Cronaca

I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo, al termine di una complessa attività d’indagine coordinata dalla locale Procura della Repubblica (Procuratore Aggiunto dott. Maurizio SCALIA e Sostituti Procuratori dott. Antonino DI MATTEO e dott. Carlo LENZI), hanno dato esecuzione a tre ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dall’Ufficio G.I.P. del Tribunale di Palermo (dr. Fernando SESTITO), nei confronti degli autori dell’omicidio dell’Avvocato Vincenzo FRAGALÀ:

 

- Francesco ARCURI, nato a Palermo l’8.12.1980, in atto detenuto per altra causa, affiliato al mandamento palermitano di “Porta Nuova”;

- Salvatore INGRASSIA, nato a Palermo il 04.06.1965, in atto detenuto per altra causa, affiliato al mandamento palermitano di “Porta Nuova”;

- Antonino SIRAGUSA, nato a Palermo il 3.5.1970.

La sera del 23 febbraio 2010, il noto penalista, già deputato di Alleanza Nazionale alla Camera e consigliere comunale di Palermo, uscito dal suo studio tra via Nicolò Turrisi e P.za V.E. d’Orleans, di fronte al Palazzo di Giustizia, veniva ripetutamente colpito, alla testa e agli arti, con una mazza di legno da un individuo che, subito dopo, si dava alla fuga unitamente ad altri complici.

L’avvocato, immediatamente soccorso e trasportato all’Ospedale Civico di Palermo, ove giungeva in coma a causa di una vasta emorragia cerebrale, decedeva il successivo 26 febbraio.

LE INDAGINI

Le indagini, che inizialmente non hanno trascurato alcuna ipotesi investigativa, hanno presto fatto emergere il coinvolgimento nel delitto di appartenenti a cosa nostra.

L’attento riascolto di migliaia di intercettazioni eseguite dalle varie Forze di Polizia nei confronti di affiliati a cosa nostra palermitana, l’incrocio dei dati estrapolati dai tabulati e dalle celle telefoniche, l’analisi delle riprese acquisite dai sistemi di video sorveglianza installati nei pressi del luogo del delitto hanno consentito di dare un’identità agli autori dell’omicidio, tutti riconducibili alla consorteria mafiosa del Mandamento di Porta Nuova. A sostegno di queste fonti, definite dal G.I.P. di “formidabile portata probatoria”, si aggiungono le dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia, con riferimento sia all’autore materiale dell’aggressione sia al movente del delitto.

Il complesso delle risultanze investigative ha permesso di ricostruire come segue i momenti salienti dell’azione delittuosa:

1. ORE 19.09

SIRAGUSA Antonino, INGRASSIA Salvatore ed ARCURI Francesco si incontrano nel quartiere Borgo Vecchio per definire i dettagli operativi del delitto;

2. ORE 20.23

Le immagini estrapolate da alcuni impianti di videosorveglianza di via Nicolò Turrisi documentano la presenza, a pochi metri dall’ufficio della vittima, di SIRAGUSA e INGRASSIA;

3. ORE 20:26

INGRASSIA riceve due telefonate. L’analisi del tabulato telefonico e delle mappe cartografiche confermerà la sua presenza sul luogo del delitto;

 

4. ORE 20:38

L’Avvocato FRAGALÀ, come ogni sera, esce dal proprio studio legale e si avvia verso il garage dove ha parcheggiato l’auto;

5. ORE 20:39

Il professionista, giunto all’imbocco della discesa che conduce al garage, viene aggredito a colpi di bastone (inferti al capo ed agli arti verosimilmente con una mazza da baseball) da un uomo di 30/35 anni, di corporatura robusta, alto 1,85 mt. circa, che, dopo aver lasciato la vittima esanime a terra, fugge a bordo di uno scooter Honda SH di colore bianco condotto da un complice. L’aggressore viene identificato in ARCURI Francesco;

6. ORE 20:48

SIRAGUSA Antonino e INGRASSIA Salvatore vengono ripresi da un sistema di video sorveglianza mentre si allontanano dal luogo del delitto che, invece, aveva richiamato l’attenzione di numerosi passanti.

