Videosorveglianza: privacy e sicurezza dei lavoratori- di Agostino Cilea

Videosorveglianza: privacy e sicurezza dei lavoratori- di Agostino Cilea

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In risposta alla crescente domanda di sicurezza di aziende e cittadini, il notevole avanzamento tecnologico che contraddistingue la società che conosciamo, ha prodotto la notevole diffusione di impianti di videosorveglianza all’interno dei locali commerciali.

Attualmente, in Italia non esiste una disciplina organica in grado di regolamentare in maniera idonea e sufficiente l’attività di videosorveglianza. Per quanto attiene a questi sistemi innovativi, lo Statuto dei Lavoratori era intervenuto in merito alla questione, cercando di disporre misure idonee a garantire il rispetto e la dignità dei lavoratori, stabilendo che vi fosse un netto divieto nel controllare i lavoratori dipendenti e affermando altresì, che l’istallazione di tali meccanismi fosse motivata da esigenze organizzative e per la sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. Lo scorso 5 dicembre, il Garante della privacy ha divulgato le risposte alle domande più frequenti in merito al tema della videosorveglianza e della conseguenziale tutela dei dati personali. L’architrave su cui si fonda questo documento ufficiale informativo, il primo all’indomani della grande riforma europea sulla tutela dei dati personali, è il principio di responsabilizzazione del titolare del trattamento, il quale dovrà necessariamente fornire un rendiconto delle operazioni gestite per quanto concerne la tutala degli interessati. Il Garante della protezione dei dati europeo ha infatti richiesto alle imprese di scrivere un apposito documento dove fossero contenute tutte le regole in merito alle scelte effettuate dall’azienda per quanto concerne i tempi di conservazione delle immagini, delle misure tecniche e organizzative e della valutazione di impatto sugli interessati. La disciplina in questione affonda le proprie radici nel provvedimento del 8 aprile 2010, il quale illustrava le soluzioni organizzative più idonee per il rispetto della conservazione dei dati personali e delle misure di sicurezza da attuare, nel rispetto del bilanciamento degli interessi coinvolti. Il recepimento della direttiva europea a livello nazionale avviene con l’approvazione del decreto legislativo del 18 settembre 2018. L’emanazione del decreto ha messo in luce particolari criticità, soprattutto per quanto riguarda il tema della compatibilità o meno della videosorveglianza.

L’attività di videosorveglianza risulta essere estremamente invasiva e per questo motivo, il Garante per la tutela dei dati personali è intervenuto fissando dei requisiti stringenti per evitare che l’attività di videosorveglianza leda in qualche modo i diritti degli interessati.

Analizzando le FAQ del Garante della privacy è possibile estrapolare i nodi nevralgici della questione per quanto riguarda l’indirizzo da seguire pe garantire che l’installazione dei dispositivi per la videosorveglianza rispettino le norme sulla privacy e sulla tutela della libertà della perone, assicurando una proporzionalità tra gli strumenti adoperati e obiettivi perseguiti.

Per quanto riguarda le imprese, in prima battuta, è necessario chiarire che l’installazione degli impianti presuppone la realizzazione di un accordo con le rappresentanze sindacali o di un’autorizzazione rilasciata dalla DPL. Il datore di lavoro dovrà informare i lavoratori della presenza di tali sistemi tramite appositi cartelli che ne segnalino la presenza e comunque, dovranno essere posizionate esclusivamente verso le cosiddette “zone a rischio”. Dovrà poi nominare un incaricato che si occuperà di gestire i dati raccolti, elementi che potranno essere conservati per un massimo di 24 ore dalla loro rilevazione. Le istanze del datore di lavoro sono soggette ad una imposta di bollo pari ad euro 14,62.

Per semplificare queste operazioni negli esercizi commerciali dove non esistono rappresentanze sindacali, il Ministero del lavoro è intervenuto stabilendo che il personale ispettivo dovrà effettuare dei sopralluoghi negli esercizi in questione, verificando il normale e corretto adempimento delle norme sulla sicurezza. Di recente inoltre, la Cassazione ha deciso che in assenza di rappresentanze sindacali, il datore di lavoro non commette reato se procede a far firmare un documento informativo della presenza dei sistemi di videosorveglianza ai lavoratori, prima che questi vengano installati. Le ragioni giustificatrici del controllo dei lavoratori a distanza, risiedono nella volontà del datore di lavoro di tutelare il patrimonio aziendale, senza però che si possa eccedere in abusi che ledano i lavoratori tramite controlli abusivi. Per questo motivo, l’accesso di postazione remota ad immagini “in diretta” devono essere autorizzati in casi motivati e devono essere tracciate tramite apposite funzionalità.

L’utilizzo di dispositivi e tecnologie di dati biometrici, diffusi ormai ad ampio raggio, ha fatto sì che il Garante abbia emanato delle disposizioni generali di carattere prescrittivo, le quali prevedono che il riconoscimento biometrico sia utilizzato per limitare l’accesso ad aree locali sensibili per cui risulti necessario garantire determinati standard di sicurezza o per garantire l’accesso di determinate aree a pochi soggetti autorizzati.

Il controllo dei lavoratori può avvenire anche tramite la cronologia internet e del relativo controllo della posta aziendale. L’utilizzo di tali strumenti appare però ancora una volta legittimo, qualora tali installazioni siano state preventivamente concordate con le rappresentanza sindacali o tramite autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro. Il principio viene esteso anche nei casi dei controlli difensivi, ovvero qualora il datore di lavoro debba accertare la sussistenza o meno di un illecito perseguito dal lavoratore. Il Garante ha infatti stabilito che possa risultare necessario adottare un codice che chiarisca ai lavoratori quali comportamenti sia possibile adottare e quali controlli possano essere o meno effettuati.

Grazie alla Legge n. 547 del 23 dicembre 1993, la corrispondenza telematica è stata equiparata a quella tradizionale, come stabilito dalla nostra Costituzione dunque, la segretezza della corrispondenza costituisce un elemento fondamentale del nostro ordinamento. La legge sulla Privacy però, nel disciplinare le misure minime di sicurezza ha contemplato la possibilità per il datore di lavoro, in qualità di titolare del trattamento dei dati, di essere a conoscenza della password di accesso alla posta elettronica del dipendente per far sì che, in caso di assenza prolungata del dipendente, possa avere accesso ai dati di sistema. È inoltre possibile che si possa riscontrare dal pc del lavoratore un uso non consentito dei mezzi aziendali posti a disposizione del lavoratore per lo svolgimento delle proprie prestazioni, in quanto il datore di lavoro può porre in essere controlli sulla correttezza dell’operato dei propri dipendenti. Affinché ciò possa avvenire nel rispetto della legge, bisogna che il datore di lavoro renda disponibili gli indirizzi di posta elettronica condivisi tra più lavoratori.

Per l’inosservanza di tali disposizioni è prevista l’ammenda che può variare da 154 euro a 1549 euro oppure l’arresto per un minimo di 15 giorni ed un massimo di un anno. Per il mancato rispetto delle disposizioni in materia di videosorveglianza è prevista la sanzione amministrativa, da 30.000,00 a 180.000,00 euro.

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