Senza Zucchero

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BENVENUTI  AL  SUD – Una volta per rimarcare le differenze economiche, di sviluppo e di prospettiva, tra l’Italia meridionale e quella settentrionale si usava l’espressione: la forbice tra il nord e il sud. Pian piano questa metafora è uscita dal linguaggio comune, non perché la forbice fosse sparita, ma – forse – perché oltre un certo punto una forbice non riesci ad allargarla. Oltre, si rompe. La questione è vecchia, quella meridionale, intendo, ma i misuratori ci restituiscono sempre lo stesso risultato. Solo un po’ peggio della misurazione precedente. È come mettere in parallelo una progressione aritmetica con una geometrica, ad ogni passo successivo le distanze tra i valori aumentano. A noi, in questi anni, ci hanno raccontato che potevano, che dovevano diminuire. Il risultato è che, oggi, vaste aree del sud Italia, della Sicilia, in particolare, di fatto, non sono più Italia, non sono più Europa. Non lo sono per qualità di vita, non lo sono da un punto di vista economico, infrastrutturale, culturale. Siamo solo formalmente italiani, solo formalmente europei, ma a quel carro non ci stiamo più aggrappati. Per esempio, a conferma di ciò, ci sono dati che fotografano e spiegano. Uno studio sulla qualità di sessantuno università italiane condotto da “Il Sole 24ore” ha decretato che “L'Ateneo di Palermo è tra i peggiori in Italia”.

Un’investitura che arriva direttamente dal più autorevole dei quotidiani italiani. Palermo si trova agli ultimi posti della graduatoria stilata in base all'attribuzione di punti relativi ad attrattività, stage, mobilità internazionale, borse di studio, efficacia, soddisfazione e occupazione. 

Senza che la cosa possa consolare, “Il Sole 24ore” ci dice pure che Palermo non è sola, in fondo alla classifica troviamo anche Messina e Catania, rispettivamente piazzate al trentanovesimo e al cinquantunesimo posto. L'Università di Palermo si distingue per bassa qualità della didattica, poca competitività nella ricerca e voti deludenti degli studenti. La sintesi fa: penultimo posto. Ultima in classifica Napoli, con Napoli Parthenope, ma che vola molto in basso anche con le università di Napoli Orientale e Federico II.

Benvenuti al sud. Chi spicca? L’Ateneo di Verona, che si distingue principalmente per la ricerca, e l’Università di Trento che eccelle per la qualità dell’insegnamento, per i corsi di lingua, le esperienze di studio all’estero e la possibilità per gli studenti di entrare in contatto col mondo del lavoro attraverso stage e tirocini. Questa è la realtà delle cose. Quando poi qualcuno, per una sua incapacità a percepire il contesto, prova a convincermi che, in fondo, anche al nord hanno i loro problemi, a questi rispondo che confondono le difficoltà con l’assenza di speranza. Il progetto, con la velleità. Penso a tutti quei ragazzi che si apprestano a iscriversi all’università, che stanno sgomitando per riuscirci. Penso a quelle famiglie che si stanno svenando, o lo hanno già fatto, per preparare i figli ai test di ammissione. Così diventa il festival delle illusioni. Si sta prendendo solo del tempo, è soltanto una maniera per posticipare una presa d’atto drammatica, si sta correndo e ci si sta sacrificando per qualcosa che sul mercato della conoscenza, a livello europeo, e anche italiano, vale poco, molto poco. Perché poi, quasi paradossalmente, l’offerta formativa del sud è agli ultimi posti di una realtà, l’Italia, che a sua volta, a livello europeo, è agli ultimi posti; tranne qualche rara eccezione. Partendo da questo spartiacque - la formazione, intendo - tutto il resto è una conseguenza. Non c’è ripresa, non c’è prospettiva, non c’è rilancio. È un dato di fatto, non ci si può piangere sempre addosso; qualcuno dirà. D’accordo, ma questa non è una considerazione stanca su una delle tante cose che vanno per il verso sbagliato, questi sono dati che portano ad un imperativo: “Salvate il soldato Ryan”. E il soldato Ryan ha il volto dei nostri figli.

altDIO  CI  PROTEGGA  DALLA  DEMOCRAZIA  DEL  WEB – In un comunicato del 2 Luglio dell’Ufficio Stampa del comune di Bagheria si legge (in premessa): “L’amministrazione comunale in un’ottica di rispetto dell’ambiente e decoro urbano e per evitare che si imbrattino le vie in cui viene effettuata attività di volantinaggio avrebbe intenzione di vietare tale attività. Prima di emettere ordinanza in tal senso, in un’ottica di partecipazione attiva della cittadinanza, ha deciso di attivare, sul sito web comunale, un sondaggio.”. Mah, boh, perché? E poi, “avrebbe intenzione”? Che significa? Il comunicato continua con la domanda del sondaggio “L’amministrazione comunale vorrebbe vietare il volantinaggio in città perché costituisce una produzione superflua di rifiuti cartacei. Siete d’accordo?” E ci risiamo, “vorrebbe vietare”? Tutto questo condizionale, “Avrebbe intenzione”, “vorrebbe vietare” e chi lo impedisce? Il comunicato continua con una dichiarazione del sindaco Patrizio Cinque “Riteniamo doveroso e necessario garantire un’immagine di cura e decoro della città soprattutto in quei siti ad alta densità pedonale e di maggior pregio storico… …non è l’unica attività su cui stiamo lavorando e che abbiamo intenzione di attivare, dobbiamo tutti concorrere alla creazione dell’immagine di una città che sia a vocazione storico-turistica ma vogliamo anche ascoltare la città, ecco perché il sondaggio cui auspichiamo che i cittadini rispondano numerosi”.

Fermi tutti, qui si parte male. Carissimo sindaco, non ci siamo. Voglio considerare l’episodio come uno scivolone figlio dell’inesperienza, ma così non va bene. Non va bene il metodo. Del merito se ne può parlare, ma non abbia paura delle scelte impopolari, perché ogni scelta che dovrà fare non sarà condivisa da una parte più o meno minoritaria. Nel comunicato si parla di voler evitare che s’imbrattino le vie, di produzione superflua di rifiuti cartacei, di immagine di cura e decoro della città. E allora, si è detto tutto? La decisione, se l’amministrazione la pensa così, è conseguenziale. Perché quel “vogliamo anche ascoltare la città”? Siete stati eletti per governare, non per filtrare le vostre decisioni attraverso gli umori della cittadinanza. A parte i limiti della “falsa democrazia del web”, a parte il malinteso legato al significato della stessa parola “democrazia”, che si è già realizzata nel momento in cui, signor sindaco, lei è stato eletto, ora le si chiede di decidere, in buona fede, secondo la sua visione delle cose e del gruppo che lo sostiene. Supponiamo, per un attimo, che la cittadinanza decida, tramite questo – tutto da verificare – infallibile strumento della democratiweb, che il volantinaggio è cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, lei che farà? Pur pensandola in maniera diametralmente opposta, avallerà l’opinione del popolo (?) del web? Come un tristissimo Ponzio Pilato salverà il Barabba dell’incuria e crocifiggerà il Cristo della pulizia? Ripeto, non è così che funziona. Lei porti avanti la sua proposta di governo, le sue idee, senza preoccuparsi di quanto possa essere popolare. Non si faccia attanagliare dalla paura della perdita di consenso. Non possono essere solo applausi e ovazioni. Ben altre prove, rispetto a quelle di un foglietto di carta, l’aspettano in futuro. Il suo compito è anche quello di far prevalere le idee migliori sulle peggiori. È sua responsabilità discernere le une dalle altre.

altIL  VOLO  DEL  VOLANTINO  – La questione, nella sua banale portata è sintomatica di una realtà ridotta alla canna del gas. Un provvedimento che nelle premesse dell’amministrazione sembra un’ovvia conseguenza, diventa un argomento di discussione pseudo democratica. Perché? Forse perché, come ogni provvedimento, si tocca l’interesse – legittimo, se vogliamo – di qualcuno? Si contrae il business dei commercianti che faranno più fatica a veicolare le loro offerte? Si toglie uno sbocco occupazionale – uno dei pochissimi – a quei ragazzi che imbucano i volantini sotto le nostre porte? Si colpiscono le tipografie che gli stessi volantini li stampano? Si lede il diritto del cittadino consumatore di essere tempestivamente informato sui prezzi della passata di pomodoro? Probabilmente, è così. Ma se un provvedimento tutto sommato marginale diventa così “delicato” da meritare un sondaggio “Urbi et Orbi”, se la nostra realtà economica ha ormai la consistenza di un foglietto di carta, allora, forse, è il caso di tenere il polso al moribondo. Perché se un’amministrazione arriva sostanzialmente ad un bivio dove da un lato c’è (per sua stessa ammissione e premessa) il decoro delle vie della città e dall’altro un seppur non dichiarato interesse di una qualche parte (altrimenti non si comprende perché un provvedimento ovvio, secondo le stesse parole del sindaco, debba essere messo ai voti), significa che stiamo scambiando il raccattare briciole con la caccia al tesoro. Non esistono provvedimenti che non scontentino qualcuno. È il governare, è la politica. Quello che conta sono onestà, trasparenza, buona fede. Fatto salvo tutto questo, poi, governate. Avete chiesto il mandato ai cittadini e i cittadini ve l’hanno dato.

