"Io cerco Bagheria, la cerco ma non la trovo"

"Io cerco Bagheria, la cerco ma non la trovo"

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Dopo le penne note (e maschili) di Antonio Morreale e Franco Lo Piparo, i contributi appassionati di Maurizio Padovano, Piero La Tona e Angelo Gargano, e la voce amica di Carlo Carollo mi siano concesse le pari opportunità di dire anche la mia riguardo (l’incerto) il futuro di Bagheria.

 

Proprio con Carlo Carollo sono stata compagna di scuola al liceo classico F.Scaduto di Bagheria, amica ai tempi dell’università fatta a Palermo e adesso da dodici anni, esattamente come lui, lavoratrice fuori sede nella città di Roma.

Tra una caponata bagherese ed una matriciana trasteverina con Carlo non abbiamo mai perso la voglia di confrontarci calorosamente su tanti temi della vita e tra questi la nostalgia per Bagheria. Con una profonda differenza però: mentre lui accusava la mancanza della pasta con le sarde della mamma a me mancavano i colori, gli odori…la storia di Bagheria. E lui a chiedermi con insistenza “ma me lo spieghi cosa ti manca precisamente di Bagheria che è solo un paesazzo?” E io a rispondergli nostalgicamente “a me di Bagheria manca Bagheria stessa”.

Ed ecco che mi collego già al primo punto delle cose che secondo il professore Lo Piparo sarebbero da fare con urgenza, ovvero, finirla con il bagherocentrismo.

Bene, io la penso esattamente al contrario, pur apprezzando il professore Lo Piparo in alcuni passaggi della sua lettera “Senza Futuro”.

Penso che per una volta valga la pena guardarsi l’ombelico e la punta delle scarpe. Domandiamoci su Bagheria: chi era e chi è, che cosa sa fare e che cosa gli sta riuscendo di fare, dove va e dove dovrebbe andare.

Domande banali ma le cui risposte messe insieme dovrebbero tracciare l’anima del nostro paese che sui libri d’arte e di storia viene indicata come “la città delle ville” e che invece annaspa in un nulla assoluto mortificante per chi la abita e per chi l’ha lasciata ma...sempre la pensa.

Da 10 anni mi occupo di comunicazione istituzionale al punto da potermi definire un' esperta del settore. Sulla base delle leggi della comunicazione, così come la conosciamo adesso, vorrei puntualizzare alcuni passaggi essenziali della materia e asserire che l’identità di qualsiasi prodotto, fosse questo uno yogurt o una squadra sportiva, un detersivo o un ministero, è la linfa stessa di una qualunque operazione di promozione si voglia fare a sostegno dello stesso: il fondamento di tutto. Un prodotto senza identità è nulla, al massimo un qualsiasi che si perderà nel nulla.

Gli aziendalisti la definirebbero corporate identity io semplicemente capacità di ripartire da noi stessi, da quello che siamo, migliorarci per proiettarci su quello che ci piacerebbe diventare.

Bagheria non deve inventarsela questa identità. La sua particolare nascita e la sua stessa storia gli suggerisce da secoli il tipo di economia su cui poter impiantare un sistema di produzioni e di infrastrutture da far invidia a qualsiasi grande cittadina italiana qual è. Avrebbe già una vocazione naturale alla cultura e alla coltivazione del "bello".

E' il dodicesimo comune siciliano per estensione geografica e densità abitativa con un patrimonio artistico di raffinate ville del Settecento in parte in mano pubblica, illustri nomi di bagheresi che dai primissimi del ‘900 ad oggi hanno contribuito alle scienze e alla letteratura, alle arti e alla cultura, alla politica, allo sport e al sociale. Fertili giardini e ricche coste marine.

Un concentrato di tali risorse avrebbe dovuto generare un' industria della cultura, del turismo, dell’artigianato, dell’agricoltura e della pesca da "manuale per un marketing del territorio vincente" invece nulla…nada de nada.

Bagheria oggi dovrebbe poter contare su strategie ed iniziative pubbliche di grande spessore culturale in grado di riqualificare il suo territorio: economicamente e socialmente. E contemporaneamente lavorare su una politica d'immagine istituzionale in grado di supportare e promuovere gli sforzi intrapresi.
La verità recente è invece che, finita la bella èpoche del commercio degli agrumi, durata all’incirca sino agli anni ’80, spentosi l'attivismo delle associazioni culturali e del terzo settore (che hanno retto le sorti di un paese la cui Amministrazione fu commissariata due volte per infiltrazioni mafiose) l’economia e la vitalità di Bagheria è progressivamente morta sino a scomparire dentro un banale commercio al piccolo dettaglio e un grigio terziario neanche troppo avanzato. Una cittadina di impiegati ed operai che la massima aspirazione che sembrano nutrire sia quella del brivido del sabato sera da passare in una nuova pizzeria della zona.
Scusate l’asprezza del mio ragionare ma nonostante coltivi ancora stima per molti bagheresi, cui riconosco i meriti del vivere quotidiano, mi pare che il livello sociale della nostra cittadina sia abbastanza questo.

