Il vero sfincione baarioto - di Mimmo Gargano

Il vero sfincione baarioto - di Mimmo Gargano

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Anche se è difficile a credersi, è esistita un'epoca, che per comodità possiamo definire epoca pre-panettone - in cui lo sfincione era il re del periodo natalizio o, meglio del periodo

 

che va dall'8 dicembre, festa della Immacolata (la Madonna) al 6 di gennaio festa della Epifania (allora "i tri re") passando per il Natale.

Praticamente lo sfincione si può definire una schiacciata su cui vengono poggiati vari strati di condimenti e, come tale, non ha una patria riconosciuta; è a Bagheria però che grazie al particolare condimento che lo caratterizza, ha acquisito una spiccata individualità che lo contraddistingue "lo sfincione di Bagheria"- e meriterebbe una doc ( o quella che oggi si chiama DE.CO.)- e lo fa apprezzare diffusamente.

La base dello sfincione è della normale pasta di pane che all'acme della lievitazione viene schiacciata in una forma rotonda od ovale; il condimento (le conse) è tipicamente a tre strati: il primo di questi è costituito da una salsa di filetti di acciughe sciolte in olio tiepido (è importante che l'olio non frigga durante la preparazione), quindi uno strato di formaggio pecorino fresco - tuma o primosale- tagliato a fette, ed infine uno strato di un impasto ottenuto con mollica fresca di pane triturata, condita con pecorino grattugiato, cipolla scalogna tagliata a rondelle, sale, pepe, origano, il tutto impastato con olio di oliva.

Esistono naturalmente dei canoni, la cui conoscenza è ormai patrimonio solo delle generazioni meno giovani, che prevedono per uno sfincione l'uso di un vasetto di acciughe, 200 g di tuma o primosale da poggiare a fette sulla salsa di acciughe, mentre per l'impasto servono 100 g di pecorino grattugiato, 1 mazzetto di scalogni, sale e pepe, origano q.b.; per la quantità di mollica di pane si considera che quella ottenuta da un pane di 1 kg basti per tre sfincioni.

Su questo canovaccio si sono da sempre esercitati la fantasia ed il gusto dei Bagheresi per cui non è infrequente trovare ricette che, a quanto descritto, aggiungono della salsa di pomodoro, o uno strato di ricotta, o addirittura broccoli lessati, e via inventando.

Certo una volta sotto Natale per giorni il paese letteralmente profumava di sfincione, perché praticamente presso ogni famiglia si era cominciato da qualche giorno a preparare "le conse"; il paese era intriso di odore di cipolla scalogna tagliata, di pecorino grattuggiato di odore di acciughe "squagliate" - una volta in verità si preferivano le sarde salate - difficili da pulire bene ma quanto più sapide!-, ma la nostra epoca light ormai privilegia l'uso delle acciughe-.

Presso i fornai, dietro prenotazione, già dalle prime ore del giorno della vigilia della festa dell'Immacolata e dell'Epifania, ma addirittura dell'antiviglia di Natale, si cominciava a fare gli sfincioni; ed era uno spettacolo "bello e terribile" vedere ambienti, dimensionati per altre esigenze, gremirsi fino all'inverosimile di donne che in attesa del loro turno stavano a guardia delle conse e poi, in una continua dialettica con il fornaio, stendevano i condimenti, polemizzavano con lo stesso sullo stato di cottura degli sfincioni, e al momento in cui questi venivano sfornati, si accertavano che non venissero scambiati i prodotti finiti ( data la sostanziale uniformità del tipo di condimento si usavano dei sistemi di riconoscimento dei propri prodotti: un rametto di ulivo, un pezzo di scorza di mandarino, delle patate a fette, olive nere in numero vario).

Lo sfincione era un prodotto "travagghiatu", cioè laborioso nella preparazione, e costoso e costituiva il piatto forte del cenone della vigilia di Natale; una dose era costituita da circa mezzo sfincione mentre non era infrequente che un uomo adulto ne mangiasse uno intero; il completamento del cenone erano di solito i cardi bolliti, i mandarini e le sfince.

Tanto per dire: la sostanziale superiorità dello sfincione bagherese era di fatto riconosciuta anche dai "palermitani". Questi, pur avendo dello sfincione una loro versione caratteristica - che era ed è ancora essenzialmente un cibo "da strada" un po' come il pane con panelle o il pane con la milza, gradivano molto il dono di uno "sfincione della Bagheria" da parte di amici e parenti di Bagheria appunto.

I Bagheresi dal canto loro, forse per un ingenuo atteggiamento di rivalsa del paesani nei confronti degli abitanti della città, usavano una definizione sprezzante degli sfincioni di Palermo che, si soleva dire, erano "scarsi di olio e 'cchini di pruvulazzu"; (nasce probabilmente dalla stessa motivazione l'imprecazione che era in uso a Bagheria "mannaggia ai pisci fitusi di Palermo" infatti forti della produzione di pesce dell'Aspra non si riconosceva che nella città potesse esserci del pesce altrettanto buono e fresco!).

Regalare uno sfincione era anche un modo per ringraziare per un favore ricevuto, per ingraziarsi qualcuno da cui si attendeva un piccolo beneficio.

Dello sfincione, per fortuna, non si deve ancora parlare con nostalgia come succede per le cose ormai perdute; esso è ancora un elemento caratteristico del periodo di Natale.

Certo esso ha perso l'aura di sacralità che lo caratterizzava fino ai primi anni sessanta si è per così dire banalizzato; da prodotto che era presente solamente in un particolare periodo dell'anno, ha acquisito ( con caratteristiche non proprio da DOC dato che le materie prime erano tipicamente stagionali e ciò vale ad es. per le cipolle scalogne, per il pecorino fresco, per le sarde salate che in tale periodo raggiungevano la maturazione), una continuità di presenza presso i fornai, dove è normale trovare sfincioni già preparati, "take away", da utilizzare per un pasto di mezzogiorno che non si è avuto tempo di preparare, o per inventare una cena estemporanea tra amici.

 

Mimmo Gargano