Signor Sindaco Cinque, l’episodio non è tale da intaccare la fiducia, pertanto lei rimane Cinque, con la speranza di poterla promuovere nel tempo a Sindaco Sei, Sette, Otto, fino a Dieci da qui alla fine del suo mandato. Però, non cominciamo, all’inizio del primo quadrimestre, con un “Sindaco Quattro (meno, meno)”.

LA FRASE – “Il bello della democrazia è proprio questo: tutti possono parlare, ma non occorre ascoltare (Enzo Biagi).

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Giusi Buttitta
 

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REWIND – Riavvolgiamo il nastro. Questa settimana si parla di calcio. L’Italia è fuori dai mondiali. È un’Italia a (b)randelli, anzi a Prandelli (l’hanno usato tutti il cambio di consonante, lo faccio pure io). Una persona di mia conoscenza sostiene che le donne non devono mai, e per nessun motivo, parlare di calcio. Il soggetto in questione è fermamente convinto che questo gioco tra ventidue uomini adulti che, all’interno di un rettangolo verde, in pantaloncini corti, inseguono un pallone e lo calciano nel tentativo di far entrare la sfera all’interno di un’area delimitata da tre pali di legno, racchiuda sfumature insondabili e accessibili solo al maschio. Perché bisogna farsi, secondo lui (perché è un lui), la strada, aver calciato un pallone contro una saracinesca, aver conosciuto lo sguardo d’intesa con un compagno, il capo chino dentro lo spogliatoio dopo una sconfitta, essersi riempito le narici di odore di disinfettante dentro le docce più squallide dei più periferici campi di calcetto; e anche i più malfamati, se vivi a Caracas. Il calcio (quello giocato) è virile, il calcio è un fatto di gruppo, il calcio è irrefrenabile, ovunque e comunque lo si giochi. È tutto calcio, o scaraventi da solo il pallone contro un muro viaggiando con la fantasia o calci un rigore decisivo durante la finale di un mondiale. È tutto calcio e le donne lo possono anche razionalizzare, ma, mai lo potranno capire fino in fondo, in nessun modo riusciranno ad afferrarne l’essenza. L’afflato. Un discorso che costeggia la strada del maschilismo soft, a ognuno il suo mondo e cose di questo genere, poi svolta e si addentra sul terreno minato del “sarebbe come”. E continua così la persona di mia conoscenza: “Sarebbe come spiegare ad un uomo cosa provano certe donne di fronte una vetrina di Louis Vuitton, l’effetto calamita di un abito da sera, la pupilla dilatata al cospetto del giusto accessorio. La magia. Pensare che un uomo possa comprendere tutto questo è illusorio, possono accompagnarvi rassegnati, accettare il mistero; ma, capirlo, mai. ”. In effetti, sperare che un uomo possa afferrare la musicalità scandita di un nome e cognome recitato con distaccata lentezza come, per esempio, Mi-u-ccia-Pra-da, significa tentare di farlo entrare dentro un universo alieno. Le due celeberrime metà della mela si uniscono rimanendo separate dal vetro di una vetrina e da lì ci si osserva senza poter entrare in contatto fino in fondo, senza poter scavalcare il confine. Mentre dopo un po’ di vicendevole osservazione, lui si stanca e comincia a palleggiare.

PRESAGI - Leggendo il futuro dentro una sfera. Di cuoio. Fatte le giuste premesse, e condividendo l’insondabilità del mondo pallonaro, almeno per me, di questa avventura della nazionale italiana al mondiale brasiliano mi interessano i punti di contatto con la realtà politica, se non altro, in termini metaforici. Partiamo da un dato: Prandelli è renziano. Ho letto interviste, mi sono documentata, e lui ha chiaramente detto “io tifo per Renzi”. Considerando che Renzi avrà tifato per lui, si spera che l’Italia politica non precipiti con la stessa rapidità dell’Italia calcistica. Se poi consideriamo che, malgrado la pippaggine acuta dei nostri calciatori, qualsiasi persona di buon senso riteneva più probabile una vittoria ai mondiale che il risanamento dei conti pubblici, l’abbassamento del tasso di disoccupazione, il superamento della crisi economica, possiamo dire che il compito di Renzi è di gran lunga più complicato di quello che spettava a Prandelli. Altro elemento che unisce Prandelli a Renzi è l’idea del nuovo, la rottura con i vecchi schemi, un new-deal politico e calcistico. Mi dicono che l’Italia non ha messo in campo le sue armi consuete, Prandelli ha imposto un nuovo stile, poi pare sia entrato in confusione e tutto è naufragato. Anche Renzi abusa dell’aggettivo “nuovo”, l’Italia spera che Prandelli non abbia fatto da apripista. Altro punto di contatto tra Prandelli e Renzi è la flessibilità nell’imporre le regole, i comportamenti, per poi aggirarli, se conviene. La nuova politica, l’immunità, il codice etico dei calciatori, Chiellini da una gomitata ad un calciatore della Roma, si becca tre giornate, ma lo convoco lo stesso. Cose così. Un certo disprezzo per la coerenza, Chiellini come Berlusconi, i principi sono sacri, ma, se serve, li aggiriamo. Si scende a patti.

L’APPARENZA  INGANNA. Appendice. – La settimana scorsa le mie parole sulla foto dell’assassino di Yara Gambirasio, immortalato tra di cani e gatti, hanno provocato reazioni da parte di alcuni dei “gentili lettori”. Disapprovazione. E va benissimo così. Qualche amico ha scomodato parole come “delirante” e anche questo va bene. Ho sorriso. In nessun caso traspariva cattiveria. Però, su una cosa dovete concordare con me, ci sono comportamenti, ruoli, che predispongono positivamente. Si chiama preconcetto positivo. Se una signora, ogni sera, si fa tre piani di scala a piedi per portare da mangiare ai gatti che miagolano nel vicolo, non ditemi che ai nostri occhi questo non è un comportamento che percepiamo benevolmente e che ci conduce a farci un’idea positiva della persona. Se poi, il cibo portato ai gatti, non è altro che una maniera originale per far sparire il cadavere del marito, allora una certa sorpresa sarà legittima. Un “chi lo avrebbe mai detto” è ciò che spontaneamente ci viene da dire. Perché il preconcetto è bidirezionale. È in negativo, ma anche in positivo. Alle volte, certe cose, non te lo aspetti. Se una persona mi si presenta come direttore della Caritas qualche barriera la smonto, se poi mi aggiunge che è un sacerdote, allora una certa confidenza con il messaggio di amore cristiano gliela devo riconoscere, se, infine, ti arrestano con l'accusa di concussione e violenza sessuale pluriaggravata, come è capitato a Sergio Librizzi, sacerdote e direttore della Caritas di Trapani, allora un pizzico di sorpresa è inevitabile. Sarò molto meno sgamata di alcuni miei lettori che sulla natura umana e le sue sfaccettature sembrano saperla lunga, ma, io, ai lupi travestiti d’agnelli non riesco proprio ad abituarmi. Cosa c’è di più subdolo?

P.O.S. – L’Italia è un Paese senza speranza. Questa è la mia posizione. Un opinione, attaccabile, forse, nemmeno rispettabile. Poi ci sono i fatti a conferma. Leggo: lotta all’evasione. Continuo a leggere: Basta contante: dal 30 giugno commercianti, artigiani, professionisti, chiunque sia in grado di fornire una merce o un servizio ai consumatori dovrà dotarsi di un Pos, il "point of sale", quel dispositivo che permette di effettuare un pagamento con bancomat, carta di credito o debito. Un obbligo che riguarderà tutti: dal dentista al venditore ambulante, dall'avvocato all'idraulico. Nessuno potrà più rifiutarsi di accettare un pagamento tracciabile, purché la somma dovuta non sia inferiore ai 30 euro. Bene, anzi, benissimo. Entusiasmo, poi, delusione. “non è contemplata nessuna sanzione a carico di chi non rispetterà l'obbligo.” Come un divieto di sosta che non permette di punire il trasgressore. Allora, ci parcheggiano tutti! Come si fa a concepire una cosa del genere. E questo è il nuovo, il “Renzi apprendellato”.

CALIENTE – A Bagheria l’estate si annuncia caliente. Le cose sembrano prendere fuoco così, all’improvviso. Il 23 giugno viene arrestato un bagherese per aver appiccato un incendio in un fondo agricolo. Difesa: me lo ha commissionato il proprietario: voleva ripulire il terreno. Ripulire. Sicuramente, il verbo corretto. Il 27 giugno si è verificato, al calare delle prime ombre della sera, quando gli spiriti inquieti cominciano a sgranchirsi le gambe e a stiracchiarsi i muscoli, un incendio di natura (forse) dolosa, presso la stanza dell’ufficio amministrativo del cimitero di Bagheria. E’ andato bruciato tutto il materiale amministrativo, vale a dire i documenti di seppellimento e di assegnazione dei loculi, bollettini di versamenti e reversali. Tutto, tutto. La cosa incredibile è che al cimitero di Bagheria avvengono cose strane, ma che, a dispetto di tutta la letteratura gotica, horror, splatter, zombies, prodotta negli anni, i morti – a Bagheria - non sono colpevoli di nulla. Anzi, beffardamente, sono le vittime. Il problema di Bagheria è l’autocombustione, come il traffico in Johnny Stecchino. E anche qui “Ripulire” è il verbo che si staglia all’orizzonte come una nuvola stanca dentro una giornata afosa. Rimane lì. Mi chiedo, ma è mai possibile che in questo paese le uniche cose non si riesce a ripulire sono le strade e le spiagge?

