Il "giallo-spaghetti" - di Biagio Napoli

Il "giallo-spaghetti" - di Biagio Napoli

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Recentemente Sellerio ha ristampato La bambola cieca, Sei giorni di preavviso e Nessuno è colpevole di Giorgio Scerbanenco.
Si tratta di tre gialli che sono parte di un ciclo di cinque romanzi che, con ogni probabilità, verrà riproposto interamente.

Non è tuttavia una riscoperta; il ciclo completo, in unico volume, è stato infatti presentato nel 1995 da Frassinelli a cura di Oreste Del Buono (Cinque casi per l’investigatore Jelling). Sei giorni di preavviso e Nessuno è colpevole (il terzo della serie) erano stati peraltro già ristampati nel 1977 in una collana mensile (Gim- Gialli Italiani Mondadori) che ebbe breve durata (solo 13 numeri dal marzo 1977 al maggio 1978).





I titoli citati erano comparsi per la prima volta tra il 1940 e il 1941 nelle collane gialle Mondadori; gli ultimi due della serie, L’antro dei filosofi (ripubblicato nel 1974 da Mondadori nella collana Oscar del Crimine ) e Il cane che parla, comparvero invece per la prima volta, contrabbandati come libri normali, ne I Romanzi della Palma nel 1942 e dopo che il fascismo, l’anno prima, volle la chiusura delle collane poliziesche. Ecco come andò la cosa.

I libri gialli erano nati in Italia nel 1929 per iniziativa dello stesso Arnoldo Mondadori che pubblicò La strana morte del signor Benson di S.S. Van Dine. Dopo i primi due anni e dopo otto numeri di soli autori stranieri la collana, divenuta quindicinale, per una disposizione autarchica di quello che sarebbe diventato il Ministero della Cultura Popolare che riguardava ogni tipo di pubblicazione, dovette attrezzarsi per la stampa di romanzi di autori italiani nella misura di almeno il 20%.

Nel 1931 viene così pubblicato il primo giallo italiano; era Il sette bello di Alessandro
Varaldo. Nasce da quel momento una folta schiera di autori italiani che pubblicheranno nelle varie collane Mondadori (I libri gialli, Gialli Economici Mondadori, Il Supergiallo, Il cerchio verde) indirettamente incoraggiate dalla politica autarchica del fascismo.

Ma il regime, in realtà, osteggiava i romanzi polizieschi giudicandoli immorali e diseducativi per i giovani; quanto a quelli italiani li osteggiava perché presentavano un paese né ordinato né privo di violenza, un paese cioè differente dall’immagine che di esso il fascismo voleva dare anche a prezzo di una pesantissima censura sugli organi di stampa cui veniva proibito di pubblicare notizie di delitti e di fatti di sangue.
Nel 1937 il MinCulPop dispose che il colpevole di un delitto, nei gialli italiani, doveva sempre risultare straniero e che questo doveva essere sempre scoperto e punito.

Alcuni scrittori fecero allora di meglio ambientando fuori d’Italia le loro storie. Ezio D’Errico, ad esempio, le ambientò a Parigi creando il personaggio del commissario Richard. Giorgio Scerbanenco scrisse i suoi primi gialli ambientandoli a Boston e creando il personaggio dell’archivista Jelling.

Ezio D’Errico non scriverà più polizieschi (l’ultimo, La nota della lavandaia, è del ’47 ); Scerbanenco, invece, nella seconda metà degli anni 60 rivoluzionerà il noir descrivendo, stavolta, non un’America d’invenzione, ma una Milano reale e violenta.

Ma, all’inizio degli anni 40, quando il regime stabilì l’autorizzazione preventiva del MinCulPop per ogni poliziesco da pubblicare e il ritiro di quanto già pubblicato e giudicato nocivo per la gioventù, la sua esperienza nel campo del giallo subì una battuta d’arresto.

Il fascismo non gradiva neanche il giallo-spaghetti; nel 1943, poiché gli editori cui il compito era stato affidato non avevano provveduto al ritiro, il MinCulPop dispose il sequestro di tutti i romanzi gialli “in qualunque tempo stampati e ovunque esistenti in vendita.”




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