LE PROVE

Le indagini hanno permesso di ricostruire un quadro probatorio chiaro e univoco, di cui vanno evidenziati i seguenti elementi:

1. intercettazione ambientale / telefonica delle ore 19.09, che documenta una conversazione intercorsa tra SIRAGUSA, INGRASSIA e ARCURI. I tre fanno riferimento a un progetto delittuoso che prevede l’impiego di un’auto e di una moto (di cui disfarsi), di un appostamento (“pustìu”) da effettuare e, soprattutto, dell’utilizzo di un “coso di legno” quale strumento per commettere l’azione illecita:

SIRAGUSA Antonino

… chi dici ? …

INGRASSIA Salvatore

… Anto’ … chiddu chi dici tu …

SIRAGUSA Antonino

… (tossisce) … na ‘dda banna na strata unni si scinni … Ciao! (saluta terza persona giunta in quel momento ndr)

ARCURI Francesco

… ch’ama fari … pustìu?

INGRASSIA Salvatore

… poi a’ bieniri chiddu …

SIRAGUSA Antonino

… picchì … cu’ quali muturi tu a’ bieniri?

ARCURI Francesco

… cu’ u’ Scarabeo …

SIRAGUSA Antonino

… nooo ! ...

ARCURI Francesco

… comu faciti … si chiddu a’ ghiccari poi u’ muturi … chi fa … ninni iamu tutti tri ca’ machina? …

SIRAGUSA Antonino

… cuomu ava ghiccari u’ muturi! …

ARCURI Francesco

… unnu sintisti chi disse? ...

SIRAGUSA Antonino

… nooo … viniemu tutti rui ca’ machina!

ARCURI Francesco

… giustu! …

SIRAGUSA Antonino

… iddu … poi … tu ti porti u’ muturi e iddu sinni veni cu’ mia …

INGRASSIA Salvatore

… si u’ muturi stava ca’ …

SIRAGUSA Antonino

… ancora chiddi unn’è cuntu ca’ s’annu arricugghiutu cu’ u cuoso i lignu … viri s’è ca’…

 

2. conferma della presenza sul luogo del delitto degli autori dell’omicidio, grazie ai dati estrapolati dai tabulati telefonici;

3. corrispondenza antropometrica di ARCURI Francesco con l’autore materiale dell’omicidio, alla luce delle descrizioni fornite dai testimoni oculari;

4. utilizzo da parte dell’esecutore materiale dell’omicidio di una moto Honda SH di colore bianco, utilizzata per la fuga. E’ risultato in uso a ARCURI un motoveicolo delle stesse caratteristiche;

5. corrispondenza antropometrica di SIRAGUSA (di cui si rileva anche una percettibile “claudicatio”) ed INGRASSIA, con i soggetti ripresi dai sistemi di videosorveglianza installati in via Nicolò Turrisi.

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  ARCURI   FRANCESCO                         INGRASSIA   SALVATORE                        SIRACUSA   ANTONINO

 

 

 

 

Ad incastrarli sono state soprattutto le dichiarazioni di tre complici, tre rapinatori che hanno deciso di collaborare ricostruendo decine di rapine a negozi, tabaccherie e perfino a un disabile in carrozzina, al quale rubarono tremila euro in contanti. 

Partendo da quei racconti gli agenti della sezione antirapina della Squadra mobile di Palermo, guidati da Silvia Como, hanno concluso una complessa indagine che è culminata con l’esecuzione di 18 ordinanze di custodia cautelare.

L’operazione, denominata «Noxae», è in corso dalle prime luci dell’alba: decine di agenti stanno notificando i provvedimenti firmati dal gip Michele Alajmo su richiesta del procuratore aggiunto Maurizio Scalia e dei sostituti Siro De Flammineis e Francesco Grassi.

Quindici le persone finite in carcere, mentre ad altri tre — Giuseppe Anzalone, di 34 anni, Mario Gebbia, di 36 e Marco Aiello, di 24 — il gip ha concesso i domiciliari.