DURA  LEX, SED  LEX – In Italia, dove tutto è possibile, dove i POS diventano obbligatori, ma non posso obbligarti a tenerli, ogni cosa assume il sapore dell’ossimoro. Dopo solo sei anni di carcere Annamaria Franzoni va ai domiciliari. Lo ha deciso il tribunale di Sorveglianza di Bologna. Per la legge italiana e per la verità (quella processuale, dopo tutti i gradi di giudizio) Annamaria Franzoni è un’assassina. Nulla conta quello che ognuno di noi pensa; innocentisti, colpevolisti. C’è stato processo e c’è stata sentenza. Ha ucciso suo figlio, ha ucciso un bambino. Questo è quanto ha accertato lo Stato italiano. Ora è fuori, con questa motivazione: “si può sostenere che non vi sia il rischio che si ripeta il figlicidio… Una tale costellazione di eventi non è più riscontrabile”. Mettiamo da parte l’emotività, non conta stabilire se è giusto o è sbagliato. Potrebbe anche andare bene così. Quello che non va bene è il disprezzo per il principio di uguaglianza. Questo Paese delle leggi ad personam non può sopportare anche che mentre la Franzoni è fuori, altri scontino la loro pena fino in fondo. E perché questo non dovrebbe valere per l’assassino di Yara o per l’uomo che qualche giorno fa, a Motta Visconti, ha sterminato la famiglia? Anche per questi uomini, probabilmente, una tale costellazione di eventi non sarà più riscontrabile. Qualsiasi pena, anche una semplice multa, diventa sproporzionata se l’omicidio volontario di un bambino vale sei anni di carcere. Se questo è il metro, perché un rapinatore, uno spacciatore, un truffatore, ne dovrebbe scontare di più? Forse perché le mamme sono buone e gli spacciatori sono cattivi? E torniamo alle apparenze, torniamo ai preconcetti. Positivi e negativi.

Giusi Buttitta

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UNO  SU  CINQUE  E  CE  LA  FAI – Regola numero uno: basta giochi di parole girando attorno al cognome del neo sindaco bagherese Patrizio Cinque. Mi hanno stancato. Volete farmi notare che dovrei cominciare a farlo io? Obiezione respinta, il mio non è un gioco di parole. È la percentuale, intorno al venti, che riconosco al sindaco come possibilità che ce la possa fare davvero, lui e la sua squadra, a cambiare questo paese. Sembra bassa, ma non è poco. È quasi una professione d’ottimismo. E lui, credo, ne sia consapevole. Ora, passata la sbornia della vittoria elettorale, passati i festeggiamenti stile mundial, gli olè, i tappi di spumante e i “lanci di sindaco”, comincia la partita. In politica, e non solo in politica, a differenza che nello sport, si festeggia prima di cominciarla la gara, si brinda solo per il fatto di essere stati ammessi a giocare. Sarebbe bello ritrovarsi a fine mandato ed avere un bel numero di motivi per festeggiare la chiusura di un percorso allo stesso modo in cui si è festeggiato l’inizio. Non sarà facile. A Patrizio Cinque, al quale non do nessun consiglio, tranne uno che esporrò a parte, ricordo semplicemente che su di lui e sul suo gruppo incombono responsabilità che vanno oltre i problemi specifici, per quanto gravi, che pesano su Bagheria. Patrizio Cinque ha il compito di non trasformare una speranza in un’illusione. È un punto di svolta. Da qualsiasi parte la si legga, piaccia o non piaccia, la sua elezione è una richiesta di cambiamento, se cambiamento non sarà, allora subentrerà la disillusione, il rapido defluire delle speranze, la certezza che nulla può cambiare. La presa d’atto che su questo posto deve essere posata una pietra tombale. Perché se dopo la politica “tradizionale” fallisce anche quella che si presenta come il suo contrario; allora, non rimarrebbero terze vie.

NON  SARA'  FACILE - Non sarà, affatto, facile. Il gruppo di Patrizio Cinque non deve cadere nell’errore di pensare che l’intera comunità è dalla loro parte, si deve limitare a quel poco più del trenta percento (sulla base degli aventi diritto al voto) che a conti fatti lo ha votato al ballottaggio e di questi qualcuno potrebbe girare le spalle alle prime difficoltà. Quelli meno pazienti, quelli del tutto e subito, quelli che si aspettano i miracoli e anche in fretta. Ci sono i cecchini appostati sui tetti delle case pronti a spararvi (metaforicamente, dalle nostre parti non si sa mai, è meglio precisare) addosso al primo errore, ci sarà chi proverà a giocare di rendita e di rimando, ad affondare le mani nel “tanto peggio, tanto meglio”. Il nuovo sindaco ha il dovere di non concedere un solo alibi, un solo appiglio, un solo argomento che possa permettere di portare avanti la tesi che dietro ogni rivoluzione c’è pronta una restaurazione. Siete arrivati dentro la stanza dei bottoni cavalcando l’onda del cambiamento, ora cambiate le cose e fatelo in fretta, perché non immaginate nemmeno quanta gente non vede l’ora di poter dire: “avete visto che non è cambiato niente?!?”.

CIVILTA' – Mi ero impegnata a non elargire consigli, tranne uno. Al sindaco chiedo di mandare immediatamente un messaggio chiaro: civiltà e rispetto delle regole. È una strada obbligata. Senza paura di rischiare di essere impopolari. Occorre un argine al degrado, un recupero del decoro. Vorrei un paese pulito, un piano traffico sensato, vorrei vedere puniti con multe che rimangono nella memoria quelli che sporcano, che se ne fregano, che distruggono. Vorrei che si possano dividere i civili dagli incivili, i furbi dagli onesti. Partendo da spiagge e addentrandosi verso il territorio c’è tanto da bonificare, da ripulire, da restituire alla bellezza. Occorre riconsegnare il paese ai cittadini, da parte loro i cittadini hanno il dovere di rispettarlo perché ogni porzione di questo luogo non è un qualcosa che non appartiene a nessuno, ma è qualcosa che appartiene a tutti. Mi rendo conto che siamo qui a sottolineare l’ovvio, ma p proprio l’ovvio che in questo paese per troppi anni è stato dimenticato. È arrivato il momento in cui una maggioranza di persone civili venga liberata da una minoranza incivile che li tiene in ostaggio (anche se nutro serissimi dubbi su chi rappresenti la maggioranza e chi la minoranza). Senza paura di apparire retorica ed enfatica, signor sindaco le dico, parafrasando la celeberrima frase di sapore risorgimentale, 'Qui o si fa Bagheria o si muore' (nel senso della speranza, sempre per non ingenerare equivoci ambientali). E bisogna farlo ora.

LA  FRASE – “La gente quando non capisce, inventa. E questo è molto pericoloso.” (Alda Merini, poetessa).

FELICITA'  – Ormai da anni inanello con crescente stupore, sino a un malcelato sbigottimento, una per una (almeno, quelle che intercetto) le dichiarazioni degli avvocati di personaggi in vista (politici, gente dello sport, dello spettacolo e così via) coinvolti in procedimenti giudiziari. Credo di essere l’unica persona al mondo a collezionare dichiarazioni di avvocati. Preparo una scheda che consta di tre elementi informativi: 1) nome dell’avvocato; 2) nome dell’assistito; 3) dichiarazione dell’avvocato. Ovviamente, luogo e data della dichiarazione. Posseggo un dossier a casa. È una bella, e anche facile, collezione. Perché le schede sono precompilate, a parte il nome dell’avvocato e dell’assistito la frase è sempre la stessa: “Il mio assistito è sereno”; quindi la posso scrivere prima, ed immediatamente a seguire 'il mio assistito chiarirà tutto'. Poco conta il peso schiacciante delle prove, nulla la registrazione che riprende il politico mentre intasca una mazzetta o il nero su bianco che certifica l’evasione fiscale dello sportivo che ha fatto transitare i suoi proventi su conti esteri. Nulla le manette, zero le sirene, fantasmi sono i carabinieri che scortano l’assistito sino alla soglia delle patrie galere. Incredibilmente, l’assistito rimane “sereno”. Personalmente, sono certa della provenienza aliena degli avvocati. Altrimenti, non si spiega. Non esiste categoria con un rapporto così perverso con la realtà e la percezione dei fatti. Un po’ li invidio, sia loro che i loro assistiti. Perché a noi comuni mortali, a noi terrestri, basta, che ne so, la comunicazione dell’Agenzia delle Entrate che ci contesta il mancato pagamento di un bollo auto (un’involontaria dimenticanza) per mettere alla prova il nostro sistema nervoso, per consegnarci a notti insonni, a nervosismi isterici, sino ad una vera idiosincrasia nei confronti del termine “serenità”. Guai a chi la nomina la serenità. Ma anche in questa collezione che rischia di diventare noiosa e ripetitiva, solo uno stanco esercizio statistico che ha già dimostrato empiricamente il fenomeno, arriva la sorpresa, il salto di qualità, il cambio di direzione. L’evoluzione. L’avvocato spiega le vele e solca fiero e sicuro le onde più alte della paraculaggine dialettica. Venerdì mattina (12 giugno) sull’homepage di Repubblica campeggiava, in riferimento al rientro di Marcello Dell’Utri in Italia per venire a scontare la pena al quale è stato condannato, la seguente dichiarazione del suo 'avvocato: "Felice anche se andrà in carcere"”. Come felice? Ma è mai possibile che nessuno sia almeno lievemente turbato, un tantinello destabilizzato, un pizzico incupito davanti alla prospettiva del carcere, del sequestro dei beni, di sanzioni milionarie da dover onorare? John Milton (intendo, Al Pacino ne L’Avvocato Del Diavolo) diceva “è facile ingannare l’occhio, ma è difficile ingannare il cuore”. John Milton non conosceva gli avvocati italiani.

