Sparse riflessioni sulla scuola che verrà- di Salvatore Fricano

Sparse riflessioni sulla scuola che verrà- di Salvatore Fricano

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OUVERTURE

Tempi di pandemia, tempi di isolamenti, tempi della perplessità. Tutto quello che gira intorno al COVID-19 sembra stia assorbendo tutti i nostri comportamenti e catalizzi le domande sul ‘senso’ delle cose, riducendole a una sola: ‘che fare?’. Domande non nuova, ovviamente, ma che va riproposta e aggiornata.


La radicalizzazione delle posizioni sui vaccini e soprattutto sul green-pass esaspera tutti noi e invita soprattutto i più mansueti a uscire allo scoperto e a far parte, nostro malgrado, di questo manicheismo del XXI secolo.
Nessuno è escluso. Lo spettro del disastro sanitario mondiale aleggia, assieme a quello ecologico, sempre più tangibile. Se fossimo ‘solamente’ pessimisti, diremmo che sono arrivati i tempi ultimi. Ma siccome manchiamo di un’ampia visione del futuro, preferiamo ancora meditare un poco su questi eventi così sciagurati.
Il clima intellettuale si è ulteriormente surriscaldato perché ha coinvolto molti pensatori. Filosofi stimati come Cacciari e Agamben hanno ulteriormente sottolineato con lucidità – non abbiamo ragioni ‘forti’ per dubitare di questa lucidità – sul rischio concreto di una deriva totalitaria dell’utilizzo della patente di circolazione che verrebbe garantita dalla dose dei due vaccini. Altri, altrettanto ‘uomini e donne d’onore’, hanno replicato a muso duro (Ventura, Flores D’Arcais, Ferraris, Boniolo, Ercolani, Cavadi, Savagnone, ...) che non viene messa in questione la libertà individuale ma la responsabilità nei confronti della comunità. In effetti il problema da sanitario ormai è diventato etico, come recentemente sottolineato dal nostro Presidente della Repubblica e come è giusto che sia, nella sostanza. Anche a livello europeo assistiamo allo scontro di posizioni simili, a manifestazioni, a scontri…

TEMA, IN FORMA-SONATA
Ma, come dicevamo, i nostri orizzonti sono più limitati, e avremmo ben poco da aggiungere. Desideriamo invece qui porre alcune considerazioni, come docenti, sul periodo scolastico appena trascorso e su quello che, presumibilmente, troveremo a partire dal prossimo settembre. Luci e ombre seguiranno come il modo maggiore e il modo minore in musica…

