Eccessiva durata dei processi e diritto al risarcimento- di Antonino Cannizzo

Eccessiva durata dei processi e diritto al risarcimento- di Antonino Cannizzo

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“Una giustizia ritardata è una giustizia negata” affermava Montesquieu nel 1700.

Partendo da tale considerazione, con il presente contributo si cercheranno di individuare le condizioni che consentono di ottenere un’equa riparazione, quale conseguenza della eccessiva durata di un processo.

La “European Commission for the efficiency of justice” ha redatto un rapporto contenente i dati relativi alla durata dei processi in Italia per l’anno 2018.

Da una attenta lettura del rapporto è emerso che:

a) un processo civile, che attraversi tutti e tre i gradi di giudizio (Tribunale, Appello e Cassazione) dura in media 2945 giorni (circa 8 anni);

b) un processo penale, invece, dura in media 1600 giorni (circa 4 anni);

c) un processo amministrativo, che ha generalmente due soli gradi di giudizio, dura in media 2100 giorni (circa 5 anni).

In Europa, solo la Grecia ha dei dati peggiori rispetto a quelli dell’Italia.

La legge Pinto ha riconosciuto il diritto all’equa riparazione in capo al cittadino che abbia riportato dei danni patrimoniali e non patrimoniali in conseguenza della durata irragionevole del processo.

Il diritto ad un processo di durata ragionevole è riconosciuto dall’art. 6 della Convenzione per i diritti dell’Uomo (CEDU),che sancisce il diritto a che la causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e per un tempo ragionevole.

Lo Stato Italiano è stato spesso condannato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Corte di Strasburgo, per la violazione della menzionata norma.

Lo Stato ha dunque ritenuto di predisporre una modifica alla Costituzione, con la legge costituzionale n. 2 del 1999,inserendo nel corpo dell’art. 111 la previsione in base alla quale la ragionevole durata del processo è garantita dalla legge.

In seguito, inoltre, è stata adottata la legge Pinto.La normativa ivi disciplinata, risponde all’esigenza di riparare i danni derivanti dall’eccessivo protrarsi dei tempi della giustizia, divenuti, specie in ragione delle gravi carenze dell’organico, sempre più dilatati.

Peraltro, lo Stato ha preso atto della circostanza che l’eccessiva lentezza della giustizia rappresenta un endemico ostacolo competitivo rispetto agli altri paesi europei.

Nello specifico, la normativa di cui alla legge Pinto si applica alle controversie civili, penali, amministrative, fallimentari e tributarie.

I tempi,superati i quali la durata viene considerata irragionevole, sono di tre anni per il primo grado di giudizio, due anni per il secondo grado e un anno per il giudizio innanzi alla Corte di Cassazione.

Relativamente alla procedura di esecuzione forzata, invece, il termine è di tre anni; mentre con riguardo alle procedure concorsuali, di sei anni.

In ogni caso, laddove la pronuncia divenga irrevocabile entro sei anni, si ritiene che il termine sia ragionevole.

La giurisprudenza si è peraltro espressa in più occasioni, aderendo all’orientamento per cui sono ammessi degli scostamenti dai termini in ragione della complessità del caso e del comportamento delle parti e del giudice o di qualsiasi altra autorità che contribuisce alla sua definizione (Cass. Sez. I n. 8521 del 2008).

Il giudizio attraverso il quale chiedere allo Stato l’indennizzo, è di competenza della Corte di Appello nel cui distretto ha sede il giudice di primo grado.

Ai fini dell’indennizzo, occorre dimostrare di aver subito un danno, per il periodo che eccede il termine ragionevole.

Il danno può riguardare sia le conseguenze pregiudizievoli di carattere patrimoniale, sia i danni non patrimoniali.

Il danno, inoltre, può rilevare nella duplice componente del danno emergente, ossia delle spese sostenute in ragione del ritardo, e del lucro cessante, ossia del mancato guadagno derivante dall’eccessiva durata.

Relativamente al danno non patrimoniale, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che vige una presunzione semplice di sussistenza del danno: il danno non deve essere dimostrato, esso si presume, salva prova contraria (Sez. Unite nn. 1338 1339 1340 e 1341 del 2004).

E’ possibile, infine, proporre la relativa azione giudiziaria soltanto laddove il giudizio si sia concluso da non oltre sei mesi.

Avv. Antonino Cannizzo

Via B. Mattarella n. 58 – Bagheria

Cell. 333.3548759

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