LA  STRANA  STORIA  DI  SERGIO  BERLATO – Le recenti vicende legate al Mose hanno dimostrato che in Italia mica rubano solo quelli di Forza Italia. Rubano anche quelli del PD. E non bisognava certo aspettare il Mose. È pur vero che la parabola discendente del Cavaliere comincia con una tizia che si chiama “Ruby” detta “rubacuori”, una sorta di segno del destino, ma questo è un altro racconto. A margine della storia del Mose c’è quella di Sergio Berlato, costui è un politico italiano eletto nel 2009 al parlamento europeo militando nello squadrone di Silvio. Intervistato, di recente, a proposito dello scandalo Mose, Berlato ha sottolineato che già in passato aveva chiesto chiarezza, aveva invocato indagini, trasversali, perché a suo giudizio qualcosa non quadrava. Berlato voleva trasparenza ed onestà. Questo dimostra, al di là dei luoghi comuni, che gli onesti, come i disonesti, stanno dappertutto. Anche Forza Italia ha i suoi paladini della legalità. Che sia messo agli atti. Peccato, però, veramente peccato, che alle recenti elezioni europee Forza Italia l’ha fatto fuori. Perché? Questo è quello che sostiene Berlato: “Ho osato denunciare il malaffare nella gestione degli affari pubblici in Veneto. reclamando chiarezza e trasparenza nella mia parte politica… Tutti, in Forza Italia, sapevano dai sondaggi che sarei arrivato primo come numero di preferenze. E siccome gli eletti con tutta probabilità saranno soltanto due, hanno voluto fare spazio estromettendomi. Qualcuno evidentemente era terrorizzato dalla prospettiva di perdere l’immunità parlamentare...”. Mannaggia, ora che ne avevano trovato uno, se lo sono lasciato scappare. È inutile, è questione di physique du role.

CRONACA  METAFORICA – “Catania, cade in un tombino e muore soffocato dal fango”. E cosa vuoi aggiungere, devi solo archiviare tutto dentro il faldone: cronaca metaforica.

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  Giusi  Buttitta

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AL  BALLOTTAGGIO – Alla fine è finita come si prevedeva. Al ballottaggio. Sarà Cinque contro Vella, o, se si vuole, Vella contro Cinque, oppure uno (cioè Cinque, anche se al quadrato, elevato al cinque del Movimento Cinque Stelle che apparentamenti con forze della “tradizione” rischierebbero di depotenziare) contro cinque (o quattro, o sei, o tre; la composizione possibile di eventuali apparentamenti “spontanei” tra le forze politiche “tradizionali” che potrebbero veder convogliare “naturalmente”, al di là di accordi a tavolino, su Vella le loro preferenze). L’onda lunga del grillismo, “o con me o con loro”, potrebbe/dovrebbe arrivare anche a Bagheria e compattare il fronte d’opposizione al M5S. Vedremo. Se conosco un po’ i bagheresi, posso anche immaginare come andrà a finire. Ne riparleremo. L’elettore si giochi la partita. Le carte mi sembrano sufficientemente scoperte per poter dire che si può procedere effettuando una scelta consapevole. L’importante è non rinnegarla prima che qualsiasi gallo canti tre volte.

NOSTRADAMUS  IN  GREMBIULE-Renzi è un bambinone circondato da mezze tacche, non è destinato a durare a lungo... Comunque, non è mai stato nella massoneria... Non le nascondo che vedo, con una certa soddisfazione, il popolo soffrire. Non mi fraintenda: non sono felice di questa situazione. Sono felice, invece, che vengano sempre più a galla le responsabilità della cattiva politica. Perché, probabilmente, solo un tributo di sangue potrà dare una svolta, diciamo pure rivoluzionaria, a questa povera Italia” (Licio Gelli Venerabile Maestro della loggia massonica P2, il 23 Maggio 2014). Non sottovaluterei le parole di un uomo che ha segnato, carte alla mano, la storia recente di questo Paese. Secondo lui, il punto di non ritorno potrebbe essere superato da una svolta che passa da un tributo di sangue. L’ipotesi è plausibile. In teoria. Quando la via d’uscita indolore, socialmente gestibile, non esiste, si deve necessariamente passare dal trauma. La piazza, il sangue.

Quando il re sarà nudo e nessuno sarà più in grado di sostenere il contrario, potrebbe accadere. Ma, abbiamo una speranza, siamo italiani. Se questo accadesse la nostra natura ci verrebbe in soccorso. Il sangue è roba da paesi con una vocazione spiccata per la tragedia e/o per la Grandeur, popoli da rivoluzione, noi, che siamo più inclini alla farsa e all’arte di arrangiarci, non siamo roba da bagni di sangue. Non siamo gente da rivoluzione. Rimaniamo il popolo di Pulcinella e Arlecchino, siamo quelli perfettamente fotografati nell’aforisma di Flaiano La situazione politica in Italia è grave ma non è seria”, siamo italiani. Ed, una volta tanto, è anche un vantaggio. Il tributo di sangue? Caro Gelli, come direbbe Totò:Ma mi faccia il piacere…

FEDELI  ALLA  LINEA – A Bagheria più interessante del voto amministrativo, che è influenzato da dinamiche strettamente locali/personali, è l’analisi del voto “europeo”. Perché è quello che restituisce la vera anima “politica” della comunità. La coscienza politica reale. Lo schieramento. Non ci sono amici da aiutare, richieste di voto da parte di cugini alla ricerca di occupazione o sede da soddisfare, niente ballottaggi tra diversi imbarazzi da valutare. Insomma, per le europee il peso del candidato sul voto non è lo stesso di un’elezione amministrativa. Le mani sono libere e, allora, più facilmente, viene fuori il voto di “coscienza”. Bene, andiamo alla coscienza. A Bagheria il primo partito alle europee è stato Forza Italia (31,34%). Letto il dato la domanda, la prima, quella di getto, istintiva, quella che ti viene da rivolgere al mondo, così, d’emblée, è: “Ma, Berlusconi, per non farsi più votare, poverino, ma che deve fare?”.

Perché, tapino lui, onestamente, si è impegnato. In vent’anni ha profuso energie per offrire motivazioni affinché la gente non lo votasse. Ma il bagherese lo vota, perché il bagherese è così gattopardesco nell’anima, in giro va dicendo che vuole cambiare, cambiare, cambiare e nelle segrete stanze vota Silvio, perché il bagherese è furbo (volpepardesco?) e vuole le mani libere veramente, libere di fare cosa gli pare, ma l’importante che siano libere. Per questo ammira Silvio. E non basta, perché se aggiungiamo il 6,21% dell’NCD di Alfano e il 2,60 di Fratelli d’Italia, ricostituendo lo schieramento che, di fatto, gravita attorno al Berlusca, superiamo il 40%. Quasi un bagherese su due. Non poco dopo vent’anni di dù-dù-dù (nel senso del cane) e di dà-dà-dà (nel senso delle olgettine/o(r)gettine). In tutto questo dato c’è un’apparente stranezza se raffrontato al voto delle amministrative, alle europee Forza Italia ha il 31,34%, alle comunali 11,37%.

Ciò è sicuramente legato alla presenza di liste civiche di centrodestra che hanno drenato voti da quell’elettorato, ma, forse, ha anche influito la presenza di un candidato a sindaco come Antonino Costa, figura di alto profilo istituzionale, rappresentante, per la storia che ha alle spalle, delle istituzioni, della legalità, ma che qualche paura all’elettore medio di Forza Italia l’avrà pure messa: che ci portiamo la Polizia in casa? (smile, amici di Forza Italia, smile). Non tutti quelli che hanno votato FI alle europee hanno votato Costa alle comunali. È stato come mandare Maria Goretti a predicare castità presso i clienti seduti nelle sale d’attesa delle case chiuse, prima che la legge Merlin le sbarrasse definitivamente (ancora smile, ridiamoci su).

