’altro, era più grande di età essendo nato nel 1614 mentre il Mazzarino era del 1620 e questo aveva gran valore nel diritto feudale) ma il Mazzarino, vivaddio, era un Branciforti “masculus ex masculo” mentre il Raccuja era soltanto un Branciforti ”masculus ex foemina”.

A quel punto, malgrado fosse stato inventato per lui il titolo di principe di Pietraperzia e gli fossero stati concessi alcuni dei feudi dell’immenso patrimonio dei Butera e fosse stato insignito dei titoli di grande di Spagna e di cavaliere del vello d’oro, il conte di Raccuja, arrabbiatissimo, si ritirò nel “casino” che aveva cominciato a costruire alla Bagaria.

In verità oltre che dalla delusione per la perdita del principato di Butera il conte di Raccuja fu spinto a rifugiarsi a Bagheria anche da una tragedia familiare, la morte dell’unico figlio, Baldassare, un bambino di otto anni, mancato proprio nello stesso periodo in cui il padre era impegnato nella battaglia giudiziaria per il titolo di principe di Butera (In foto, il castello di Butera).

lapide murria

Un’eco di questa tragedia si ha nella lapide marmorea che sovrasta lo scalone del cortile est del palazzo:

“ya la esperanza es perdida

Y un solo bien me consuela

Que el tiempo che pasa y buela

Me llevarà presto la vida”

Il dolore di un padre orbato del’unico figlio e l’amarezza di un piccolo conte che aspirava a diventare il primo principe di Sicilia sono, dunque , all’origine di Bagheria.

Ovviamente don Giuseppe Branciforti non intese, costruendo il palazzo, fondare una nuova città.

I veri fondatori di Bagheria, come abbiamo visto sono i successori del conte di Raccuja e, in particolare, il principe Salvatore.

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torre

La bellezza del paesaggio, la dolcezza eccezionale del clima spiegano in gran parte l’enorme successo che Bagheria ebbe per tutto il Settecento come zona di villeggiatura.

In un territorio tutto sommato di modeste proporzioni sorgono infatti, a cominciare dal 1700, più di una cinquantina di ville, tra auliche e meno auliche.

Notevoli ricchezze vengono profuse in queste costruzioni da un baronaggio che si è sempre distinto per le gale, il lusso e lo sperpero.

Cinquantaquattromila ducati costa la villa Valguarnera. Il principe di Comitini spende seimila onze per la villa che alla metà del Settecento è costretto a vendere, senza averla prima ultimata, al principe di Trabia, e questi ne deve spendere altre seimila almeno per completarla.

Impossibile poi fare il calcolo di quanto sia costata Villa Palagonia, la più ricca e bizzarra fra tutte quelle che sorgono nella campagna di Bagheria.

Un’attività edilizia così intensa che dura per circa un secolo non poteva, naturalmente, non avere importanti conseguenze sull’assetto del territorio.

Masse notevoli di artigiani affluiscono dalla città: sono muratori, carpentieri, cavatori, falegnami, ebanisti, decoratori, scultori, pittori etc...

I primi arrivati si sistemano nei catoi di Palazzo Butera e nei “dammuselli”, ma presto si manifesta la necessità di costruire altre case per tutti questi mastri che continuano ad affluire da Palermo. Come sempre avviene in questi casi mentre la mano d’opera qualificata affluisce da Palermo, la manovalanza, invece, viene reclutata sul posto tra i contadini che, come abbiamo visto, vivono sparsi per la campagna: alla Porcara, alle case dell’Accia, a Bellacera, a Chiarandà, nella contrada Amalfitano e sulle sponde dell’Eleuterio.

A poco a poco i contadini fissano la loro residenza nel nuovo centro abitato sia perché trovano più remunerate e durature le occasioni di lavoro sia perché cominciano ad apparirvi i primi servizi, quello religioso in primo luogo, quello dell’aromatario (l’antenato del farmacista), del cerusico, del notaio e così via.

Si apre qualche misera bottega.

Alla fine del Settecento cinque o seimila abitanti popolano Bagheria.
La maggior parte vive in terrani di non più di cinquanta metri quadrati (è questa la misura del “posto di casa”) nel nuovo rione sorto dietro la Chiesa Madrice e in quello della Chiesa delle Anime Sante (che assolve anche la funzione di cimitero).

La attività edilizia si va lentamente esaurendo.

Le grandi costruzioni sono ormai tutte ultimate e le case che cominciano a costruirsi i pochi borghesi (notai, amministratori, appaltatori del dazio, preti, medici, gabelloti e simili) non bastano per dare lavoro a tutti.

La popolazione artigiana è costretta a rifluire verso la campagna. Ma anche questa non può accoglierli tutti.

Inizia così una grave crisi che si protrarrà per tutta la prima metà del sec. XIX e oltre.

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foto

Questo malessere si manifesta in vari modi: nei tumulti seguiti alla “rivoluzione” palermitana del 1820 (a Bagheria si recluta una poderosa “guerriglia” che partecipa ad una delle numerose spedizioni contro la Sicilia orientale (Mistretta) che non aveva aderito alla “rivoluzione”);
nella sommossa scoppiata a seguito della violenta epidemia di colera del 1837 e, infine, nel 1848 quando le squadre guidate da Giuseppe Scordato, dopo avere assalito il presidio borbonico e fatti prigionieri 92 soldati, calanoa Palermo contribuendo in maniera determinante alla cacciata dei Borboni.

D’altra parte la vita delle ville settecentesche è effimera. Si può con certezza affermare che esse ebbero un certo splendore soltanto agli inizi dell’Ottocento quando Ferdinando e Carolina fuggiti precipitosamente da Napoli sotto l’incalzare dell’esercito rivoluzionario francese si rifugiarono in Sicilia assieme a tutta la numerosa corte di nobili.

Ferdinando trascorreva lunghi periodi nel palazzetto reale di Solanto (nella foto in basso: l'antica tonnara, n.d.r.), mentre la regina preferiva l’ospitalità degli Spedalotto nella loro villa di Bagheria.

La presenza di un esercito inglese nell’isola e della flotta nel Mediterraneo provocano d’altra parte un generale rialzo di prodotti agricoli siciliani (vino, olio, formaggi e grano in particolare) e questo fenomeno ha positivi riflessi anche a Bagheria che, come abbiamo visto, produce un ottimo vino bianco.

La fine della guerra contro la Francia e la restaurazione del vecchio ordine in Europa provocano nel 1816 una gravissima crisi nell’agricoltura della Sicilia e Bagheria ne risente in maniera acutissima.

D’altra parte l’angustia del territorio e la povertà delle colture che in esso si esercitano pongono il problema della conquista di nuove terre.

A sud dell’abitato si estende un vasto feudo appartenente ai monaci di Santa Cita che da sempre lo hanno abbandonato nelle mani di ingordi gabelloti. Non c’è un albero, non ci sono altre colture.

Quattrocentocinquanta ettari che potrebbero dare lavoro e pane a migliaia di persone sono lasciati a pascolo naturale.

E la conquista di queste terre diventa l’obiettivo dei contadini di Bagheria.
Con la rivoluzione del 1848 sembra che il sogno possa realizzarsi...

Giuseppe Speciale, giornalista, politico, storico

Continua....

 

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