Il discorso di fine (anno) - di Giusi Buttitta

Il discorso di fine (anno) - di Giusi Buttitta

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De profundis – 31 Dicembre, discorso del Presidente della Repubblica alla nazione. L’ascolto e mi chiedo se questo invito da parte di Napolitano a un ulteriore e definitivo colpo di reni non sarà, in realtà, ricordato come la pietra tombale, il sigillo definitivo su un futuro che non ci può essere. Se questo spronare al cambiamento non sia uno solo uno sterile esercizio sostanzialmente velleitario. L’augurio di pronta ripresa a un malato terminale. Non si tratta di essere pessimisti, ma di analizzare pragmaticamente frasi, parole, presupposti e cercare di capire quanto possano trovare realmente una loro concretizzazione.

Entriamo nel dettaglio. Riferendosi alla necessità di contrastare quelle che Napolitano definisce “gravi patologie”, così parla il Presidente “A cominciare da quella della criminalità organizzata e dell'economia criminale; e da quella di una corruzione capace di insinuarsi in ogni piega della realtà sociale e istituzionale, trovando sodali e complici in alto”.

Far piazza pulita di criminalità organizzata, economia criminale, corruzione, sodali e complici in alto. Questo sarebbe il primo presupposto per il cambiamento, secondo Napolitano. Ma, obiettivamente, chi realmente pensa che in uno scontro tra forze sane e quest’intreccio di forze criminali e istituzioni, le prime, le forze sane, abbiano una sola possibilità di farcela? Basta analizzare i trend storici, sono cinquant’anni che ne parliamo e nel frattempo il livello di infiltrazione criminale nelle istituzioni è diminuita o è aumentata? E per quale motivo bisogna credere che ce la possa fare un Paese dagli anticorpi ancora più indeboliti rispetto al passato? C’è un clima da fine impero, dove chi può stacca un quadro dalla parete e se lo porta a casa; sono arrivati, e da tempo, i barbari.

In un altro passaggio del suo discorso Napolitano, involontariamente, sembra supportare la tesi della permeabilità (tragica): “gli inquirenti romani stanno appunto svelando una rete di rapporti tra "mondo di sotto" e "mondo di sopra"”. Ma siamo ancora certi che si possa procedere a questa distinzione, che il “mondo di sopra” non sia altro che la più banale espressione “del mondo di sotto”? La cronaca sembra dire questo, è ovvio che questo non riguarda la totalità dei casi, ma una realtà che oggi appare maggioritaria. È sui numeri che occorre ragionare, altrimenti ci si infila in discorsi sterili.

Non tutto il mondo è così, d’accordo; ma in quale percentuale è così? Se dicessimo, per esempio, il 70% saremmo prudenti o esagerati? Supponiamo di esagerare, vogliamo tenerci su un 51% di “Italia Malata”? In ogni caso, troppa. Perché, la sensazione, è che il “mondo di sotto” stia sopra al “mondo di sopra” e che domini tutto. Napolitano continua “Sì, dobbiamo bonificare il sottosuolo marcio e corrosivo della nostra società. E bisogna farlo insieme, società civile, Stato, forze politiche senza eccezione alcuna. Solo riacquisendo intangibili valori morali la politica potrà riguadagnare e vedere riconosciuta la sua funzione decisiva. Valori morali, valori di cultura e di solidarietà.”. Quindi, dovremmo bonificare. Società civile, Stato, forze politiche senza eccezione alcuna.

Tutti insieme. E allora, la società civile è la stessa che ha trasformato l’evasione fiscale in una piaga, è la stessa che ha costruito abusivamente, che assume lavoratori in nero, che non chiede la fattura così risparmia l’IVA, che ha inquinato tutto ciò che si poteva inquinare, che non esita a usare la criminalità per smaltire i rifiuti tossici, che necessità di essere controllata con misure di polizia per far sì che rispetti il bene pubblico, che non si è posta nessun problema a votare per decenni dei criminali, ed era chiaro che lo fossero, per piccoli ritorni di bottega. Questa è la società civile, non tutta, si dirà. Non tutta. Su Stato (leggasi istituzioni) e forze politiche, non ci mettiamo nemmeno a sgranare rosari. Queste tre forze, unite, dovrebbero procedere alla bonifica. Lasciatemi la libertà di rimanere perplessa. Napolitano chiude il passo del suo discorso con “Non lasciamo occupare lo spazio dell'attenzione pubblica solo a italiani indegni”.

E qui arriviamo al nocciolo, la distinzione manichea, gli italiani degni da distinguere dagli italiani indegni. E se contandoci scoprissimo che c’è una minoranza degna ostaggio di una maggioranza indegna? Ma poi siamo così convinti che questa linea di demarcazione sia così facile da tracciare? Perché Napolitano nel corso dei suoi quasi dieci anni di presidenza non ha messo alla gogna la politica indegna che ci ha governato? E dire che di politica indegna ce ne è stata tanta. In nome di un’unità? Quale unità, l’unità degli italiani indegni con gli italiani degni? No, grazie. Di quello che è accaduto e sta accadendo in Italia, per quanto noi possiamo esserci assuefatti, quando qualcuno, tra qualche anno, proverà a fornirne un’analisi storica, non potrà che rimanere sbalordito. Si chiederà: come è stato possibile? Per usare le parole del Presidente “il sottosuolo marcio e corrosivo della nostra società” non può che dare frutti marci e corrodere e far marcire ogni cosa; è come un cancro, ha invaso l’organismo e gli esercizi di ottimismo, gli inviti alla buona volontà, gli appelli, non servono a nulla. È andata così, a chi si sente sconfitto non gli rimane che la fuga.

P.S.: A proposito di speranza, un piccolo fatto emblematico. Sulla Palermo Agrigento un ponte inaugurato alla vigilia di Natale è crollato a Capodanno. Serve altro?

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Giusi Buttitta
 

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