Sia chiaro, nessuna prevenzione nei confronti di Forza Italia, siamo consci della trasversalità del maneggio, di quanti pochi possono scagliare le prime pietre, ma la cronaca di questi anni non può essere archiviata frettolosamente sotto il tappeto della persecuzione giudiziaria (due i fondatori del partito, Dell’Utri e Berlusconi. Le loro vicende le conoscono tutti. Di fatto, due su due. Sono numeri). Per il resto, mentre il PD consolida, più o meno, a Bagheria la sua stanca e pallida (non nei numeri, ma nella forza) percentuale (23,49), nemmeno in linea con il dato nazionale (il rosso relativo di Renzi, direbbe Tiziano Ferro, ha spopolato; o rosso diluito dentro una concezione della sinistra come, semplicemente, la faccia un po’ meno feroce del capitalismo, ma rassegnata agli stessi peccati), il M5S sfiora il 30%, e questa è un’altra curiosità.

Qui viene fuori il bagherese dalla doppia coscienza, dalla doppia opinione, perfetto esempio di un atavico male siciliano, l’essere tutto e il contrario di tutto perché, alla fine, tra il tutto e il suo contrario non c’è tutta questa grande differenza. Semplifichiamo. Il M5S a Bagheria, alle europee si avvicina al 30%, alle comunali si mantiene distante dal 20. Più di 11 punti percentuali di differenza. Una fetta di elettori è stanca della vecchia politica a livello europeo, ma rimane nel solco della tradizione a livello locale. L’interessato risponde: “Si, però, mio cugino… Ma, con X e con Y siamo come fratelli…” e via scusandosi. Insomma, il cambiamento lì dove si può, lì dove non dà fastidio… Dove, tanto, non mi cambia niente. C’è una tipologia di bagherese che è così, un po’ autoreferenziale.

ERA  MEGLIO  MORIRE  DA  PICCOLI

“Era meglio morire da piccoli” è un evergreen e in una delle versioni di Paolo Rossi si concludeva con un “che vedere ‘sto schifo da grandi”. Quando Licio Gelli parla di tributo di sangue gli sfugge che siamo il paese di Michaela Biancofiore (parlamentare italiana, onorevole berlusconiana). Leggete, è lo stralcio di un’intervista presente sul sito di Libero (argomento: Dudù): “Ciao, sono Puggy Biancofiore (è Michaela che parla, simulando di essere il cane), ho un anno e mezzo e sono la gioia della mia mamma Michaela!... Il mio migliore amico è Dudù Berlusconi, siamo cresciuti insieme e ci vogliamo molto bene. Mi corteggia, ma io me la tiro! Giochiamo insieme nel parco di Arcore e a Palazzo Grazioli. Mi piace infilarmi sotto la scrivania del presidente Berlusconi mentre lui fa le telefonate ai Club Forza Silvio. Ero piccolissima, avevo 45 giorni quando il presidente mi prese in braccio la prima volta, è lì che Silvio e Francesca hanno pensato di prendere un cucciolo tutto per loro. Ed è arrivato Dudù!". (L'intervista si conclude con la Biancofiore e Puggy che "cantano" insieme l'inno di Forza Italia)”. Andate e cliccate: http://tv.liberoquotidiano.it/video/11623203/I-segreti-di-Puggy--.html. “Dudù Berlusconi”, ma vi rendete conto? Come se non bastasse il discorso di Puggy (Michaela) contiene una frase di un’ingenuità mostruosa considerando i precedenti di Silvio. Un rigore a porta vuota per qualsiasi comico. Scopritela.

GIOIELLI  DI  FAMIGLIA

Sulla corsa alla poltrona di sindaco di Bagheria, volutamente, non abbiamo finora detto molto. E questo vogliamo continuare a fare. Però, ora che qualcuno è fuori dai giochi, una chiosa, su una frase di uno dei candidati, vorrei permettermela. Non per entrare nel merito, l’intento del candidato poteva anche avere un suo senso, dipende se con i soldi si fa cassa o si costruisce un progetto; ma, per una rubrica che è partita dal presupposto che si sta passeggiando sull’orlo del baratro e che se non si comincia a guardarci dentro (al baratro) potremmo anche cominciare a precipitare (se già non lo stiamo facendo), le parole di Atanasio Matera (è lui il candidato) impongono una sottolineatura. La frase è questa: “se necessario così come fanno le famiglie che in stato di bisogno vendono i gioielli di famiglia, anch'io lo farò, mettendo sul mercato quelle ville e quei palazzi che, se messi sul mercato, potrebbero portare anche investimenti e ricchezza” (tratta dall’articolo di Angelo Gargano pubblicato Domenica 11 Maggio 2014 ore 21:10 su questo sito).

D’altra parte, l’idea non è nuova e viene ventilata da più parti da tempo, e in parte messa in atto, anche a livello nazionale. Qui non ci interessa stabilire se è una buona o una cattiva idea, quello che, invece, è sintomatico è che la soluzione, sia a livello nazionale che a livello locale viene sempre più spesso proposta. “Come le famiglie in stato di bisogno”. E come per quelle famiglie questo è l’ultimo stadio, e dopo? Intendo, dopo aver raschiato il barile. Se il momento attuale è congiunturale, allora, con il ricavato derivante dai gioielli di famiglia, resistiamo e, nel frattempo, rilanciamo; oppure, se non lo è, in quest’ultimo caso con il ricavato dei gioielli di famiglia prendiamo soltanto un po’ di tempo. Sia a livello nazionale che a livello locale, stiamo progettando un futuro o stiamo spostando in avanti una presa d’atto? Dopo che c’è? L’usuraio? (Grecia docet).

LA  FRASE – Da “Baratto” di Renato Zero Ehi, se ti do il pelo tu che mi dai? / Ehi, ti do la milza tu che mi dai? /Se ti do il polpaccio, tu che mi dai? /Per due molari io ci starei / Ci accomodiamo casomai”

GIUSI  BUTTITTA

 

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L'APPARENZA   INGANNA  1 – La prima foto diffusa dai media di Giuseppe Massimo Bossetti, presunto assassino di Yara Gambirasio, lo ritrae seduto su un divano con in braccio due cani e un gatto. Se si osserva bene si nota che l’uomo sembra indossare, oltre a una camicia a scacchi grigia, quelli che appaiono come i pantaloni di una tuta da ginnastica in acetato. Di un colore azzurro elettrico. Se così fosse, se si trattasse veramente di una tuta in acetato, questa sarebbe l’ennesima conferma di una mia vecchia tesi: “il declino di un Paese lo si può pesare misurando la diffusione delle tute da ginnastica in acetato tra la sua popolazione maschile”. Tute quasi mai usate per attività ginniche, ma per andarci in giro, abbigliamento informale. Larghe, comode, nascondono pance, inestetismi, imbarazzi, simboleggiano uno sbracamento più grande, una forma di incuria manifesta, una deriva verso un abbandono del quale non si intravedono gli argini. Non sai mai chi si nasconde sotto una tuta in acetato, diffidate di quell’aria così friendly, disimpegnata, da bricolage durante un sabato pomeriggio. Attenzione, a volte piccoli particolari senza importanza ci possono salvare.

L’APPARENZA  INGANNA  2 Diego Marmo è il nuovo assessore alla Legalità e alla Sicurezza dei cittadini del Comune di Pompei. Chi è Diego Marmo? È stato protagonista di uno dei più clamorosi errori giudiziari della storia italiana. Negli anni ‘80 era il pm nel maxiprocesso alla camorra che vedeva Enzo Tortora (poi assolto con formula piena) tra gli imputati. Sua, durante il processo, l’affermazione ricca di enfasi e veemenza con cui inchiodò Tortora alle sue presunte responsabilità: “L’ultima persona che si voleva portare in questo processo era proprio lui, ma, signori miei, più si cercavano le prove della sua innocenza, più saltavano fuori quelle della sua colpevolezza”. Errore macroscopico, da dilaniarti la coscienza. In Italia è previsto un premio: Assessore alla Legalità.