SVILUPPO
Bisogna proprio amare la scuola per continuare a parlarne in termini in certa misura ancora positivi. Il periodo pandemico che nonostante i proclami, continua, aggiunge ulteriori affanni alle comunità scolastiche. Famiglie, studenti e soprattutto i docenti che vivono dentro le problematiche minute del quotidiano ‘stare’ a scuola forse intendono meglio la situazione di quanti invece hanno ruolo di osservatori, magari privilegiati, quali possono essere giornalisti e studiosi. Di questi tempi anzi non manca un giorno in cui nei principali mezzi d’informazione non ci sia un’alata considerazione sui mali della scuola. Per qualcuno tali mali hanno un’origine lontana nel tempo, dovuta essenzialmente alla disattenzione dei politici e dei legislatori che si sono susseguiti, da una trentina d’anni a questa parte. Per altri il malessere che si evidenzia nelle aule scolastiche è uno dei tanti sintomi di una società, quella occidentale, in un sostanziale declino, che non affida più alle nuove generazioni il senso della responsabilità e della trasmissione di una ‘civiltà’.
Quante parole-chiave affollano le colonne di queste opinioni: Inclusività, meritocrazia, saperi fondamentali, competenze e conoscenze, programmazione e individualizzazione degli insegnamenti, trasversalità delle discipline, e così via! Se un docente degli inizi del secolo scorso, per sua ventura, fosse di nuovo fra noi, avrebbe un bel da fare a capire di cosa trattino e a cosa facciano riferimento queste continue variazioni pedagogiche sul tema ‘formazione ed educazione’.
Noi docenti siamo in qualche modo protagonisti e correi. Siamo chiamati in causa, con la dolente consapevolezza che il docente generalmente non gode più quel prestigio sociale che magari era assicurato prima, per default. Le riflessioni che seguono non hanno nessuna intenzione di tirare le somme e dare indicazioni programmatiche, ma vogliono essere, nell’intenzione, uno spaccato di chi vive la scuola dal di dentro.
Chi scrive ha una discreta esperienza – non tantissima, per la verità – di cosa possa significare entrare in un’aula scolastica, avere a che fare con individualità in progress, di cui spesso si misconosce il background sociale e culturale. Per i migliori fra noi il rapporto con gli alunni è una palestra in cui è difficile riconoscere allenatori ed atleti. Gli uni imparano dagli altri e non sempre in modo consapevole. E dobbiamo aggiungere, con sincerità, che non sempre gli apprendimenti acquistano una valenza positiva. Ad esempio, l’eccessiva confidenzialità con i giovani in diverse occasioni –e che loro stessi richiedono– può diventare controproducente, perché induce ad un ascolto eccessivo che, dando preminenza alle difficoltà, predispone ad un insegnamento che vuol essere facilitante ma che è, negli effetti, banalizzante. Per esperienza, l’ascolto delle esigenze degli alunni deve avvenire al di fuori del contesto didattico, magari con attività ludiche quali passeggiate di gruppo, partecipazioni a seminari, gite e viaggi. La stima extra scolastica ne esce rafforzata perché si confrontano due umanità, due persone. A scuola deve essere diverso.
Nelle aule deve circolare il sapere. Si, quello consolidato, quello –per semplificare– contenuto anche nei manuali, senza disdegnare i passi antologici e alcune memorizzazioni (le formule scientifiche ma soprattutto le poesie ‘a memoria’ purtroppo non vengono più praticate, eppure veicolavano espressività). Le mappe concettuali o i testi illustrati, o prodotti mediali svolgono un egregio compito a patto che non si sostituiscano alla centralità del docente che deve dimostrare, sempre, la sua passione nello studio. Solo così potrà sperare di ‘trasmettere’ il senso degli approfondimenti. Questo i ragazzi lo intuiscono, lo sanno, lo hanno sempre saputo, benissimo. Valutano in base al coinvolgimento spontaneo che mette il docente nelle esposizioni, nelle elaborazioni, nell’interesse alle domande poste. Solo superficialmente si può dire che gli alunni sono interessati al voto. Sono interessati semmai a veder ‘vivere’ l’argomento, il problema, la visione tramite quell’adulto che si ritrovano davanti per diverse ore al giorno, da settembre a giugno.
Già, vedersi. La Didattica a distanza ha complicato tutto. È un vedersi, ma depauperato purtroppo dell’aspetto principale, la consuetudine alla presenza, alla fisicità, insomma alla vita ‘piena’ e non alla ‘nuda vita’ che offre lo schermo. Intendiamoci, la DAD ha svolto un ruolo essenzialmente positivo nell’assicurare una relazione in tempi difficili. Cosa avremmo fatto, in circostanze simili, una ventina di anni fa, per dire? Avremmo chiuso tutto!
Ma dobbiamo pure dire quello che la DAD ha fatto male. Ha aumentato l’ansia della comunicazione fra docenti e fra docenti e alunni. Le chat di WhatsApp sono state inutilmente intasate di messaggini insignificanti, di emoticon a un tanto al chilo che non facevano onore al mittente e che risultavano frustanti per i destinatari che, ascoltando il click della ricezione, immaginavano sempre il peggio. Che, o chi, sarà mai? Una comunicazione informale della scuola? Una riunione improvvisa alla quale bisogna partecipare? Una circolare che capovolge i contenuti della circolare precedente?
Si può dire che l’ansia dei docenti è direttamente proporzionale al numero dei messaggi in chat.
Centinaia di messaggi, innescati magari da una considerazione banale, facevano perdere il filo del ragionamento anche ai più ben disposti fra noi. E poi, quanti gruppi! Con i docenti della classe, con gli alunni della classe, con i docenti di dipartimento, con i soli docenti dell’orientamento, delle classi quinte, con i colleghi con i quali abbiamo più confidenza, con i nostri tutor, e così via. Potremmo dire: è il tempo dei social, bellezza! Dobbiamo adeguarci? Noi proponiamo di no. È salutare lasciar cadere la comunicazione frivola, il salutino mattutino, il link all’articolo che avrebbe la pretesa di lasciarci sgomenti.
La pausa è necessaria. Dobbiamo ancora leggere, ascoltare, vedere. Altrimenti come potremmo dedicarci alla serietà dell’esistenza?

