Cronaca

Erano da poco passate le 13:00 circa di martedì 23 aprile c.a., quando Giuseppe ZAMBITO, 48 anni, nullafacente, pregiudicato, residente a Casteldaccia, si introduceva nell’esercizio commerciale “Bar Garden”, sito in Bagheria, con l’intento di costringere il titolare a consegnargli la somma in denaro di 500 € e, poi, di 100 euro “per le famiglie di quelli arrestati, che dovevano campare pure”.

L’intervento di alcuni avventori e il rifiuto della vittima di sottostare alla condotta estorsiva, facevano fallire il proposito dello ZAMBITO.

A conclusione d’intensa attività di indagine, sentiti testimoni e analizzate le registrazioni del sistema di videosorveglianza, i Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Bagheria e della Stazione di Casteldaccia, procedevano all’arresto del prevenuto, per il reato di tentata estorsione.

In base alla ricostruzione dei fatti, gli investigatori hanno accertato che l’uomo da solo, a volto scoperto, identificato poi nello ZAMBITO, magro, scarno in volto, con un giubbotto rosso sotto il quale lasciava intendere la presenza di un coltello, aveva fatto ingresso nel “Bar Garden” richiedendo insistentemente denaro al titolare.

altAl rifiuto dello stesso commerciante che affermava “di non avere i soldi nemmeno per i fornitori”, lo ZAMBITO, dopo avere minacciato i dipendenti e scaraventato con violenza oggetti in aria e sul bancone, per niente intimorito dal sopraggiungere di altri avventori e dipendenti, si riprometteva, dopo circa un’ora di intimidazioni, di “ritornare per ritirare i soldi” e – detto ciò – si allontanava facendo perdere le sue tracce.

I Carabinieri della compagnia di Bagheria, conclusa l’acquisizione delle univoche e concordanti testimonianze verificavano la congruità delle stesse con le videoregistrazioni acquisite; dal confronto tra gli elementi informativi acquisiti emergeva, senza ombra di dubbio, la responsabilità dello ZAMBITO Giuseppe in ordine alla tentata estorsione di cui sopra.

ZAMBITO, su ordine dell’Autorità Giudiziaria, è stato associato presso il carcere “Ucciardone” di Palermo.

Fonte  Ufficio Stampa Provinciale dei carabinieri

Tre pluripregiudicati palermitani, specializzati in truffe agli anziani cui proponevano l’acquisto di monili spacciati come gioielli di grande valore, sono stati scoperti e denunciati dal Gruppo della Guardia di Finanza di Palermo.

L’operazione ha avuto inizio la scorsa settimana, quando i finanzieri in servizio presso il porto del capoluogo siciliano, durante i normali controlli sottobordo alle motonavi in arrivo, hanno fermato i tre appena sbarcati dalla nave di linea proveniente da Napoli, di cui uno alla guida della propria autovettura e gli altri due a piedi senza bagagli al seguito.

Ad insospettire le Fiamme Gialle è stata la dichiarazione dei tre di avere viaggiato separatamente, sebbene dalla lista d’imbarco della compagnia di navigazione risultasse che, in realtà, gli stessi avevano condiviso la medesima cabina a bordo; un più approfondito controllo dei bagagli ha permesso di rinvenire, ben occultati fra gli effetti personali dei tre, complessivamente 14 mila euro in banconote da 50 e 100 euro.

Interpellati in merito alla provenienza del denaro, i tre hanno fornito spiegazioni alquanto fantasiose e improbabili, il che ha indotto i finanzieri ad una accurata ispezione anche dell’autovettura al cui interno sono stati rinvenuti diversi gioielli, tra cui 2 anelli in oro bianco e rosso con brillanti incastonati, 78 brillanti, 45 sacchettini muniti di chiusura a clip adatti a contenere piccoli oggetti preziosi, oltre a diversi cartoncini plastificati, riportanti diciture in inglese, contenenti attestazioni di garanzia di originalità dei preziosi ed una lente d’ingrandimento a scomparsa del tipo normalmente in uso ai gioiellieri; i monili sono stati subito fatti analizzare da un esperto gioielliere, risultando tutti non autentici e di valore commerciale prossimo allo zero.