L’APPARENZA  INGANNA  3 – Torniamo alla foto del presunto assassino di Yara Gambirasio. L’elemento che salta agli occhi, ben prima della tuta in acetato, è la presenza dei due cani, del gatto e del presunto assassino, tutti insieme appassionatamente. A parte gli sguardi, di gran lunga quello del Bossetti è il meno vispo (per usare un eufemismo) dei quattro, e questo potrebbe mettere seriamente in discussione la presunta superiorità della razza umana sulle altre razze animali, è l’amore del Bossetti per gli animali che risalta fortemente, è la carica simbolica del cane e del gatto insieme grazie all’opera di mediazione dell’uomo quella che ci viene consegnata chiavi in mano. L’uomo che sa amare gli animali. Siccome siamo in pieno clima mondiali di calcio, io, un gol a porta libera, non me lo lascio scappare (non sono mica Balotelli – dalle imprecazioni che sono filtrate dentro la mia stanza durante Italia-Costarica, ho capito questo). L’intera questione gira sulla presunta superiorità morale degli Amanti degli animali rispetto alla galassia silente, piena di sensi di colpa e occhi bassi, degli “Indifferenti” (tutto quel resto del mondo che si vergogna di esserlo, che lo vorrebbe poter abbracciare un cane, accarezzargli la testa, lasciarsi leccare senza arretrare. Ma non ci riesce, bloccato da ataviche paure, istintive ritrosie, insuperabili repulsioni). Non c’è dubbio che in questo confronto tra quelli che definiremo gli Amanti (con la A maiuscola) e gli Indifferenti, grazie alla foto di Bossetti, i secondi segnano un punto a loro favore. E direi: finalmente. Basta capo chino, basta doversi giustificare con frasi del tipo “io non ho nulla contro gli animali, io li rispetto, sia chiaro, ci tengo a sottolinearlo, e che, secondo me, gli animali dovrebbero vivere nel loro habitat…”, mentre l’interlocutore che tiene al guinzaglio il suo dobermann ti osserva alternando compassione e rassegnazione e tu sai che sia lui che il cane stanno pensando: “poveretto”. Con la foto di Bossetti immortalato assieme a cani e gatti, crolla, ufficialmente, un pilastro del pensiero dominante, e cioè: “di quelli che amano gli animali ci si può fidare sempre un tantino di più rispetto a quelli che non li amano”. Questo luogo comune che sottintende una contrapposizione ancora più grande tra le due macro categorie, altruismo ed egoismo, va in frantumi. Gli Indifferenti escano allo scoperto, non hanno più nulla di cui vergognarsi, sono gli altri che dovranno riporre in un angolo le loro granitiche certezze. La sicurezza, un tantino arrogante, di considerarsi dalla parte dei giusti. E ammettiamolo, non se ne può più di persone che quando il loro cane ti salta addosso e tu indietreggi infastidito, esclamano: "ma non ti fa niente!!!" (frase, puntualmente, accompagnata da uno sguardo di commiserazione denso di superiorità), e poi aggiungono "è un giocherellone" (e chi se ne frega, vorremmo sottolineare), e, forse, per rassicurarci, rincarano: "fa con tutti così" (mentre le perle di sudore fanno la loro comparsa sulla nostra fronte, figlie della lotta intestina tra due forze contrapposte: l’autocontrollo e il bisogno di scappare). Il cane degli Amanti ti lecca e tu povero rappresentante degli Indifferenti rimani schifato? Il problema non sono loro – intendo, gli Amanti; che non si scompongono - non è il loro cane, il problema sei tu. Allora, proviamo, per assurdo, ad invertire le cose. Se il cane degli Amanti ha una sorta di diritto naturale a provare a leccare la guancia di un malcapitato, può l’Indifferente, non dotato di compagnia canina, leccare direttamente lui la guancia del padrone del cane, ricambiandogli la cortesia? Come reagirebbe quest’ultimo? Perché ciò che è permesso al cane deve essere negato all’uomo? Supponiamo che in preda ad un attimo di follia l’Indifferente frustrato superi il senso di schifo e di nausea e tuffandosi dentro una sorta di triangolo del leccalecca pratichi sul padrone del cane il gesto che l’animale sta infliggendo a lui; in questo caso, l’Amante degli animali come la prenderebbe? Scatterebbe la denuncia penale per molestie? E perché se il cane dell’Amante può provare ad urinare sul cerchio in lega dell’auto dell’Indifferente, la stessa cosa non può fare l’Indifferente sul tettuccio apribile dell’auto dell’Amante? (ovviamente, mentre il tettuccio è aperto e l’Amante è alla guida). Perché quello che fa il cane all’uomo è così simpatico e quello che l’uomo (Indifferente) vorrebbe ricambiare all’uomo (Amante) è così censurabile?

L’APPARENZA  INGANNA  4 – Anche la giustizia può sbagliare. Ci mancherebbe. Che ci mettiamo a scagliare le pietre?!? Però è un concetto che accetti a fatica, se la giustizia sbaglia allora è ingiusta, siamo di fronte a una contraddizione in termini. Difficile accettare. Impossibile, invece, mandare giù le recenti dichiarazioni di Antonio Iovine, camorrista tra i più spietati e ora collaboratore di giustizia. Ha riferito di tariffari, 250 mila euro per una assoluzione in appello. Secondo Iovine “nel Tribunale di Napoli esisteva tutta una struttura che riusciva ad aggiustare i processi”, si dirà: “la solita strategia della macchina del fango”. Può darsi. Quello che inquieta è che Iovine fu, veramente, assolto in appello, dopo essere stato condannato in primo grado all’ergastolo, per un duplice omicidio avvenuto nel Casertano. Dopo il suo pentimento, il camorrista pentito ha invece confessato di essere stato l’autore dei delitti. Ti gela il sangue solo a pensarci. Perché se diventa una grande associazione tra Controllato, Controllore e Giustizia, crolla qualsiasi ipotesi, anche lontana, di democrazia. È il caos.

L’APPARENZA  INGANNA  5 – Ancora problemi con le donne in casa Berlusconi. E sempre per il solito motivo: superficialità, assenza di controlli preventivi. Che il problema sia l’età o gli acari, siamo alle solite. Dudù, il cane di Silvio, si è beccato gli acari da Dudina, una cagnolina fatta arrivare da un allevamento. È sempre una campagna acquisti. Purtroppo, nessuno si è preoccupato di controllare lo stato di salute di Dudina. Occorreva bloccare gli acari, come si dovevano sequestrare i telefonini con le videocamere alle olgettine. E ora, Dudù, è costretto a portare una sorta di t-shirt per non leccarsi il pelo. T-shirt firmata Ralph Lauren. Mentre, la palla al piede che rischia Silvio per il processo “Ruby” potrebbe anche non essere griffata.

L’APPARENZA  INGANNA  6 – Dato che mi sono già inimicata gli animalisti di ogni risma con la storia della foto del presunto assassino di Yara, continuo la mia personale e masochistica opera di demolizione toccando un altro ambito inviolabile secondo il manuale del politicamente corretto: le misure a favore della disabilità. In particolare, mi riferisco, all’assegnazione ai disabili degli stalli di sosta presso le proprie residenze. Premessa: la misura – in linea di principio - non si discute. Ovvio. Però, ho la sensazione (mi voglio esporre) che a Bagheria ci sia un proliferare (ma non ho dati alla mano e a me piace ragionare alla luce dei numeri, e non conosco i criteri di assegnazione) di questa forma di permesso che, valutando a spanne, non sembra avere apparente riscontro guardandosi intorno. Non sembra esserci, per fortuna, questo esercito di persone prive di un sufficiente grado di salute da necessitare il parcheggio sotto casa. Ma, malgrado ciò, le aree riservate ad personam, mi pare, ripeto, mi pare, stiano aumentando. Se l’amministrazione ci dà qualche numero e ci smentisce, meglio. Ci scuseremo pubblicamente. Verificare a tutela di chi ha effettivamente bisogno e per evitare che si trasformi in una forma di malcostume. Anche perché, la mia impressione, è che questo tipo di autorizzazione venga concessa soprattutto nelle aree dove trovare un parcheggio è più difficile, come se in quelle zone si concentrassero le disabilità. Ricordiamoci che a Bagheria abbiamo una tradizione. Siamo il paese della gente che piazzava (e piazza) le sedie davanti casa per impedire il parcheggio, le piante, i secchi, le colate di cemento. Non vorrei che le assegnazioni delle aree di stallo si trasformassero in una sofisticata e legale evoluzione di una tendenza tutta baariota di considerare come proprio territorio anche quello posto qualche metro oltre quella che è la propria soglia di casa.

LA  FRASE – Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze. (Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray).

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  Giusi Buttitta

 

 

Tempistiche – Qualche giorno prima della tornata elettorale di fine maggio il Comune di Bagheria viene dichiarato in dissesto finanziario. Qualche giorno prima del ballottaggio tra Cinque e Vella per la poltrona di sindaco le forze dell’ordine procedono a una serie di arresti a Bagheria nell’ambito dell’operazione Reset. Come oscuri presagi i due momenti elettorali sono preceduti da fatti che, in maniera diversa, ci ricordano quale è il clima, quale è l’ambiente, quali sono le condizioni. Welcome to Bagheria. Questi gli episodi che di recente hanno portato, con diverso rilievo, la comunità agli onori di una cronaca che ha travalicato quella locale. Il dissesto finanziario, l’operazione Reset. Ah, dimenticavo, anche il candidato a sindaco che somiglia a Johnny Depp ha avuto la sua brava cassa di risonanza. Profetico, da parte di Restivo/Johnny Depp, in ottica dissesto finanziario, aver accostato il concetto di tagliare gli sprechi all’immagine di “Edward mani di forbice”. A chiunque sarà, lunedì sera, il nuovo sindaco di Bagheria (mentre scrivo le urne sono ancora aperte), faccio i migliori auguri.