Chi di noi non ha sperimentato che le riunioni a distanza hanno avuto una durata sempre più inutilmente estesa del necessario? Se fossimo stati in presenza allora le comunicazioni avrebbero preso una piega diversa. Avremmo cercato di imitare (molto malamente, lo so) lo stile di Tacito. Invece adesso ci ritroviamo nella stessa situazione in cui si trovano gli ospiti, nel crudele film di Bunuel: l’”Angelo Sterminatore”, che impossibilitati a uscire dal palazzo, sono ‘costretti’ a comunicare fra loro. ‘Perché non riesco a uscire? Non capisco’. Diciamolo: per alcuni colleghi stare a casa, davanti a un monitor, sembra avere un positivo effetto terapeutico. Lo stile biedermeier si addice all’educatore e al formatore? Abbiamo qualche dubbio. Prima c’era il peripato, il giardino, il portico, il chiostro del convento, l’aula universitaria, il cortile della scuola… Adesso la nostra stanza che ci avvolge come un vetusto utero ci fornisce i paraocchi per proiettarci nel ‘mondo’! Siamo come cavalli – asini? – bardati per una festa che non arriverà mai. Quanto artificio e solitudine!!
Ma transeat per i docenti che, pur fra mille difficoltà e limiti, sanno escogitare soluzioni ‘sane’ per ritornare alla dimensione dell’umano. Ma come stanno vivendo i nostri alunni questo periodo?
Vogliamo proporre una risposta, anche determinata dalla nostra esperienza. Pochi giovani hanno trovato in loro stessi le risorse per rimanere diligenti, seguire le lezioni e svolgere i compiti assegnati ma la stragrande maggioranza ha vissuto malissimo, dando il peggio, magari credendo di dare il meglio. Ad esempio, i ragazzi che al momento delle verifiche utilizzano tanti stratagemmi per ingannare il docente sulla loro preparazione. Non di rado i genitori che, ufficialmente spinti da un afflato di genitoriale condivisione della sofferenza, malamente origliano le attività didattiche in corso e, in certi casi, si interpongono per commentare. Questa morbosità sarebbe irrealizzabile nelle aule scolastiche, in presenza.
Di quante assenze o finte presenze, che è forse uguale, abbiamo dovuto prendere nota? E quante comunicazioni che sfidano gli artifici della retorica e della non-verità?
‘Prof, ho la connessione lenta, mi dispiace’, ‘prof, esco a terza ora perché non mi sento bene…’, ‘prof, rientro a quinta ora. Adesso sto meglio...’, ‘come prof? Può ripetere la domanda? Ho problemi con l’audio proprio in questo momento!’, ‘Puoi accendere la videocamera [prof rivolto all’alunno]?’, ‘Prof, mio padre è andato al negozio per comprarne una...Domani sarà accesa!’.
Non possiamo indagare sulla verità e la fondatezza di tali comunicazioni. Ma certo, dobbiamo comprendere e capire. Ci pagano anche per questo. Rientra nell’”ampio programma” -come direbbe De Gaulle- della inclusività. Ma non possiamo negare che, spesso, nei comportamenti degli alunni affiora una furbizia che non fa loro onore. Si preparano così ad essere i fedifraghi del futuro. Purtroppo, pensando di tagliare la linfa al solo docente stanno tagliando il ramo sul quale sono poggiati. Qui l’unica arma che può opporre il docente non è l’arrabbiatura ma l’ironia. È purtroppo il gioco delle ‘guardie e ladri’ che si rinnova, con varianti marginali, in coerenza con la tecnologia disponibile!
Ma non c’è solo la miope furbizia nei nostri ragazzi. C’è anche la disperazione. I più sensibili, magari non sostenuti da adulti responsabili e da una società, nel complesso, respingente, si ritrovano soli, con i loro fantasmi. Viene acuita la loro ansia, comprensibile in certa misura nell’adolescente, ma che può diventare patologica. Attacchi di panico, malinconia e anche depressione, mutismo selettivo. Qui i docenti devono attingere a tutte le loro risorse, non solo professionali, per capire, per aiutare a far capire. Qui il fattore umano della relazione autentica è determinante. In questi casi gli aspetti legati alla didattica e alla valutazione vanno messi necessariamente in secondo piano. Sarebbe opportuno che una equipe si occupasse del caso, e intervenisse in modo appropriato informando il dirigente scolastico. Anche qui parliamo per esperienza diretta. Come affrontare questi casi in fase di scrutini finali? Questa unica arma che ha il docente ‘furioso’ che vuole far trionfare il senso della sua esistenza ‘professionale’ e che lo può sollecitare a dare il peggio. Qui invece bisogna veramente essere ‘umani’. Ma forse in questi casi la professionalità c’entra poco. C’entra la nostra visione del mondo e il nostro orizzonte etico. Trattiamo persone e persone che stanno strutturandosi. Loro chiedono sempre, in qualche modo. Sarebbe un nostro dovere avere sempre le antenne per captare i loro messaggi di aiuto. Se loro chiedono sempre noi dovremmo rispondere. Sempre.
In Giappone stanno correndo ai ripari per evitare il fenomeno sociale del kikikomori, così diffuso fra i ragazzi, che li spinge all’isolamento sociale. Non riescono ad uscire dalle loro abitazioni, anche per più di sei mesi. Diminuisce in loro l’interesse per la scuola e per sé stessi, alimentando purtroppo l’insorgenza di vere e proprie malattie psichiatriche. Facciamo in modo, noi docenti, che questo non avvenga!

