"Non ne calpesteremo nemmeno uno", intervista all'autore Maurizio Padovano- di Stefania Morreale

"Non ne calpesteremo nemmeno uno", intervista all'autore Maurizio Padovano- di Stefania Morreale

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Non ne calpesteremo nemmeno uno è il titolo dell'ultimo libro di Maurizio Padovano, docente e scrittore bagherese. Il romanzo, ambientato a Bagheria durante gli anni del fascismo, è uno spaccato di vita quotidiana vista dagli occhi di un giovane studente liceale la cui vita verrà sconvolta dall'incontro con Lia, insegnante supplente di italiano.

Non ne calpesteremo nemmeno uno è l'elaborazione di una storia, di un fatto realmente accaduto, che Filippo Lo Medico aveva raccontato tempo addietro a Maurizio Padovano. "Filippo mi chiese di provare a raccontare questa storia e io ho potuto farlo soltanto quando ho compreso che la sua storia era diventata anche mia. Non c'è una intuizione originaria dietro al romanzo, ma solo il dono di un ricordo di giovinezza ricevuto da un mio amico" racconta l'autore. Il protagonista, Emilio Sessa, è un giovane particolarmente portato per la scrittura, con una visione del mondo forse troppo libera per i tempi bui dell'epoca, dotato di un grande senso di giustizia che lo spinge, insieme ai due inseparabili amici, verso imprese a metà tra il rivoluzionario e il ragazzesco. La vivacità intellettuale e l'elaborazione di idee di ribellione trovano terreno fertile all'interno del liceo classico Mazzini, frequentato dai tre, soprattutto grazie agli stimoli proposti dal Professore Gianni Guaita, prima, e dalla Professoressa Lia Senigaglia, dopo. "Gli insegnanti purtroppo hanno sempre un ruolo nella formazione degli allievi, anche in negativo. Lia e Gianni Guaita sono, in questo romanzo, la mia personale idea di 'buona scuola'. Insegnanti che, grazie al loro peculiare modo di sentire l'esistenza e la relazione con l'altro riescono a fare resistenza, in punta di piedi, a un sistema improntato all'obbedienza ideologica fino alla stupidità".

822 1Sia il Professore Guaita sia la Professoressa Senigaglia sono profondamente antifascisti, ma lo sono in maniera dignitosamente pacata, non violenta "Questi personaggi cercano di resistere al disastro generale lavorando sulle falle del sistema, facendo da "lievito" per la crescita culturale e politica, in termini di consapevolezza del presente, dei loro alunni, dei loro figli. L'eroismo schietto talvolta è anche mancanza di strategia, o perfino imbecillità. Sogno un mondo privo di eroi e di imbecilli. So bene che rimarrà un sogno". Il tema della lotta silenziosa e continua portata avanti, in primis, da alcuni docenti appare in tutta la sua forza nella frase del Professor Senigaglia, padre di Lia: "L’insegnamento,la cattedra, sono i nostri posti di combattimento". L'insegnamento come strumento di lotta, quindi, capace di trasformare il villaggio disabitato e arido che è diventato la società, in terra fertile e rigogliosa, ricolma di bellezza "La Bellezza è una tra le più importanti chiavi di comprensione del mondo. Soprattutto per una generazione vittima e succube dei media. Una generazione alla quale hanno venduto internet come una possibilità di liberazione dall'azione unilaterale della televisione, e che invece ci ha solo dotati, tutti, di un apparecchio televisivo che teniamo in tasca, e che è una forma ancora più atroce di sudditanza, una raffinatissima forma di oppressione. C'è più che mai bisogno di educarsi alla bellezza. È l'unico modo, dice Tom Waits, per smettere di essere delle scimmie armate e piene di soldi". Il compito dell'insegnante, ieri come oggi, rimane uno tra i più delicati e importanti, nonostante spesso venga svilito e sminuito, privato della sua essenza più vera, quella di formare ed educare nell'accezione più alta del termine "George Steiner sostiene che insegnare è toccare ciò che di più vivo c'è in un essere umano e che 'un insegnamento di cattiva qualità è, quasi letteralmente, un assassinio e, metaforicamente, un peccato'. La scuola di oggi, soprattutto la cosiddetta 'buona scuola', mi sembra chiaramente vocata a tanti assassinii e peccati".

Per tutto il romanzo si avverte, forte, la presenza ingombrante del fascismo, delle sue regole e dei suoi divieti. Questa cornice storica pervasa totalmente dal modus vivendi fascista, sembra però sbiadire sempre più, non appena il lettore comincia a conoscere i vari personaggi che popolano la realtà di Emilio: il preside frustrato, l'avvocato cauto, le compagne di classe indottrinate. Ben presto anche i personaggi a primo acchito percepiti come negativi, gettano via le loro maschere e si mostrano in tutta la loro bellissima, umana debolezza. Forse la volontà di riconoscere in ogni singola persona l'immensità degli astri negli occhi, così fortemente sostenuta dalla Professoressa Lia Senigaglia, è stata trasmessa all'autore stesso che, con penna gentile, dipinge una umanità troppo complessa per essere catalogata attraverso vuote etichette. Quindi la pacatezza, il rispetto e la collaborazione prima di ogni cosa. È questo, forse, il monito più importante lasciato ai lettori "Non so se la strada del rispetto e della pacatezza sia oggi percorribile, ma so che siamo obbligati a percorrerla. Lia la percorrerebbe anche oggi, ne sono certo. Cosa altro può opporre ad esempio, alla faciloneria della catalogazione etnica, se non l'amore e il rispetto profondo per la compagnia degli uomini, senza distinzioni di sorta? Sono convintissimo della necessità delle utopie non violente, non a caso nel romanzo aleggia lo spirito di Aldo Capitini attraverso il Professore Guaita. Non penso si possa prescindere da una partecipazione alla storia individuale e collettiva di questo inizio di millennio che non sia non-collaborativa: una sorta di militanza gentile - continua e implacabile, però - che abbia come obiettivo una maggiore giustizia sociale senza mai perdere di vista quel criterio orientativo indispensabile che è il rispetto della vita di ognuno. Una militanza dettata dalla forza di assumersi l'onere di non accettare lo scandalo della realtà e della storia. Una intransigente e consapevole mitezza: non vedo cosa altro varrebbe la pena di opporre alla volgarità e al cinismo di un potere che oggi più di prima ha la possibilità di distruggere tante forme di vita e di socialità".
Quando si chiede se è opportuno tentare un parallelismo tra il periodo descritto nel romanzo e quello attuale, Maurizio Padovano risponde così: "Roland Barthes, negli anni '60, scriveva che l'essenza del fascimo, la sua più proterva pericolosità, sta nel fatto che non impedisce di dire, ma piuttosto obbliga a dire. A ragliare in coro. Così lo si dice nel romanzo. E quando si profilano all'orizzonte "cori sciocchi" c'è sempre un progetto educativo, una mal nata idea di scuola in mezzo. Percepisco oggi tanta voglia di ragliare in coro. Spero sia un'allucinazione acustica".

Stefania Morreale/Maurizio Padovano

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