Saper far di conto – Oltre 9mila strutture con gli intonaci a pezzi, in 7.200 edifici occorrerebbe rifare tetti e coperture, 3.600 le sedi che necessitano di interventi sulle strutture portanti e 2mila quelle che espongono i frequentanti al rischio amianto. Questi i numeri, di un terremoto? No, quelli sull’edilizia della scuola italiana resi noti dal Censis. La scuola, i giovani, il futuro. È così che siamo messi. E qualcuno accusa questa rubrica di catastrofismo! La catastrofe è sopra le teste. Dei nostri figli, purtroppo.
Siamo alla frutta – Siamo alla frutta, anzi, stiamo già divorando le bucce, le stiamo spolpando. Non ci credete? Questo è tratto dal profilo twitter ufficiale dell’amministrazione comunale di Roma:
"Per la Festa della Liberazione il 2 giugno apertura straordinaria dei musei civici", peccato che il 2 giugno la festa sarebbe quella “della Repubblica”. Gulp. Nemmeno l’abc, nemmeno l’abc…

Berlinguer ti voglio bene – In Italia, a sinistra, c’è una figura che è una sorta di spartiacque tra un prima ed un dopo. Berlinguer. Orgoglio, icona, nostalgia, amore. Di recente Walter Veltroni ci ha fatto un documentario “Quando c’era Berlinguer”, accolto molto bene da critica e pubblico. Nulla da eccepire, ci mancherebbe, però se mi guardo in giro e provo a trovare una logica, un senso, un collegamento, tra questa nostalgia per il vecchio leader della sinistra e il voto che il popolo di sinistra esprime, c’è qualcosa che non torna. I nostalgici di Berlinguer (che sono tanti, la maggioranza a sinistra) per chi votano? Come possono da un lato rimpiangere Berlinguer e dall’altro accontentarsi di essere rappresentati da certe tristi figure? E, soprattutto, come possono accontentarsi di quest’idea annacquata di sinistra che ha permesso ai suoi rappresentanti di flirtare con banche, mondo dell’alta imprenditoria e dell’alta finanza? Come ha potuto, per anni, il popolo di sinistra distruggersi di nostalgia per Berlinguer e farsi rappresentare da D’Alema?

Quanto dista Berlinguer? – Quanti sono gli anni luce che separano Berlinguer dall’attuale centro sinistra? Alcuni esempi: 1) “Pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza” (Enrico Berlinguer); vi sembra la disparità sociale un tema attuale all’interno del principale partito di sinistra? Quanto si è diluito l’argomento? C’è una cifra che etichetta quanto pesa attualmente la questione delle disparità sociale: 80 euro (Matteo Renzi). Non parliamo delle storture del capitalismo, un termine (il capitalismo) che a sinistra nessuno osa più criticare. 2) “La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico”. (Enrico Berlinguer). Il PD di oggi risponde con il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, arrestato per lo scandalo legato alla vicenda Mose. Ora tutto questo può anche andare bene, ognuno voti come vuole, ma la questione che pongo è un’altra: come si concilia con la nostalgia di Berlinguer? O, forse, Berlinguer è solo un’immagine, un’icona, un simbolo che tutti riconoscono, ma che in pochi ne conoscono il pensiero e il significato.

Il civismo di Orsoni – E fu il Mose. Giorgio Orsoni il PD l’ha scelto come sindaco di Venezia, già nel 2012 si distingueva per la profondità del suo pensiero politico “Le deiezioni canine a Venezia sono una piaga da estirpare con ferrei controlli e sanzioni, ma è indispensabile il civismo dei concittadini”. Si poteva concordare su tutto, sulle deiezioni, sulle sanzioni e sul civismo dei cittadini. Poi arrivò lui e fu peggio delle deiezioni canine come piaga da estirpare, l’unica cosa in comune con le deiezioni dei poveri cani sono la necessità di sanzioni e una forma di civismo dei cittadini. Soprattutto, al momento del voto. 

L’Italia unita – Quando il Paese sembra spaccarsi arriva in soccorso qualche argomento che ci unisce, ci apparenta, ci lega. Il nord col sud. Basta un mondiale vinto, o la mafia. La settimana scorsa la Cassazione ha definitivamente confermato la precedente sentenza sulle risultanze dell’indagine “Infinito” che si occupò delle infiltrazioni della ndrangheta calabrese in Lombardia. Connivenze con istituzioni e imprenditoria. Le motivazioni recitavano “ "Una metastasi ben radicata e diffusa… diffusa omertà che porta le vittime a subire senza denunciare, a nascondere piuttosto che a rivelare"”. L’Italia ha tanti problemi, la lentezza esasperante e l’ottusità incomprensibile della macchina burocratica, l’arretratezza delle infrastrutture, il gap di conoscenze con gli altri paesi, il disastro del sistema scolastico e ci fermiamo qui tanto per rimanere ai macro temi. Ma questi temi vengono dopo. La testa dell’Italia sarà decapitata su un’altra ghigliottina a doppia lama, cioè, un livello etico così basso da rendere impossibile ogni forma di amministrazione del denaro pubblico (Expo e Mose, tanto per rimanere nell’attualità, sono gli ultimi esempi) e un’infiltrazione criminale così diffusa, da nord a sud, che impedisce ogni forma di possibile sviluppo. Le due questioni, ovviamente, si intersecano. Non sono bastate leggi su leggi per garantire trasparenza negli appalti pubblici, controllori e controllanti, tutti insieme, avidamente, divorano. Come si può pensare allo sviluppo di un Paese se, di fatto, il malaffare, la criminalità governano lo sviluppo? È impossibile. Ma, in Italia, un po’ per comodità un po’ per codardia, si preferisce parlare d’altro. Certo, non mancano i dibattiti, le dichiarazioni d’intenti, i “Basta!!!” gridati un po’ qua e un po’ là. Ma l’approccio al ragionamento è quello di chi ne parla come se fossero mali superabili e che nel frattempo si può andare avanti malgrado tutto. Non è così, si tratta di precondizioni, non ci può essere sviluppo stretti in questa morsa. Non ce ne è e non ce ne sarà, non è possibile che ci sia. Chiusi dentro una cappa, si muore. Esiste un’aggravante: il tempo. Sono passati più di vent’anni da Tangentopoli e i metodi sono sempre quelli, c’è da presumere che non siano mai cambiati. Perché e cosa ci autorizza a pensare che in futuro non sarà così se da Tangentopoli non è cambiato nulla? E non illudiamoci che possa tracciarsi una linea netta, un confine, tra il bene e il male. C’è trasversalità. I malati terminali, quelli senza speranza, muoiono. Dispiace, ma muoiono. Se noi continuiamo a comportarci come se avessimo un semplice raffreddore come possiamo mai guarire? Anche perché la classe dirigente (non solo politica) che causa il male dovrebbe essere la stessa che è chiamata a trovare la cura. È ingenuo pensarlo. Questo è un de profundis. 

Se tanto mi dà tanto – Tempo fa lessi una statistica che diceva che il numero di delitti per i quali si arriva ai colpevoli è del 20 per cento sul loro totale. Come quando si sequestra un carico di droga ciò non significa che non ne stia scorrendo altra a fiumi. Quindi, se tanto mi dà tanto, per ogni Mose, Expo, infiltrazione mafiosa, caso di corruzione scoperto ce ne stanno almeno altri quattro che nessuno scoprirà mai. Il rischio, fondato, è che quello che ci sembra già tanto sia solo la punta di un iceberg.

La frase – “Ad un certo punto della mia vita ho fatto dei calcoli precisi: che se io esco di casa per trovare la compagnia di una persona intelligente, di una persona onesta, mi trovo ad affrontare, in media, il rischio di incontrare dodici ladri e sette imbecilli che stanno lì, pronti a comunicarmi le loro opinioni sull'umanità, sul governo, sull'amministrazione municipale, su Moravia.” (Leonardo Sciascia dal libro "A ciascuno il suo").

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Giusi Buttitta

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Good News – Il 2014 potrebbe essere l’anno dell’inversione di rotta per il PIL italiano. Dopo anni di contrazioni e recessioni, -1,9 nel 2013 e -2,5 nel 2012, nel 2014 potremmo tornare a crescere, a ricollocarci stabilmente sul segno positivo (+). Ottimismo, ragazzi. In verità, poco c’entrano le manovre del governo, poco c’entra Renzi e ancor meno gli investimenti esteri; da questo punto di vista nulla è cambiato; tutto come prima. Ma il PIL crescerà. Almeno nei numeri, crescerà. E i numeri, sono numeri. Tanta fiducia è legata alla notizia che, in coerenza con le linee dettate da Eurostat, tutti i Paesi Ue, compresa l'Italia, inseriranno nel 2014 una stima nei conti, e quindi nel Pil, delle attività illegali. Attività come: traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando; contribuiranno alla determinazione del Prodotto Interno Lordo. L’Istat sembra abbia ammesso le difficoltà per la determinazione del dato, ma così sarà. Speriamo di non sottostimarci. Già l'Istat inserisce nel PIL il sommerso economico, ora aggiungerà l’emerso criminale. Questo ci rende fiduciosi per due motivi: il primo è, ovviamente, legato alla risalita e all’uscita dalla recessione – almeno, contabilmente; il secondo riguarda il fatto che dovendo tutti i paesi europei inserire la loro quota di “Criminal PIL”, si potranno fare dei raffronti e se proprio non saremo i primi in valore assoluto, potremo riporre fondate speranze di primeggiare nella speciale classifica del PIL criminale. Sarà anche un “PIL drogato”, ma che ci mettiamo a sottilizzare? A cercare il PIL nell’uovo?

