Dacia Maraini: l'arrivo a Bagheria

Dacia Maraini: l'arrivo a Bagheria

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Per lo speciale "Bagheria, il territorio e i protagonisti, nella storia e nella letteratura", pubblichiamo questa settimana un estratto dal libro "Bagheria" di Dacia Maraini, edito nel 1993 da Rizzoli, che riporta alla nostra memoria l'antico aspetto di alcuni tratti della cittadina.



"A Bagheria si entrava allora dal basso, superando l'incrocio della ferrovia dalle spranghe che chiudevano per lunghi minuti sotto il sole, fra un mulinello di mosche e moschini.
E proprio a quell'incrocio si è fermata la carrozza, davanti al passaggio a livello chiuso.
Mio padre è sceso per sgranchirsi le gambe.
Il vetturino intanto parlava col suo cavallo, lo incitava a compiere il suo dovere fino in fondo, nonostante il caldo, le mosche, la fatica e quel poco cibo che gli dava per sopravvivere.
(...)






A sinistra, si intravedeva la stazione con le sue lunghe rotaie luccicanti. Davanti, c'era la salita verso Villa Butera, devastata da enormi buche. (...) In effetti la salita l'abbiamo fatta a piedi.
Il cavallo non ce la faceva dopo più di quindici chilometri e il vetturino temeva che cadesse svenuto.










Così ci siamo avviati per il corso Butera guardando intorno curiosi così come i bagarioti guardavano noi, con altrettanta curiosità, anche se meno disponibili, più astiosi e perplessi.
Non si vedevano che rarissime automobili.
Più che altro il traffico era composto da carretti tirati da muli, da somari montati da uomini vestiti di scuro, con qualcosa di severo e aggrondato sulla faccia brunita dal sole; da donne che, pur vestite quasi sempre di nero (per la morte del padre: sette anni di lutto; per la morte di un fratello: tre anni di lutto; per la morte del marito: lutto a vita), camminavano leggere e seducenti, da decine di bambini che sciamavano come mosche da una parte all'altra del paese.




A Piazza Madrice ci siamo fermati un momento a respirare.
Mia madre ci ha raccontato che dentro la chiesa c'è una culla in legno dorato che ha la forma di una grande conchiglia sostenuta su dalle ali di un'aquila in volo e tutta contornata di puttini volanti, che è stata regalata dalla principessa Butera al paese di Bagheria.
Lei se la ricordava quella culla ma io, poi, per quanto l'abbia cercata non l'ho mai vista .
Il vetturino che intanto ci aveva raggiunti, camminando anche lui accanto al cavallo, ci ha detto che se volevamo rimontare, lui era pronto.
Così abbiamo ripreso la strada che ora piegava verso Villa Palagonia, seduti sugli scomodi strapuntini della carrozza.


Corso Umberto mostrava tutta la povertà di un dopoguerra amaro e patito: delle case sbilenche, delle misere botteghe, un convento, una scuola, un caffé composto da una stanzuccia senza finestre separata dalla strada con una tenda fatta di cordelle intrecciate.
La grande attrazione era l'Emporio dove si vendeva di tutto, dal sapone in scaglie alle caramelle di menta, dall'idrolitina allo zibibbo secco, dalle candele steariche ai porcellini di ceramica stile Walt Disney che a me piacevano tanto e che mia madre trovava "decisamente brutti e di cattivo gusto".

(..) In quanto al cinema ricordo ancora la prima volta che a Bagheria riapparve il proiettore, dopo l'incendio del cinema Moderno.
La macchina fu piazzata davanti alla chiesa.
E centinaia di persone assistettero al grande prodigio di una serie di ectoplasmi bianchicci che si muovevano sulla parete della chiesa in un vociferare di sorpresa."*

*Bagheria, Dacia Maraini, pagine 18-21.
Le foto sono tratte da "Le pietre della memoria", Bagheria in cartolina, di Angelo Restivo.
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