“E’ uno di quei giorni in cui ti chiedi mi alzo o non mi alzo e decidi di restare a letto a frugare nei ricordi. Ti scrivo da sotto le coperte. Ho bisogno di un rifugio, di una capanna.”
Comincia così l’intenso romanzo di Sandra Petrignani: Dolorose considerazioni del cuore (Edizioni Nottetempo, 2009).
Con una lettera ad una amica ritrovata o forse solo immaginaria.
E’, per la protagonista, uno di quei momenti della vita in cui si rende necessario tirare le somme, cercare di capire cosa si è diventati davvero. E’ quello che fa Tina, l’io narrante, scrivendo a Vittoria.
E’ un flusso di pensieri, di ricordi dolorosi: quelli di una lontana bambina rifiutata da una madre infelice e algida, e di una giovane donna alle prese con amori che finiscono male. Il tutto si annoda, a stralci di romanzi incompiuti, ad un presente inatteso, quasi insopportabile, che si traduce nell’assistenza a due genitori anziani e malati.
Dove sono finite le promesse di una gioventù mancata- sembra chiedersi la protagonista, ora quasi cinquantenne e sola- quella giovinezza vissuta troppo in fretta nel tentativo di trovare in mani e braccia diverse quell’antico amore mai ottenuto? Da un amore intenso e terribile: “Addio a te che non avevi semplicemente occhi, mani, labbra ma gli unici occhi, le uniche mani, le uniche labbra per rivelarmi a me stessa”, alla constatazione della necessità di ritrovarsi per vivere, per diventare ciò cui siamo destinati: “il bocciolo che non sboccia è il più triste.” Ribellarsi, infine, perché l’infelicità non è il nostro destino.
“Mia madre- scrive ancora Tina all’amica- avrebbe dovuto abbandonare mio padre finché era in tempo. Viene il giorno che non si è più in tempo per niente, il giorno in cui si è fatto tardi per tutto.” Ma una riconciliazione con se stessi e col mondo è sempre possibile e nel romanzo ne diviene simbolo una vecchia canzone che la protagonista ritrova e fa riascoltare al padre: un vecchio motivo che lui le faceva sentire quando era ancora una bambina.
Ne seguirà un sorriso: quello della vecchia madre innamorata infelicemente di un uomo che le sfuggiva e che ora, però, anziano anche lui, si commuove alle note di una giovinezza lontana.
L’accettazione delle proprie debolezze, degli immancabili errori di cui è costellata la vita di ognuno di noi- è forse questo, infine, il messaggio del libro: vivere in profondità ogni evento che ha valore solo nell’attimo in cui lo si vive.
Nel suo lungo racconto la Petrignani, giornalista e scrittrice romana al suo secondo romanzo, con un lessico semplice e confidenziale, scende nelle profondità dell’animo e riesce a descriverne i moti con rara sensibilità. Una lettura che ricorda il Canapè rosso dell’autrice francese Michele Lesbre, uscito quasi in concomitanza per la Sellerio. C’è la stessa malinconia soffusa. Anche se, per una volta, il libro italiano appare più convincente e necessario di quello d’oltralpe.
di Maria Luisa Florio
In alto, la copertina del libro; nella foto a colori l'autrice Sandra Petrignani