Buon… segue breve dissertazione sull’augurarsi – Gli auguri ai tempi del colera economico. Non sono più gli anni ottanta e nemmeno i novanta e lo capisci da un milione di cose, non è più tempo di gioiose macchine da guerra, non è più tempo di orizzonti che si perdono, di futuro su futuro, di esaltazione della storia, di progresso su progresso, di generazioni successive che vivranno meglio delle generazioni precedenti, non è più l’Italia craxiana né il mondo reganiano. Non è più l’era andreottiana, dove ogni parassita trovava il suo organismo ospite, non è più epoca di mangiatoie e baby pensioni. Niente, nada.
La realtà dice: niet. È tempo di depressione e disillusione, e tempo in cui la parola più spudorata è: speranza. La macchina non si è inceppata, ha tolto la maschera, il marchingegno sociale mostra il suo vero volto. Disumano. Non tutti lo capiscono, ma quasi tutti lo percepiscono. È un’aria che induce timore, paura, occhi bassi e pochissima voglia di pedalare.
C’è inquietudine e disorientamento e ogni cosa ne risente. Per esempio, anche gli “Auguri” che non sono più quella fantasmagorica raffica di auspici con cui si andava a caricare il futuro, ma sono piccole speranze sussurrate in punta di piedi. Negli anni ottanta, e in parte anche novanta, c’era abbondanza (o un luccichio che gli somigliava tanto) e l’abbondanza portava a porgere auguri iperbolici, fantastici, ricchi. Si sprecavano i mondi di bene, non si ponevano limiti ai desideri che ogni cuore poteva coltivare, si allargavano cerchie, a te e famiglia, al cane, al gatto, al nonno, al bisnonno, auguri pirotecnici di piscine e Ferrari, di Natale a Cortina e Capodanno alle Maldive.
Auguri da futuro amministratore delegato, da padrone del vapore. Auguri vaporosi. Auguri che grondavano opulenza come le vetrine. Oggi, invece, in questo fine di 2014, durante gli auguri la parola più utilizzata è diventata: “serenità”. Tanta, tanta, tanta serenità. I petti gonfi sono svaporati, il calore rassicurante che abbracci, strette di mano, sorrisi, comunicavano, si è trasformato in tepore, per poi farsi gelo, inquietudine, paura. Incertezza.
E allora si vada con la serenità. La speranza di riuscire a pagare ancora il mutuo ha sostituito le cartoline utopiche delle ville con piscina; il sogno di un Natale a Cortina spazzato via dal realismo di panettoni e spumante messi in svendita molto tempo prima dell’arrivo delle festività; il progetto di vedere il proprio figlio diventare un giorno il venerato amministratore delegato di una grande azienda internazionale, ripiegato e richiuso nel cassetto, sostituito da un più modesto, ma allo stesso modo utopico, futuro da precario trimestralista nella prima feroce grande azienda pronta a lanciarti l’osso.
L’illusione ha fatto posto alla disillusione, la forza alla paura, l’opulenza alla tristezza, l’ottimismo a uno scettico “speriamo bene”. Lo spreco al cominciare a rovistare nella spazzatura (si vede anche questo). E allora serenità, tanta serenità. Palate di serenità che sottintendono “speriamo bene”, che dicono “che Dio ce la mandi buona”, e ancora, a un substrato più basso, “incrociamo le dita, sino a spezzarcele”. È cambiata la colonna sonora, non è più tempo di Gazebo e di I like Chopin, delle sonorità glamour da pellicce non ecologiche, c’è rimasto Tonino Carotone (pseudonimo di Antonio de la Cuesta) e i suoi versi: “E' un mondo difficile e vita intensa felicità a momenti e futuro incerto”. Auguri a tutti (…e tanta, tanta, tanta serenità).
Giusi Buttitta