Questi ultimi, in particolare, sarebbero i capi o quanto meno i punti di riferimento della banda, ma hanno ottenuto una misura più lieve in virtù della loro decisione di collaborare con la giustizia.

I fatti contestati risalgono al periodo compreso tra il 2009 e il 2011.

Anche se non viene contestata l’associazione a delinquere, è emerso che Aiello, Anzalone e Gebbia erano in grado di reclutare o cambiare complici a seconda dei colpi e delle esigenze.

Questi i nomi dei destinatari di ordinazna di custodia cautelare nell'ambito dell'operazione di polizia contro una banda di rapinatori chiamata Noxae: Giuseppe Anzalone 34 anni, Mario Gebbia 36 anni, Alessandro Giacalone 35 anni, Paolo Amatuzzo di 30 anni, Marco Aiello di 24 anni, Giovanni Vernengo di 39 anni, Filippo Di Marco di 35 anni, Giovan Battista Pipitone di 36 anni, Giovanni Bruno di 24 anni, Onofrio Palazzo di 46 anni, Alessandro Gebbia di 22 anni, Ignazio Guercio di 41 anni, Giovanni Carini di 34 anni, Rocco Pirrotta di 37 anni, Rosario Di Piede 36 anni, Salvatore Mancuso

di 46 anni. 
 

Non è durato molto il silenzio dell'ex assessore al Territorio Gian Maria Sparma, già di An e di FLI, capo della segreteria tecnica del sottosegreatrio Adolfo Urso, vicecapo di gabinetto del ministro dell'ambiente Corrado Clini, oltre che dirigente del settore pesca.

Un curriculum di tutto rispetto con relativi dignitosi stipendi, ma non disdegnava, lo ha ammesso lui stesso nel corso dell'interrogatorio con il p.m. dell'inchiesta Gaetano Paci, le ragalìe di Fausto Giacchetto.

Ed a conclusione dell'interrogatorio, assistito dall'avv. Maurizio Panci, Gian Maria Sparma ottiene dal Tribunale del riesame i domiciliari.

Lo riporta il Giornale di Sicilia di oggi in un articolo a firma di Riccardo Arena

Sparma ammette di avere intuito su cosa si fondava il sistema Giacchetto e di avere attinto a piene mani a quel sistema di regalìe che giuridicamente configuravano però la corruzione

Di fronte alle contestazioni precise del p.m. che partivano dalle  dichiarazioni dei collaboratori di Giacchetto, Gian Maria Sparma non ha alternative e racconta tutto.

E parte da lontano, a partire da un viaggio in Tunisia assieme a Gentile e Scalia, tutto spesato da Giacchetto; ed i viaggi erano uno dei benefit più graditi, perchè parla anche di un fine settimana a Taormina presso l'Hotel Atalantys Bay naturalmente con moglie, e sempre accompagnati dalle coppie Scalia e Gentile oltre alla Monterosso e al di lei marito.

Sollecitato dal p.m. ricorda anche due fine settimana presso l'esclusivo Kempiski Resort di Mazara del Vallo, per un valore di 1.000 euro.

Ma non solo viaggi week end: anche una busta con 5.000 euro, oltre ad una serie di benefit minuti.

A partire dai biglietti per una partita Milan-Manchester da regalare ad alcuni amici irlandesi, Sparma aveva anche ottenuto in uso per il suo viaggio di nozze di una carta di credito Superflash usata per un ammontare di 1.000/1.500 euro.

E poi un appartamento in uso gratuito per tre mesi in via Pignatelli Aragona, un abbonamento Sky, spese varie per traslochi, un televisore del valore di 500/600 euro, e il pagamento di un intervento chirurgico alla clinica Quisisana di Roma per un valore di 3.000 euro.

Naturalmente Gian Maria Sparma quando era assessore informava Giacchetto sui lavori di giunta per quanto di suo interesse.

