Appunti per una storia di Bagheria - di G. Speciale, II parte

Appunti per una storia di Bagheria - di G. Speciale, II parte

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Il primo acquisto che don Giuseppe Branciforti fa a Bagheria è del 1653.
A questo ne seguirono altri cinque. Si trattava di piccoli appezzamenti ( lochi li chiama il conte nel suo testamento e “loco” ancora oggi a Bagheria, significa appezzamento di terreno rustico) appartenenti a nobili e borghesi.
Fra i venditori figurano infatti il barone di Montallegro, don Francesco Cavallaro, e il barone di San Blasi, don Giuseppe Joppolo, e tre borghesi.
La superficie che il Branciforti totalizza è di quarantacinque salme corrispondenti ad una ottantina di ettari.

La tenuta è delimitata a sud dall’antica regia trazzera che, provenendo dal ponte sul fiume Eleuterio, attraversa le attuali contrade di Lorenzo e Cordova e seguendo il vallone De Spuches raggiungeva il mare a Fondachello; ad est dalla attuale strada provinciale Bagheria-Casteldaccia; a nord arrivava all’altezza di quella parte di Corso Butera che un tempo era chiamata “i tre portoni” (dall’ingresso a tre fornici che immetteva nel grande viale di Villa Palagonìa e che nei primi del Novecento venne raso al suolo per costruirvi l’ancora esistente cabina elettrica (che però finalmente è stata spostata n.d.r.).

Anche il Filangeri che, nello stesso periodo, cerca un terreno da queste parti per costruirvi una casa rifugio, è costretto a rivolgersi a cinque diversi proprietari per mettere insieme un fondo di una quindicina di ettari, corrispondente press’a poco all’attuale abitato di Santa Flavia.
Del resto che il territorio di Bagheria fosse a quell’epoca già spezzettato in una miriade di “lochi” è provato anche dagli acquisti fatti dal duca di Villarosa quando, agli inizi della seconda metà del ‘700, decide di costruire la sua villa a Bagheria.

Il paesaggio è dominato dalla vite e dall’ulivo.

Le parti più impervie sono invece ricoperte da fitte coltivazioni di sommacco ( una pianta che fornisce tannino all’industria dei colori) e i frassino, da cui si estrae la manna, indispensabile materia prima per l’industria farmaceutica e dolciaria.
Sono pure molto diffusi il mandorlo e il ficodindia. Gli agrumi, in questo periodo sono completamente assenti.

In sostanza il paesaggio agrario è quello tipico delle zone aride mediterranee.

Qualche orto irriguo con qualche albero da frutta (pesco, pero, nespolo) si trova sulle sponde dell’ultimo tratto del fiume Eleuterio (che a quell’epoca era a corso perenne per via delle sorgenti di Risalaimi che. Fluendo liberamente, lo alimentavano anche in estate); e alla Praja, dove il fiume sfocia.

La coltivazione della canna da zucchero è ormai completamente scomparsa e di essa rimane il pallido ricordo nel nome della contrada Cannita.
In questo ambiente, un Branciforti e un Filangeri decidono, dopo la peste del 1624 e la rivolta popolare del 1647, di costruirsi un rifugio.
Il luogo è a rispettosa distanza dalla città ed ha alle spalle il porticciolo di Solanto che
È già servito a re e vicerè per precipitosi imbarchi alla volta di Messina in occasione di tumulti.



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In foto, Giuseppe Speciale


tratto da Peppino Speciale, Giornalista, politico, storico
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