Fatta questa breve analisi della vita bagherese secondo me e, ricollegandomi sempre al primo punto delle cose da fare con urgenza secondo la lettera del prof. Lo Piparo, dico allo stesso professore "bene, occupiamoci di Bagheria allora ma non attendiamo l'esito al botteghino del nuovo film di Tornatore nè lasciamo portare alla sola Maraini la croce della verità attraverso il suo libro "Bagheria" del lontano 1993. Loro sono registi e scrittori che fanno il loro mestiere. Se lo hanno fatto bene e, facendolo, hanno resuscitato il nome e l'interesse su Bagheria c'è solo da ringraziarli. Subito e tanto.

Tornatore ci ha fatto vincere già un premio Oscar con il film "Nuovo Cinema Paradiso" e la Maraini ha tenuto il nome di "Bagheria" in testa alle classifiche dei libri più venduti per mesi e mesi. E non dimentichiamoci del suo precedente successo editoriale con il libro "La lunga vita di Marianna Ucria", sempre ambientato sulla storia aristocratica di Bagheria e diventato inoltre una commedia teatrale in tournèe nazionale.

Allora, se tanto mi dà tanto direi che la "denuncia armata" sull stato di coma vegetativo in cui è caduta Bagheria spetta ora a noi, semplici cittadini e società civile insieme. Spetta agli uomini e alle donne di buona volontà, agli anziani, ai bambini e...ai giovani.

E mi riferisco sia a quelli che sono rimasti che a quelli che se ne sono andati via perchè se, poco poco, sono rimasti legati alle sorti della nostra Bagheria anche loro dovrebbero trovare la maniera di partecipare o di farli partecipare.

Tutti i giovani, indistintamente, sono il futuro di ogni comunità.Trovo ingiusto pensare che "i migliori" siano solo quelli che se ne sono andati a conferma del detto siciliano che solo "cu nesci arrinesci". Trovo fastidioso parlare solo di "fuga dei cervelli e dei talenti": lusinghiero per chi ha deciso di emigrare ma offensivo per chi non si è mai mosso.

E i giovani che invece sono rimasti a Bagheria invece, che sono allora? Sono giovani di serie b? Di secondo taglio? Giovani che non meritano spazi e considerazione per il solo fatto che sono rimasti al Sud? Che hanno deciso di rimanere a casa?

No, non si può dividere la gioventù tra "buona e cattiva" a seconda dela valigia.

 

La verità è che le cellule più giovani che abbandonano Bagheria (quelli che hanno creato il vuoto generazionale di cui parla il professore Lo Piparo) sono giovani che hanno voluto e potuto farlo. Ragazzi che sono disposti a sacrifici emotivi ed economici per coltivare lontano da casa un'altra idea di futuro professionale e personale.

I giovani emigrati non sono necessariamente i migliori o i più talentuosi, io sono certa infatti che a Bagheria ci siano tanti giovani, anche migliori di me per esempio. I talenti bagheresi non sono tutti dispersi per l'universo- mondo, molti ce ne sono a Bagheria stessa: guardete bene.... che ci sono!

Magari anche i giovani rimasti lungo corso Butera pensano che "un'altra Bagheria è possibile" ma hanno deciso di crederci facendo resistenza: rimanendo a casa e lottando ogni giorno con i sopprusi e i limiti del vivere meridionale.

Non esistono solo le grandi guerre ma anche le piccole battaglie e ogni tipo di guerriero ha diritto ad essere riconosciuto. Dunque il problema è di chi non riconosce i giovani guerrieri portatori di condivise istanze e nuove risorse. Il problema, anche a Bagheria, sono i vecchi felici di vivere in un paese per vecchi. "Vecchi" nel senso più completo del termine e non solo anagraficamente: vecchi di mentalità, vecchi nei modi e nelle abitudini. Quanti giovani vecchi che noto al Consiglio Comunale di Bagheria, nelle scuole, nelle parrocchie e per strada. Tanti, troppi.

Caro professore Lo Piparo lei non vede salvezze municipalistiche per il futuro di Bagheria e aspetta che sia risolta l'intera questione meridionale prima di provare un nuovo impeto di ottimismo, ma mi consenta di dirle che la vedo lunga la faccenda, molto lunga. C'è chi si è inventata la nuova questione settentrionale pur di non affrontare la centenaria questione merionale...pensi un pò!

Anche a me piacerebbe ricevere ottimistici segnali dalle istituzioni bagheresi ma visto che passano le giunte, di destra e di sinistra, e continua a non succede nulla di significativo nella "città delle ville", intanto continuo a starmene a Roma. Ma senza perdere spirito critico e speranza verso il futuro di Bagheria e dei bagheresi.
A differenza di lei, che pensa che "il futuro non sareno noi in quanto bagheresi a darlo a Bagheria", penso invece che solo i bagheresi potranno dare un futuro a Bagheria. Nessun altro.
La ricetta ha un solo ingrediente: credere.
Mai smettere di credere di poter cambiare la nostra vita.

Per riuscirci devono però poter cambiare le condizioni e per cambiarle non basterà solo dire, ma fare.
Io ancora ci credo e...sarei pronta a fare.

Rosanna Raineri
Bagherese, 35 anni, Esperta in comunicazione istituzionale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio del Portavoce del Primo Ministro

Nota della redazione: la foto in copertina è di Mario Macaluso; gli articoli citati, correlati all'argomento trattato, sono archiviati nella categoria "Cultura".

Il grassetto di alcuni passaggi è della redazione

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