Italia, pochi fondi per lo sport: cosa cambia con il PNRR

Italia, pochi fondi per lo sport: cosa cambia con il PNRR

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Nonostante in Italia il valore aggiunto complessivo della filiera dello sport sia di 24,5 miliardi di euro, circa l’1,4% del Pil, gli investimenti dedicati al settore sportivo non sono in linea con quelli degli altri Paesi europei.

Il nostro, infatti, non solo è il 16° paese Ue per spesa pubblica dedicata allo sport per singolo abitante, ma è anche il terzultimo per incidenza della spesa per lo sport sul totale.

Tra impianti vetusti, poche strutture funzionanti e scarse attrezzature, anche le dotazioni infrastrutturali rappresentano una nota dolente, motivo per cui con i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si sta cercando di risollevare la situazione.

 

 Lo studio dell’Osservatorio Valore Sport

Secondo lo studio dell’Osservatorio Valore Sport, realizzato da The European House Ambrosetti, nonostante il settore dello sport produca più indotto rispetto all’Automotive, al tessile e all’abbigliamento, sono ancora pochi gli investimenti a esso dedicati. Come già anticipato, infatti, rispetto agli altri Paesi europei, l’Italia è 16° per spesa pubblica dedicata allo sport per singolo abitante, con 73,6 euro pro capite rispetto ai 119,5 euro della media europea.

Dati, questi, che si ripercuotono sulla situazione degli impianti, vetusti e insufficienti: con una media di 131 impianti ogni 100 mila abitanti, l’Italia è indietro anche in questa classifica, considerando che la media europea è di 250 strutture. Numeri non migliori arrivano dalle scuole, dove addirittura sei edifici scolastici su dieci non dispongono di una palestra.

 

In arrivo non solo nuovi impianti, ma anche posti di lavoro

Fortunatamente, però, qualcosa sta cambiando: nella Missione 5 del PNRR, denominata “Inclusione e coesione”, viene infatti data rilevanza allo sport come strumento per promuovere l’integrazione sociale e l’inclusione.

Innovazione, resilienza e sostenibilità guideranno i progetti di rigenerazione degli impianti sportivi e la realizzazione dei parchi attrezzati nelle città, che verranno costruiti soprattutto nelle aree più degradate per permettere anche alle comunità più svantaggiate di dedicarsi allo sport.

Ma la riqualificazione e la costruzione di nuovi impianti non porterà benefici solo alle comunità e al mondo sportivo, ma anche a quello lavorativo, considerando che serviranno nuovi esperti per ricoprire i nuovi posti di lavoro.

Per lavorare nel settore sportivo, uno dei percorsi consigliati è la laurea in Scienze Motorie, da conseguire negli atenei fisici o online, come riportato nella guida di Atenei Online. L’università telematica rappresenta infatti una valida soluzione per chi vuole risparmiare tempo e denaro, non dovendo spendere per affitti o trasporti, o semplicemente per chi vuole una maggiore flessibilità e comodità negli studi. Dopo la laurea, sarà possibile diventare allenatore, preparatore fisico e atletico, accompagnatore naturalistico e sportivo e insegnante di scienze motorie nelle scuole, a seconda della propria inclinazione.

 

Le professioni senza laurea

Lavorare nello sport è possibile anche senza una laurea: esistono infatti alcune professioni accessibili anche senza aver frequentato l’università, come il procuratore, l’organizzatore di eventi sportivi o l’arbitro. Altre, invece, come il personal trainer, richiedono un diploma che attesti le competenze rilasciato da un Ente di Promozione Sportiva (EPS) riconosciuto dal CONI stesso o emesso da una Federazione Sportiva Nazionale (FSN). Professioni, queste, che con la riforma dello sport in arrivo i primi di luglio, saranno ancora più tutelate e regolamentate.

 

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