INTERMEZZO
Speriamo che molti indecisi, anche fra i docenti (e fra questi, molti siciliani), si convincano degli aspetti positivi della vaccinazione, piuttosto che di quelli negativi, in modo tale da assicurare una didattica il più possibile ‘tradizionale’, ovvero nelle aule scolastiche. Certo, occorrerebbe che anche gli alunni rispettino alcune regole, ma questa è un’altra storia…

CODA
Nella migliore delle ipotesi le lezioni si svolgeranno in presenza, aule capienti permettendo. Continueranno i collegi dei docenti e dei dipartimenti nella modalità a distanza. È comodo per i colleghi che magari hanno difficoltà a raggiungere la sede. È anche probabile che manchino gli spazi adeguati per questi incontri assembleari. Inviteremo ancora personalità e studiosi per fare incontrare i giovani, tramite piattaforme in streaming, dando opportunità prima difficilmente praticabili. Certo, dovremmo fare in modo che noi docenti e studiosi non diventiamo degli ologrammi. Le chat molto probabilmente non diminuiranno di numero. La comunicazione superficiale è insopprimibile per gli esseri umani. Forse la riteniamo divertente… Gli alunni proporranno sempre, o spesso, le prove a distanza. Sarà strumentale? Sarà sicuramente un gioco delle parti. La stretta di mano fra colleghi sarà desueta. Gli sguardi che si incroceranno saranno vissuti come fra potenziali ‘estranei’.

FINALE
La vita vera, la vita piena, dovrà ancora essere vissuta. Basta che non venga rimandata ad una prossima vita!

Salvatore Fricano, un docente di Liceo

 

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