Ganzo ‘sto Ganso – Che poi, rimanendo sulla storia del PIL, il rischio di essere sottovalutati è forte. Spesso non si conoscono le nostre potenzialità e non ce le riconoscono gli altri. Una vergogna. Prendete il presidente della squadra di calcio brasiliana del San Paolo, tale Carlos Miguel Aidar. Qualcuno mette in giro la notizia che il Napoli è interessato a un giocatore del San Paolo che di nome fa Ganso. Il presidente della società brasileira non prende bene la notizia del corteggiamento da parte della squadra partenopea e dichiara “Se dovesse arrivare una vagonata di soldi dal Sud Italia? Non bastano neanche tutti i soldi della Camorra per portarcelo via.”. Ma, carissimo Carlos Miguel, lo sai cosa stai a dire? Hai capito di cosa stiamo parlando? Cosa “Ganso” stai dicendo? Ma quelli si comprano te, il San Paolo (inteso come squadra) tutto intero, magazzinieri compresi, e pure la spiaggia di Copacabana, e il carnevale di Rio e tutta la foresta amazzonica. Il Brasile intero si comprano, inclusa la statua del Cristo Redentore. Se la impacchettano e se la portano a casa e se la piazzano accanto a quella di Padre Pio e al poster di Al Pacino in Scarface. Secondo l’iconografia camorristica classica. Carissimo, aspetta che finisca il 2014, aspetta i dati ufficiali, aspetta il nostro PIL e poi ragioniamo conti alla mano. Ma la cosa più scandalosa è che la politica italiana, che pure annovera tra le proprie fila - stando alla cronaca, mica lo dico io - vari esponenti della criminalità (nel doppio ruolo politico/delinquente), non ha sentito il bisogno di prendere posizione. Uno scandalo! Ma è rimasto qualcuno in questo paese a difendere il “Made in Italy”?

 Era già tutto previsto - Quando i bambini fanno oh? Quando si trovano davanti a una sorpresa, quando vedono l’arcobaleno dopo la pioggia, quando il prestigiatore tira fuori il coniglio dal cilindro o, ancor di più, quando tira il cilindro da dentro il coniglio. Insomma, quando la meraviglia si presenta all’improvviso. E di fronte al dissesto finanziario del Comune di Bagheria? Rimangono indifferenti, ti rispondono! “ma lo sapevano tutti che finiva così!!”, e poi aggiungono: “lo sapevano anche i bambini; sì, anche noi bambini…”. Ti dicono così i pargoli. Il dissesto bagherese non provoca gli “oh”. Perché la bancarotta, diciamocelo, è solo l’approdo finale di una barca alla deriva, è il crollo di una costruzione pericolante da troppo tempo. E non è solo una questione di bilanci. Questo è un paese dissestato, sotto ogni punto di vista, da troppo tempo. Dissestato nell’anima. Una comunità priva di progetto che si è trascinata cercando piccoli escamotage di sopravvivenza, implodendo su se stessa, convinta che questo tran tran potesse durare in eterno. Sempre alla ricerca di pezze per andare avanti. Una comunità votata al transitorio, ai piccoli egoismi di bottega. Vado oltre, questa comunità - da tempo - non è più una comunità. L’orgoglio bagherese è solo uno slogan. E a chi non la pensa così lo sfido a segnalarmi, negli ultimi dieci (ma, anche venti) anni, un solo segnale in controtendenza (tolti gli exploit di singoli che ce l’hanno fatta, malgrado tutto). Un progetto realizzato di cui andare orgogliosi. Troppo semplice puntare il dito contro gli amministratori, ma chi li ha votati? Chi li ha avallati, spesso con ignavia e disinteresse? Questo paese è stato dilaniato soltanto dalla classe politica? E chi le ha distrutte le coste? Chi li ha cementificate? Chi ha sepolto ogni possibilità di fare turismo? Chi ha disintegrato l’economia agrumicola? Chi trasforma ogni anfratto abbandonato in piccola o grande discarica abusiva? Chi ha fatto sorgere orrendi quartieri abusivi? Chi ha una visione “ampia” della proprietà privata e ristretta della “cosa pubblica”? Cos’è Bagheria? Chi è Bagheria? Quale identità ha questo mega quartiere dormitorio che implode su se stesso? Perché in questi anni a Bagheria il “brutto” è diventato filosofia di vita? Perché questa comunità non è in grado di tenere una spiaggia pulita? Perché trasforma l’area di Monte Catalfano in una porcilaia ad ogni occasione di picnic all’aperto? Perché tutto viene distrutto? Su quali radici psicologiche si fonda questa pulsione autolesionista? Perché nulla che sia pubblico a Bagheria può essere organizzato, pulito, ordinato, efficiente, bello? Perché ci facciamo del male? Qualcuno può anche obiettare che questo discorso poco ha a che fare con le rigide leggi di bilancio; e, invece, secondo me, un po’ c’entra. Perché il dissesto finanziario è solo una sfaccettatura, forse nemmeno la più grave, di una deriva generale. Non dico nulla di nuovo. Basta riguardarsi la scena finale di Baarìa, l’impietoso contrasto tra quello che fu, ma, soprattutto, che poteva essere, e quello che Bagheria è. Quella scena è la fotografia di un’occasione mancata. Come mancata, perché la storia si ripete, è stata l’occasione che ha fornito il film. Non siamo in grado di costruire (cementificazione a parte), c’è una forma di analfabetismo civile diffuso. In questi anni la presenza sulla scena della politica bagherese di certe figure, francamente improbabili, ha mandato il messaggio che la politica e solo una forma sui generis di precariato. Mai nessun candidato che si sia chiesto: “Ma sono in grado di dare un contributo?”, mai nessun elettore che si sia domandato “Ma è in grado di dare un contributo?”. E non è cambiato nulla, ad urne chiuse (quando leggerete) possiamo dirlo, perché alcune candidature, con tutto il rispetto, sono improponibili. Non è un gioco, non è che guadagnandosi un piccolo posticino al sole non si dà fastidio a nessuno. Si dà fastidio, si fanno danni, è il bene comune che c’è da amministrare e l’individuazione di un buon amministratore è bene comune. Non basta non rubare, bisogna essere anche capaci ad amministrare. Votare non è un gioco. E se la comunità lo ha considerato tale, forse, ora è anche giusto che paghi il conto. Si dirà: “è la democrazia”; appunto, ciò che la maggioranza vuole. E allora, la maggioranza non si lamenti. Una minoranza, sì; ma la maggioranza, no. Sottolineo, anche se non serve, che questo articolo è scritto ad urne ancora aperte. Speriamo bene.

Comunità – Le generalizzazioni non mi sono mai piaciute. Le responsabilità sono sempre personali e quando si entra in questo ambito i discorsi si fanno sdrucciolevoli. La comunità è una, le persone sono tante. Individualmente, ognuno si può tirare fuori dal gioco delle responsabilità. Però, la comunità ha una sua responsabilità collettiva, significa che c’è una spinta comunque maggioritaria che va in una certa direzione. Infatti, alla parte civile del paese dico: pensateci bene prima di rimanere. Mentre alla parte civile e anche giovane della comunità dico: scappate via, prima possibile. Oppure, se siete convinti che il vostro posto sia, in ogni caso, questo, e, quindi, sia giusto rimanere, allora alzate le barricate e difendete il vostro territorio dai portatori insani di degrado. Badate, sono tanti, più numerosi dei persiani dell’esercito di re Serse e voi, forse, siete pochi, meno dei 300 spartani di Leonida.

Buffoni – Renzi è toscano e il luogo comune lo vuole toscanaccio. E lui lo è. Uno con la battuta pronta, di spirito, uno che alla fine non ti fa annoiare. L’ultima che ho sentito, per esempio, è una battuta bellissima: “Votate tutti, ma non i buffoni”. Cos’era, un invito all’astensione? Matteo, sono – a voler essere buoni – almeno vent’anni che in Italia si votano “buffoni”. Le foto di Berlusconi, col ritocco da pagliaccio, hanno spopolato sulle pagine dei principali giornali europei, nel PD (per dire la trasversalità) ne abbiamo visto di tutti i colori e ora tu ci vieni a dire di non votare i “buffoni”? Ma, qui ci si è così abituati ai “buffoni” che non ci si fa più caso. E poi che significa “buffone”. Spesso, ci si rivolge in questo modo nei confronti di chi non mantiene la parola data e lo si apostrofa con un “Sei un buffone!”. Basta una promessa non mantenuta. Basta poco.

Cominciamo male – Alcuni manifesti di candidati sindaci e consiglieri sono stati coperti da una scritta affissa dal Comune di Bagheria: “Manifesto Abusivo”. Se i futuri amministratori si fanno etichettare, ancor prima di cominciare, come abusivi, si parte veramente male.

Perché lo fai – Alla fine finisce tutto in vacca. È triste, ma è così. Lo sapevo già. Però, il mercoledì sera, quando vedo, in “The Voice”, la caricatura di Piero Pelù travestito da Piero Pelù (quello vero) dei Litfiba (quelli veri), gigioneggiare con la Carrà, mi prende una tristezza che non so esprimere. È mai possibile che ogni tornado si sciolga in un venticello innocuo? Ogni rivoluzione, in una restaurazione? Ogni progetto, in noia? È mai possibile che, alla fine, vinca sempre Raffaella? Tuca, tuca, tuca…

Frase –Hai venduto l'anima al mercato?” da “Soldi”, canzone inserita nell’album “Terremoto” dei Litfiba. Anno 1993. E ora? Peggio di Vasco Rossi e la sua vita spericolata tradita. Anche le rockstar si imborghesiscono. Ma fatelo con stile e coerenza. Perdinci!!! (avvertenza: “Perdinci” la potete sostituire con qualsiasi altra esclamazione che esprima stupore e dispetto).

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Giusi Buttitta
 

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