I tre, invitati a fornire delucidazioni circa l’origine di tali oggetti, hanno spiegato che i monili erano destinati alla creazione di braccialetti e collane da sorteggiare, unitamente agli anelli, in qualche riffa di quartiere; in realtà, che si trattasse di tipici “ferri del mestiere” usati da “pataccari di professione” è risultato evidente dalla consultazione dei precedenti penali e di polizia esistenti a carico dei tre, responsabili di diverse truffe perpetrate, in varie località italiane, nei confronti di una dozzina di malcapitati (per lo più persone anziane pensionate) per un danno economico stimabile, nel complesso, in oltre 15 mila euro.

I finanzieri hanno quindi proceduto nell’immediatezza al sequestro dei falsi gioielli, dei presunti certificati di garanzia e del denaro contante rinvenuto, avviando poi, su disposizione della Procura della Repubblica di Palermo, più mirate indagini sui tre truffatori, pervenendo presto alla conferma del quadro criminale tracciato.

Infatti, pochi giorni dopo il sequestro, appresa la notizia di una truffa consumatasi in via Mariano Stabile a Palermo, costata 750 euro al solito anziano sventurato, i militari hanno rintracciato il truffato e gli hanno sottoposto le foto segnaletiche di diversi malfattori; tra questi l’anziano ha subito riconosciuto, con assoluta certezza, i volti dei tre soggetti in precedenza fermati al porto, i quali nel frattempo, evidentemente, si erano riorganizzati per rifarsi del bottino perduto.

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IMMESI GAETANO;                             IMMESI ATTILIO;                                      RIZZUTO LUCA

L’anziano, nella speranza di recuperare il maltolto, ha sporto formale querela nei confronti dei tre truffatori, mentre il Gruppo della Guardia di Finanza di Palermo, in virtù del ricostruito legame consociativo esistente tra i membri del terzetto - dimostratisi, nonostante tutto, ancora capaci di mettere a segno i propri colpi - hanno deferito gli stessi all’Autorità Giudiziaria per l’ipotesi di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, ricostruendo, nell’occasione, anche i dettagli del loro modo di operare, basato su una “sceneggiatura” ben collaudata e che vale la pena riassumere, anche a scopo informativo e preventivo.

 

Uno dei tre, di norma, recitando la parte dell’ufficiale di marina straniero (in genere, finlandese o svedese) che parla in inglese, tranne qualche parola in italiano utile all’adescamento, individua “per strada” la vittima ritenuta più idonea – normalmente una persona anziana – cui si rivolge per “chiedere informazioni” in un italiano stentato; ottenuta l’attenzione della vittima, l’ufficiale straniero viene raggiunto dal secondo complice che, ben vestito e dai modi garbati, passa di lì “per caso” e, millantando di comprenderne la lingua, spiega alla vittima che lo straniero ha urgente bisogno di rintracciare una gioielleria nelle vicinanze presso cui vendere alcuni gioielli di famiglia che ha, ovviamente, al seguito, per recuperare, più o meno, 1.000 euro di cui ha necessità.

Il complice, alla presenza della vittima, fornisce indicazioni sulla gioielleria in zona – che, di norma, in passato è esistita davvero e, di recente, ha chiuso il proprio esercizio o magari si è trasferita presso altro indirizzo - e si adopera per rintracciarne il numero di telefono; a questo punto viene contattato telefonicamente il presunto gioielliere – che in realtà è il terzo complice – il quale giunge da lì a poco sul luogo per effettuare una valutazione degli oggetti preziosi, sempre in presenza della vittima, che rimane “incantata” dal loro “valore”.

Terminata la “favolosa valutazione”, il presunto gioielliere si allontana con un pretesto, lasciando la vittima in compagnia degli altri due complici; il secondo “attore”, a questo punto, propone l’”affare” alla vittima, suggerendole un acquisto congiunto dei gioielli ad un prezzo ovviamente scontato rispetto alla precedente valutazione e poi, dopo essersi allontanato per pochi minuti tornando con una busta piena di contanti, riesce a convincere l’anziano a partecipare in “quota parte” al “business”, facendogli sborsare metà della somma pattuita con il sedicente ufficiale di marina che, a garanzia dell’autenticità dei gioielli, consegna all’anziano oltre ai finti preziosi anche un fantomatico certificato da fotocopiare.

Fatta la fotocopia l’anziano torna indietro per riconsegnare l’originale, ma al suo ritorno non trova più nessuno e, in quel momento, realizza di essere caduto in una trappola. 

Guardia di Finanza Palermo

I medici non sciolgono ancora la prognosi per il piccolo Alessandro Grado, 11 anni, coinvolto ieri, assieme al padre Nicolò che ha perso la vita, nell'incidente che ha visto la Moto Ape scontrarsi quasi frontalmente con il furgone Citroen  della SDA, come in un tragico appuntamento.

