Lettera aperta al prof Antonino Morreale

Lettera aperta al prof Antonino Morreale

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Caro Nino, il tu ci è concesso per il semplice fatto che ci conoscemmo oltre cinquanta anni fa, allorché assieme iniziammo a frequentare la classe I Sez. E della Scuola Media “G.Carducci”, allora allocata presso i locali attigui a quelli del Comune di Corso Umberto.
E con noi sin da allora, e compagni sino al liceo e sino ad oggi amici, Nino Carollo, Cristofaro Di Bernardo, Franco Di Quarto e Franco Lo Piparo: e non faccio a caso questi nomi.

Ricordo questo, perché credo che alla base della affermazione che tu hai fatto ”Bagheria città di molti intellettuali e di nessuna cultura”, presentando Dacia Maraini, lunedì scorso a Villa Cutò, e ripresa dal nostro sito (e nel titolo ho addolcito “nessuna” in “scarsa”) ci sia di fondo la sfiducia derivante dalla stanchezza di quanti, guardandosi indietro, e riandando alle illusioni e alle speranze che in quegli anni coltivammo, è come se avessimo, per ricorrere al detto siciliano, “zappatu all’acqua e siminatu ‘o vientu”.

Andiamo al dunque: non condivido affatto la tua affermazione e cercherò di motivarne il perché.
Non credo che Bagheria sia città in cui la cultura, sia mediamente coltivata meno di quanto non avvenga in altre realtà dei medi centri siciliani. Anzi.
Tu che frequenti la storia da qualche decennio, e che, non solo per amicizia, ti puoi ritrovare accanto a quegli artisti o intellettuali o studiosi che hanno onorato e onorano Bagheria, sai bene che nella vita delle comunità ci sono dei cicli.
E generalmente lo splendore e la crescita culturale delle città si accompagnano al progresso e alla ricchezza economica.
Ed è almeno dagli anni settanta che Bagheria sta conoscendo una involuzione economica, che è sì, anche culturale.

Sulle cause potremo ragionarci un’altra volta.
Per ora mi interessa richiamarti alla memoria che c’è un filo rosso che si dipana almeno dagli inizi del secolo scorso e ha scandito nei vari momenti della nostra storia, il fatto di esser non solo città che ha dato i natali a tutti quelli che sappiamo, e che ci consentono al caso di fare “la ruota”, ma che ha respirato in maniera intensa e piena la cultura come elemento di crescita, di consapevolezza e di identità collettiva.
Quel filo rosso che idealmente ha inizio allorché i giovani della “Casa di Cultura” raccolti attorno a Gioacchino Guttuso Fasulo, vagheggiano per Bagheria “un meriggio di civiltà meravigliosa, che fughi le agonizzanti tenebre di ogni oscurantismo” e nel 1911 danno vita a quello splendido volumetto che è “Bagheria, Solunto guida illustrata”.

A seguire con i ”matriciari”, giovani assetati di letture e di conocenze , che si raccoglievano attorno a Ignazio Buttitta, a Nino Garajo, Renato Guttuso, e nella bottega di Paolo Aiello u siddunaru, e poi ancora con le riviste e i giornali locali in cui si alimentava e si diffondeva la voglia di conoscere e di sapere.
E via via la “Lega dei picconieri” e il circolo “Salvatore Paladino” e la Camera del Lavoro, che non furono mai mero strumento di difesa degli interessi materiali, ma centri propulsori per diffondere saperi e conoscenze, soprattutto tra il popolo.
E come non ricordare, Castrense Civello con la sua passione e competenza di storia e di libri.

E agli inizi degli anni ’60 il Circolo dei 64, che ebbe sede nell’unica vera libreria che sia mai esistita a Bagheria, la libreria Licari, che era una sorta di salotto letterario. E furono centinaia i giovani di allora da Sottile a D’Alessandro da Zelfino a Buttitta, da Lo Bue a Scianna, e tanti, tantissimi altri i cui nomi in questo momento mi sfuggono, che fecero sognare un grande futuro di cultura per la nostra città.
E quei fermenti, quella voglia di conoscere e di sapere, la passione dei libri e della politica, che si diffondeva a macchia d’olio. E non a caso si colloca e si consuma in quegli anni la prima brevissima vera esperienza di giunta di sinistra a Bagheria (ed è proprio di quegli anni la famosa inchiesta sul sacco di Bagheria che cita la Maraini).

