La gente Cola pisci lu chiamava,
che comi un pisci sempri a mari stava,
d’unni vinia nuddu lu sapia
forsi era figghiu di Nettunnu diu.
Un ghiornu a Cola "u rre" u fici chiamari
e Cola di lu mari dda vos’iri
- O Cola lu me regnu a scandagliari
supra cchi pidimenti si susteni
Cola pisci curri e va’
- vaiu e tornu maista’
"ccussi’ si ietta a mari Cola pisci
e sutta l’unni subutu sparisci
ma dopu un pocu a sta’ nuvita’
a lu rignanti Cola pisci da’
- ….maista’ li terri vostri
stannu supra a tri pilastri
e lu fattu assai trimennu
una gia’ si sta’ rumpennu
- … O distinu chi "nfilici
cchi svintura mi pridici
chianci u re comu aia ffari
sulu tu mi poi salvari.
Cola pisci curri e va’
vaiu e tornu maista’.
e Cola di lu mari dda vos’iri
- O Cola lu me regnu a scandagliari
supra cchi pidimenti si susteni
Cola pisci curri e va’
- vaiu e tornu maista’
"ccussi’ si ietta a mari Cola pisci
e sutta l’unni subutu sparisci
ma dopu un pocu a sta’ nuvita’
a lu rignanti Cola pisci da’
- ….maista’ li terri vostri
stannu supra a tri pilastri
e lu fattu assai trimennu
una gia’ si sta’ rumpennu
- … O distinu chi "nfilici
cchi svintura mi pridici
chianci u re comu aia ffari
sulu tu mi poi salvari.
Cola pisci curri e va’
vaiu e tornu maista’.
Così Otello Profazio canta di Colapesce, di questo uomo-eroe che noi tutti conosciamo perchè fin da bambini le favole che ci raccontavano i nonni parlavano di lui.
Ci riferiamo infatti della leggenda di Colapesce, o Nicola o Cola detto" Pesce" per la sua abilità nel nuotare in quel mare mitologico che è quello antistante la zona di Capo Peloro o Punta Faro.
Narrata in Sicilia dal Pitrè, questa fiaba è stata ripresa fin da Friedrich Schiller e Benedetto Croce; molto diffusa in tutto il Mediterraneo, ed anche in Giappone, la tradizione orale delinea infatti un personaggio che, a seconda delle varianti, si presenta ora come essere mitico connotato fisicamente fra I’uomo e il pesce, ora come entità con caratteristiche tutte umane ma che, per la sua particolare abilità di nuotare e di sprofondare negli abissi marini, viene soprannominato ’pesce’.
Inoltre non é azzardato sostenere che anche Dante Alighieri ne fosse a conoscenza, ispirandosi a questo mito e per la creazione del ’suo’ Ulisse.
L’eroe dantesco, infatti, sfidando i limiti stessi della sua umanità, contro la volontà divina, intraprende per mare quel ’folle volo’ oltre le Colonne d’Ercole che lo condurrà alla morte.
Nel tempo la storia ha avuto diverse scritture: in vernacolo siciliano, in lingua italiana, in latino, e con vari titoli (a Napoli, ad esempio, è nota come "Niccolò Pesce"). Colapesce rappresenta la "proiezione" di come vorremmo essere noi nei confronti della nostra città, ossia chi, pur essere umano e con tutti i difetti di tale condizione, riesce, nell’immaginario collettivo ad essere eroe, ed arrivare al sacrificio della propria vita per proteggere la sua terra.
Si era dunque verso l'anno 1230, nel giorno di San Nicola, e Federico II il re poeta, era l’illuminato Re della Sicilia di quel tempo.
Cola, figlio di un pescatore di Punta Faro, aveva una grande passione per il mare. Maledetto dalla madre esasperata dal suo comportamento, fù trasformato in uomo per metà pesce. Divenne punto di riferimento per tutti i marinai del luogo, che gli chiedevano notizie per evitare burrasche e pericoli in mare.
Venuto a conoscenza delle straordinarie capacità di questo nuotatore e delle immersioni senza tempo, Federico II volle vederlo all’opera, e lo convocò a bordo della sua nave che si trovava alla fonda nelle acque dello Stretto.Gettò in mare un anello preziosissimo chiedendogli di recuperarlo. E Cola Pesce riportò l'anello al re.
Le fonti scritte ricordano ben 18 varianti della leggenda di Colapesce, tutte belle e affascinanti, e moltissime altre sono quelle orali; probabilmente la più suggestiva resta comunque quella che lo vuole, novello Atlante, rimasto a sorreggere una delle tre colonne su cui poggia miticamente la Sicilia, essendosi accorto che quella tra Catania e Messina era pericolante.
Uomo generoso ed ’eroe culturale’ che impedisce la suprema catastrofe col sacrificio della propria persona: in un certo senso egli rifonda la realtà, cioè permette di sopravvivere alla sua gente, sebbene ignara del pericolo che ha corso.
Riscritta dall'ingegnoso scrittore napoletano Raffaele La Capria, ed illustrata da 13 tempere di Giosetta Fioroni, la bella fiaba rivive nell'ultima pubblicazione targata Drago Edizioni.
Le opere che illustrano questo affascinante racconto saranno presentate al pubblico nei locali della galleria Drago Artecontemporanea sabato 15 novembre, e saranno in esposizione fino all'11 dicembre.
Il volume (56 pag., 13 illustrazioni a colori) è già disponibile in galleria e nelle migliori librerie italiane, insieme alle altre edizioni illustrate pubblicate in precedenza.
Le prime cento copie del libro contengono una acquaforte e puntasecca firmata e numerata da Giosetta Fioroni.
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