Un solo neo in questo rapporto idilliaco: un litigio perchè Saprma non aveva voluto intervenire per un verbale della Guardia Forestale elevato a Giacchetto per una piscina abusiva realizzata nella propria villa in contrada Celso.

Ma poi avevano fatto pace;  e Giacchetto pensava di avere risolto tutto dando 5.000 euro ad un commissario della Guardia Forestale, poi arrestato e che aveva dato il via ad un'altra inchiesta che allargatasi a macchia d'olio ha coinvolto diversi componenti del presidio della Forestale a Bagheria.

 

 

Due anni fa, a Bagheria, l’ultimo latitante tra i boss stragisti passa indisturbato per le strade della città: prima di lui, un’auto identica sperona un’altra vettura e fa saltare il piano dei Carabinieri

Lo sostengono Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza  in un articolo pubblicato oggi sul periodico on line  Antimafia duemila.

Riportiamo integralmente il passaggio più significativo dell'articolo, che è una vera e propria rivelazione.

Avvisati da una fonte confidenziale, due anni fa, a Bagheria, i carabinieri arrivarono ad un passo dalla cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro.

Il boss trapanese viaggiava a bordo di un fuoristrada di colore scuro, con i vetri oscurati, guidato dal proprietario di un noto ristorante della zona, ma i militari che avevano predisposto il posto di blocco vennero ingannati dall’auto di staffetta, un fuoristrada identico al primo, che davanti ai carabinieri speronò un’auto creando un diversivo, e consentendo così la fuga all’ultimo dei boss stragisti rimasto in libertà. 

L’episodio, con altri dettagli investigativi, segnalato al generale Giampaolo Ganzer, allora comandante del Ros, è uno dei nuovi elementi di indagine contenuti nei due esposti presentati dai marescialli dei carabinieri Saverio Masi e Salvatore Fiducia, che hanno denunciato i loro superiori gerarchici, accusandoli di avere intralciato le indagini finalizzate alla cattura di Bernardo Provenzano e Messina Denaro.

Sono sei , secondo quanto riportato nell'articolo di Antimafia duemila- gli ufficiali della caserma Carini (e due di essi da entrambi i sottufficiali) denunciati dai colleghi per una serie di reati gravi che vanno dal concorso in associazione mafiosa, al favoreggiamento personale aggravato dall’art. 7 e all’omissione di atti di ufficio.

Masi e Fiducia sono stati ascoltati nei giorni scorsi dal procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi al quale hanno raccontato anche altri episodi non contenuti negli esposti e che potrebbero riaprire capitoli già definiti della lotta alla mafia di questi anni, riscrivendone la dinamica, a cominciare dalla mancata irruzione, tuttora misteriosa, nel covo di Riina in via Bernini, il 15 gennaio del 1993.

 Masi - si dice nell'articolo - segnala anche che a casa di un consigliere provinciale Udc, Giovanni Giuseppe Tomasino (arrestato per una storia di appalti truccati) , uno degli ufficiali da lui denunciati omise di sequestrare il personal computer dell’uomo politico.

Masi nel suo esposto scrive di aver saputo “che a casa del Tomasino si trovava un computer, al cui interno erano presenti documenti relativi sia alla gara d’appalto richiamata, oltre a documenti ricattatori e scottanti riguardanti l’Onorevole Salvatore Cuffaro”.

Naturalmente il sottufficiale denunciò il tutto ai superiori, compresi “gli atteggiamenti e i modi esageratamente confidenziali tra il capitano dei carabinieri che condusse l’operazione ed il Tomasino”, ma la sua denuncia rimase, anche in questo caso, senza esito.

Il sottoscritto scrive Masi - ha saputo da altri colleghi che sono stati avviati accertamenti sul capitano e sulla moglie dello stesso, la quale avrebbe percepito dei compensi per delle perizie professionali, per le quali si sarebbe prodigato anche l’On. Cuffaro”.

E senza esito è rimasta anche la segnalazione al Ros della fuga spericolata di Messina Denaro dal posto di blocco di Bagheria, conclude l'articolo.

Articolo tratto da Antimafia duemila

 

 

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