E quelle interminabili passeggiate “’nno stratunieddu”, in cui si intrecciavano, appassionate, le discussioni di politica, filosofia, religione, cinema e calcio.
E poi il giornale i Mostri, Carlo Doglio (cui questa città, che diciamo senza memoria, ha però giustamente intitolato una piazza) e Ignazio Buttitta, ‘nna ‘Za Maria, in lunghe e interminabili cene che erano veri e propri cenacoli culturali, e la Bagheria dove arrivavano Danilo Dolci e Sandro Pertini, Sciascia ed Evtuschenko, Amendola, Paietta e Lucio Lombardo Radice.
Germi che esitano verso la fine degli anni sessanta nel Movimento Studentesco e nel Collettivo Comunista “Carlo Marx”, con la sua capacità di essere riferimento per centinaia e centinaia di giovani.

Ma non solo: c’è stato il Circolo di cultura “L’Incontro” intorno alla metà degli anni '70, della cui storia si stanno occupando Mimmo Aiello e Biagio Napoli, che per un Peppuccio Tornatore poco meno che ventenne rappresentò una palestra e una scuola. E che non fù solo cineclub. Si parlò di emancipazione femminile, furono presentati libri, tenuti dibattiti di alto valore.
E quanti Cineclub e Circoli di Cultura fondati e rifondati!
Certo i bagheresi che amano la buona musica, le buone letture, e il galateo non sono e non saranno mai la maggioranza.
Ma ci sono stati e ci sono., tanti, tantissimi giovani e meno giovani, che amano le lettere e la storia, la musica , e il cinema , che amano leggere e ragionare.
Non fanno notizia, come quelli che imbrattano e inquinano, ma ci sono, silenziosi e appassionati.
E tu sai, perché li conosci e li frequenti, quelli che non sono solo appassionati di libri, ma che i libri, e anche importanti, li scrivono: di letteratura, di storia, di saggistica, di architetture, di scienze, di fotografia e di poesia.
Gente talora, forse più nota all’estero che a Bagheria.
Posso concordare con te che dalla fine degli anni ’70 c’è stata una difficoltà per queste espressioni di trovare spazio e rappresentanza e per emergere.

Però, vedi, venerdì sera c’era una rassegna di film d’autore curata dai giovani di una associazione culturale, Santi lumi si chiama, e dal titolo “ A est di bagheria”, che si svolgeva a Palazzo Aragona Cutò, e qualche giorno prima c’era stato l’Omnibus Celeste con la Pro Loco che al Teatro Branciforti incontrava la scrittrice Anna Li Vigni, ed appena sabato scorso un gran concerto per voce e piano a Villa Cattolica cui erani presenti centinaia di persone; e tu non eri stato forse chiamato da una associazione culturale di giovani a presentare una grande scrittrice?, e poi c’è l’Associazione Cinema sul grande schermo, c’è un Circolo di poesia intitolato a Giacomo Giardina, c’è l’Associazione teatrale “Controscena”, e credimi tante altre minuscole realtà che ci invitano malgrado gli anni e le delusioni ad avere fiducia nella nostra comunità.
Non so in quanto comuni della Sicilia compresi alcuni capoluoghi di provincia, si svolgevano in una sola settimana tutte queste iniziative.
E le istituzioni culturali della nostra città? La Pinacoteca e la Biblioteca su tutte.
Un problema invece, del quale poco si parla: una volta se ne andavano la forza lavoro manuale, e i grandi intellettuali ai quali Bagheria andava troppo stretta, da Garajo a Guttuso, da Scianna a Tornatore, ecc…

Adesso invece, se ne vanno già dagli anni dell’Università le intelligenze migliori, impoverendo questo sì in maniera irreversibile, la nostra comunità: e’ un fenomeno che non investe solo Bagheria , ma l’intero sud, e l’Italia intera, sud del mondo super sviluppato.

Per chiudere, e nella speranza di non averti annoiato: mi sembra più pertinente a dipingere la nostra realtà una battuta riferitami l’altra volta da Ferdinando Scianna.
"E’ un vero mistero come la città di Bagheria riesca a selezionare da una parte artisti e uomini di cultura tra i più grandi, raffinati e originali e nel contempo la peggiore classe politica dirigente del meridione".
E se è un mistero, è sicuramente "chiuso in noi”; ma forse mistero non è.
La parola ai lettori.
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