Responsabilità del datore di lavoro durante l'emergenza covid e rischi d'azienda

Responsabilità del datore di lavoro durante l'emergenza covid e rischi d'azienda

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Era l’11 marzo del 2020 quando l’OMS proclamava la pandemia da Covid-19: l’Italia è stato il primo paese europeo ad essere profondamente colpito e chiamato a fronteggiare i suoi devastanti effetti. I drammatici mesi appena trascorsi, dai quali stiamo provando stentatamente ad uscire, hanno visto una copiosa attività normativa e regolamentare di tipo emergenziale, mirata ad effettuare un bilanciamento tra i valori costituzionali, quale appunto il diritto al lavoro e alla sicurezza nei luoghi di lavoro.

In questo scenario, si è venuto a creare un vivace dibattito dottrinale per quanto riguarda la configurazione della responsabilità del datore di lavoro, per l’inosservanza delle tutele prevenzionistiche. Particolare attenzione viene attribuita agli idonei DPI ai lavoratori e alla valutazione dei rischi, due istituti cardine del Testo Unico di salute e sicurezza sul lavoro, con cui vanno adeguatamente coordinate le disposizioni speciali legate al COVID-19. Per quanto riguarda la valutazione dei rischi, per i settori a rischio biologico, si deve ritenere necessario procedere con un aggiornamento sulla valutazione dei rischi e conseguenzialmente, del DVR. Secondo il comma 1, art. 266 del D. Lgs. N. 81/2008, le disposizioni del Titolo X si applicano a tutte le attività lavorative nelle quasi sussiste il rischio di esposizione ad agenti biologici. Tali disposizioni si applicano anche quando il datore di lavoro intende esercitare delle attività che implicano l’uso di agenti biologici e quando vengono svolte quelle attività che sono riportate a titolo esemplificativo nell’Allegato XLIV, e che possono comportare un rischio per il lavoratore esposto non intenzionalmente ad agenti biologici. Dal campo di applicazione del Titolo X, sfugge invece, il cosiddetto rischio biologico di tipo generico, in quanto non ha origine professionale ma è riconducibile a quello di chiunque altro nella popolazione.

Per le attività delineate sopra, con riferimento alla responsabilità del datore di lavoro in tema di analisi dei rischi, si dibattono due differenti tesi. La prima, molto restrittiva, ritiene che il datore di lavoro debba dare attuazione esclusivamente alle disposizioni di tipo emergenziale adottate nel corso dell’emergenza COVID-19 e fino all’entrata in vigore del D.L. N. 19/2020, trova applicazione l’art. 650 c.p., “inosservanza dei provvedimenti dell’autorità”. La violazione di tali misure di contenimento, non costituisce ad oggi illecito penale, quanto illecito amministrativo.
In oltre, il D.P.C.M. del 26/04/2020, all’art. 2, comma 6, ha disposto che qualora i livelli di protezione risultino scarsi o inadeguati, la mancata attuazione del Protocollo condiviso delle misure di contenimento del virus negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile, nonché, per i rispettivi ambiti di competenza del Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento e la diffusione del COVID-19 nei cantieri, e del Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento del COVID nel settore dei trasporti e della logistica, sarà prevista la sospensione delle attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza.
Per il secondo orientamento invece, meno restrittivo, il datore di lavoro deve procedere con l’aggiornare il DVR, e in violazione di tale obbligo troverebbe applicazione l’ex art. 55 del D. Lgs. N. 81/2008. In base alla violazione posta in essere, vi sarà un apposito piano sanzionatorio previsto.

L’adesione al primo o al secondo orientamento comporta delle sostanziali differenziazioni per quanto concerne il riparto delle competenze per lo svolgimento dell’attività di vigilanza da effettuare nei luoghi di lavoro. A norma dell’art. 4 del D.L. n. 19/2020 le sanzioni devono essere irrogate dal Prefetto, che nello svolgimento delle proprie funzioni può avvalersi delle Forze di polizia e delle Forze armate. In questo primo scenario restrittivo, il Legislatore non ricomprende il personale delle ASL e dell’INL, tradizionalmente preposto ad esercitare attività di vigilanza in materia di tutela della salute e di sicurezza sul lavoro. Con circolare del 14 aprile, il Ministero ha tuttavia precisato che i Prefetti potranno avvalersi dell’ausilio di tali organi, al fine di garantire un controllo ramificato delle modalità di attuazione delle procedure necessarie per contenere e contrastare il COVID-19.
Per chiarire quali siano le misure da adottare per il contenimento del virus, il Ministero degli Interni ha emanato la circolare n. 29415 del 2 maggio 2020.
Il D.L “Cura Italia”, art. 42 co. 2, convertito in Legge n. 27/ 2020 ha equiparato l’infezione da COVID-19 contratta in occasione di lavoro o in itinere ad infortunio sul lavoro con causa virulenta; ciò, ha fatto sì che venisse esteso al lavoratore, un sistema giuridico favorevole che dilata le tutele dell’INAIL, di cui al D.P.R. n. 1124/1965, nei confronti del lavoratore colpito dall’infezione. Il dibattito che ha preso piede da tale decisione, verte sul pericolo di ampliamento della sfera di responsabilità datoriale, sia sul piano civile, che penale. In sede INAIL è possibile riconoscere, qualora sussistano elementi formali e sostanziali di non facile dimostrazione, delle tutele assicurative ed indennitarie ma non viene introdotto di fatto nell’ordinamento una nuova fattispecie di reato. La previsione ha, infatti, esteso semplicemente l’ambito di erogazione dell’indennizzo INAIL. Con Circolare n. 22 del 20 maggio 2020 lo stesso INAIL chiarisce che tale estensione non sostiene l’accusa in ambito penale, in quanto, la responsabilità del datore di lavoro assume rilievo soltanto nel caso di violazione di legge o di obblighi, che nel caso dell’emergenza COVID- 19 si possono rinvenire nei Protocolli delle parti sociali e nelle linee guida governative e regionali. In aggiunta, gli eventi infortunistici dovuti all’emergenza odierna, non sono computati ai fini della determinazione del tasso medio per l’andamento infortunistico.
Infine, si potrebbe ipotizzare una responsabilità penale datoriale oggettiva, in materia di inosservanza della disciplina antinfortunistica, soltanto qualora ci trovassimo in presenza di almeno 4 presupposti imprescindibili e congiunti, a dir poco difficili da poter verificare, ovvero:
1) qualora il lavoratore riuscisse a provare la correlazione dell’evento lesivo (l’infezione da Coronavirus) con lo svolgimento dell’attività lavorativa;
2) nel caso in cui il datore di lavoro non potesse dimostrare di aver fatto tutto quanto fosse necessario in termini di misure prevenzionistiche;
3) allorché sussista un nesso di casualità tra comportamento omissivo del datore di lavoro e il verificarsi dell’evento lesivo;
4) quando vi sia la colpa del datore di lavoro.

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Dott. Agostino Cilea, Dott.ssa Desirè Chiarenza 

 

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