Le radici antiche dell'antimafia a Bagheria

Le radici antiche dell'antimafia a Bagheria

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Sono state diverse migliaia le persone che venerdì scorso hanno partecipato alla riedizione della marcia antoimafia Bagheria- Casteldaccia 40 anni dopo. Una giornata di festa e di partecipazione nel segno della legalità. 

In questi giorni ci è capitato di imbatterci in un articolo del compianto Angelo Gargano "Le radici antiche dell'antimafia" apparso su Bagherianews nell'ormai lontano 26 febbraio 2009, in occasione del 26esimo anniversario della prima storica marcia antimafia del 1983 e che ci è sembrato interessante riproporre ai nostri lettori 14 anni dopo, soprattutto per chi è troppo giovane per ricorrdare certe vicende della nostra storia recente. 

Le radici antiche dell'antimafia- di Angelo Gargano

"I primi degli anni ’80 furono tra i più terribili per la Sicilia e per l’intera Italia repubblicana. Era partito l’attacco dei “viddani”, dei corleonesi di Riina e Provenzano ai vecchi padrini, per il controllo di cosa nostra; i “macellai” delle varie famiglie di mafia seminavano il terrore, i “chimici” nostrani e d’importazione raffinavano e distillavano sostanze di morte, il fiume di denaro proveniente dal traffico internazionale di stupefacenti, e di cui la Sicilia era uno snodo vitale, si riversava su una economia “drogata”, che in mille rivoli e per mille strade gratificava un po’ tutti.

Si moriva incrapettati, si moriva crivellati dai colpi di killers spietati, si moriva squagliati nell’acido; nelle camere della morte di Ciaculli, di Bagheria, di Brancaccio si facevano gli straordinari. L’odore del fiume di denaro proveniente dalla raffinazione della droga, neutralizzava l’odore di morte che ammorbava l’aria delle nostre terre.

La gente faceva finta di non vedere e di non capire, perché mai un tizio gli pagava un tumolo di terreno incolto all’Accia o a Bellacera a peso d’oro, o come mai l’altro tizio, dopo un viaggio negli USA, dove era andato a trovare i parenti aveva aperto un deposito di chissacchè, o una pizzeria o un negozio, o tirava su una casa, o come mai l’amico che qualche mese prima ti chiedeva le “centomila” in prestito ora comprava le macchina nuova, una villetta e un appartamento, e tutto in contante.

Nel 1982 furono oltre un centinaio i morti ammazzati nella sola città di Palermo; il 30 Aprile dello stesso anno vengono uccisi Pio La Torre e l’autista Rosario Di Salvo; e a distanza di appena 4 mesi il 2 Settembre l’eccidio del generale Dalla Chiesa, della moglie e dell’agente di scorta.

 Nel mezzo, in meno di quattro mesi, tra Ficarazzi, Bagheria, Casteldaccia e Altavilla, nel tristemente noto triangolo della morte, vengono uccise oltre 20 persone; i killers, su moto potenti scorazzano nelle strade dei nostri paesi, entrano ed escono indisturbati dalle ville che le famiglie di Brancaccio, di Corso dei Mille, dello Sperone, di Vergine Maria, di Falsomiele, di Villabate, hanno in proprietà o in affitto dal fiume Milicia al fume Eleuterio.

In questi luoghi ed in quegli anni il commissario Beppe Montana, il maresciallo Ievolella, l’agente Zucchetto, il questore Boris Giuliano, il vicequestore Cassarà e con loro tanti e tanti altri, vennero mandati, come novelli Davide, a combattere con la fionda contro il gigante Golìa.
In quel clima, ed in particolare dopo la contestazione di cui fu oggetto il capo del governo di allora Giovanni Spadolini alla fine della cerimonia funebre per Dalla Chiesa, qualcosa nelle coscienze comincia a cambiare.

 “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” aveva amaramente constatato il cardinale Pappalardo durante l’omelìa in cattedrale per le esequie del generale Dalla Chiesa. Quel grido di dolore scosse l’intero paese: gli italiani compresero che la mafia non era solo un problema della Sicilia e dei siciliani, e che la lotta contro la mafia era una lotta per la democrazia dell’intero paese.
Nasce un moto di indignazione popolare che ha come primo soggetto protagonista, i giovani e gli studenti; ma anche le gerarchie religiose scendono in campo.

“Basta con i politici ai funerali dei mafiosi" è l’appello che firmano tutti i presbiteri delle chiese del nostro territorio, con chiaro ed esplicito riferimento al fatto che un paio d’anni prima assessori, sindaci, ex sindaci, consiglieri, funzionari comunali si erano precipitati ai funerali di Masino Scaduto, morto da latitante ma ricomposto nella propria abitazione, e, come disse Peppino Speciale, in uno degli interventi più forti e coraggiosi che si siano mai uditi in una sede di consiglio contro la mafia,”non per rendere omaggio ad un morto, ma per farvi vedere e legittimarvi presso i vivi”.

 Si contano a decine in quei mesi i volantini, i manifesti, le riunioni e le assemblee di partiti, di gruppi, di movimenti e di associazioni di varia natura, politiche, culturali, religiose.

Il 26 febbraio del 1983, promossa da partiti, sindacati, movimento degli studenti associazioni laiche e cattoliche e con adesioni autorevolissime, si svolge da Bagheria a Casteldaccia una marcia contro la mafia e la droga: oltre diecimila persone daranno vita ad uno dei momenti più alti e più nobili della storia delle nostre comunità, del cui ricordo possiamo andare orgogliosi".

Articolo di Angelo Gargano apparso su Bagherianews il 26 febbraio 2009 nel 26esimo anniversario della marcia antimafia Bagheria- Casteldaccia

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