La salma ricomposta di Nicolò è stata riportata nella abitazione dove viveva con la moglie Daniela e i due figli, in via Impastato, in contrada Monaco, e viene vegliata da familiari e amici.

La moglie ha preferito restare nella corsia della Rianimazione dell'Ospedale dei Bambini' G.Di Cristina', dove il figlio Andrea è stato sottoposto ad un intervento chirurgico che ha riguardato soprattutto la ricomposizione e la ricostruzione degli arti inferiori.

Il bambino ha superato la fase cruciale dell'intervento e anche se i sanitari mantengono la massima riservatezza, hanno lasciato filtrare la notizia che il piccolo ha dimostrato di essere in grado di respirare anche autonomamente.

Sono stati ridotti i sedativi ma la situazione rimane estremamente seria anche per la presenza di un ematoma al capo, sul quale i medici contano di intervenire successivamente in base alla evoluzione delle condizioni del bambino.

Tutto il quartiere Monaco si è stretto accanto alla famiglia di Nicolò Grado, che, originario del quartiere palermitano di S. Rosalia, si era trasferito a Bagheria dopo il matrimonio con Daniela.

Quello che si sta consumando sin da ieri è il dramma non solo di una famiglia ma di un intero quartiere il cui nome, contrada Monaco, è diventato a Bagheria quasi sinonimo di degrado sociale ed economico.

Ma chi conosce da vicino quella realtà sa bene, non solo quanto dolore e quanta sofferenza vi siano presenti, ma anche quanta solidarietà vera, quanta ricchezza umana, quanta voglia di riscatto riesce ad esprimere contrada Monaco.

E lo sa bene soprattutto la comunità parrocchiale che vive attorno alla chiesa San Giovanni Bosco, il cui parroco, padre Francesco Michele Stabile, volle far nascere nel 2000, in uno scantinato, la casa di Dio proprio al confine tra il centro città e la periferia, quasi come 'ponte' come 'mano tesa' verso chi è più debole e bisognoso.

Ed è la comunità parrocchiale che per prima assieme a familari ed amici si è mossa per stare vicino al dolore della famiglia Grado.

altPadre Francesco Stabile, che nel quartiere conosce tutti, conosceva bene anche la  famiglia Grado: da Nicolò che si guadagnava da vivere con la sua Moto Ape, alla moglie Daniela , che è cresciuta, ci dice, nella nostra parrocchia, al piccolo Andrea che partecipava alle lezioni di catechismo, alla sua sorellina Alessandra, di un anno più piccola.

'Siamo certi che si  mobiliterà la comunità, si mobiliterà Bagheria - aggiunge padre Stabile - per dare sollievo al dolore di questa famiglia'.

Intanto l'inchiesta  dei Carabinieri per accertare la dinamica dei fatti va avanti: c'era una bicicletta quasi addossata alla Moto Ape ribaltata ed un altra auto, una Opel, danneggiata nel cofano posteriore come se avesse subito un tamponamento.

I funerali di Nicolò Grado si svolgeranno presso la Chiesa San Giovanni Bosco giovedì 18 luglio alle ore 11.

 

E' costata cara a due giovani bagheresi quella che è stata qualificata come presunta violenza di gruppo, consumata nella nottata di domenica subito dopo la conclusione del Festino.

I due, come riporta oggi Romina Marceca sulla Repubblica, edizione di Palermo,  facevano parte di un gruppo di sette giovani che a conclusione dei festeggiamenti della 'Santuzza' ha creduto bene di cominciare ad importunare pesantemente due turiste spagnole che si trovavano a passeggiare tra via Roma e via Maqueda, cominciando dalle allusioni pesanti per passare subito dopo alle vie di fatto, cominciando cioè a 'palpeggiarle' nelle parti intime;  le urla delle ragazze hanno attirato l'attenzione di altre persone che hanno tentato di mettere in fuga il 'branco'.

Nel frattempo accorrevano le volanti della Polizia  che riportavano la calma e procedevano all'arresto di Giuseppe M.  e di Daniele B. rispettivamente di 21 e di 24, mentre altri due giovani sono stati denunciati a piede libero per rissa.

Le due turiste sono state quindi accompagnate dalla Polizia in Questura dove, comprensibilmente scosse,  hanno riferito i dettagli del gravissimo episodio.

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