Cronaca

C'è anche il pescatore-tuttofare di Porticello Cosimo D'Amato tra gli otto arrestati di stamane per avere avuto un ruolo nella strage di Capci del 23 maggio 1992, nella quale perirono Giovanni Falcone,  la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta.

La Procura di Caltanissetta ha emesso otto ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di altrettante persone, notificate dagli agenti della Direzione investigativa antimafia. Vengono chiamati in causa alcuni fedelissimi del capomafia di Brancaccio: Giuseppe Barranca, Cristofaro Cannella, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino e Lorenzo Tinnirello. 

Tutta gente che sta già scontando condanne per mafia.

Ed ancora Cosimo D'Amato, il pescatore di Santa Flavia, l'ultimo per il quale, l'anno scorso, si sono aperte le porte del carcere è stato il pescatore del paesino nel palermitano.

L'inchiesta e' coordinata dal procuratore Sergio Lari, dall'aggiunto Domenico Gozzo e dai sostituti Stefano Luciani e Onelio Dodero.

Gli inquirenti parlano di "svolta che ha squarciato il velo d'ombra nel quale erano rimasti personaggi finora mai coinvolti nelle indagini sull'eccidio di Capaci".

Dunque, un altro pezzo di verità sarebbe venuto a galla grazie alle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina

Spatuzza racconta di quel giorno del '92, quando un mese e mezzo prima della strage, assieme a Fifetto Cannella che gli aveva chiesto di procurarsi una macchina sicura, prima si diedero appuntamento nel porticciolo di Sant'Erasmo a Palermo con Barranca e Lo Nigro e poi si spostarono a Porticello.

È lì che avrebbero incontrato Cosimo, il pescatore, che teneva alcune vecchie bombe dentro dei cilindri appesi ad una barca. Cilindri lunghi un metro che furono caricati in macchina e trasportati prima in una vecchia casa non lontano dall'abitazione dei genitori di Spatuzza e poi nel magazzino della ditta di trasporti per cui Spatuzza lavorava.

Li'sarebbero stati smontati per prelevare l'esplosivo, macinato e lavorato fino a diventare fine come la sabbia. Si tratterebbe, secondo il collaboratore di giustizia, dell'esplosivo utilizzato per le stragi di mafia del '92.

 

 da livesicilia.it

E' questa la tesi del collegio difensivo di Pietro Ferrito e dei suoi due figli, Giampiero e Rosario, sul banco delgi imputati, davanti alla seconda sezione della Corte di Assise di Palermo, presidente Alfredo Montalto, per l'omicidio di Giuseppe Alongi, avvenuto nel giorno ferragosto di due anni fa, in contrada Monaco.

Il delitto era nato al culmine di un violento diverbio esploso per i pregressi rancori tra la famiglia Ferlito, una cui componente, Pierangela, figlia e sorella degli odierni imputati, era sposata con Alongi: il pretesto era stato l'abbaiare del cane  di Alongi nei confronti di uno dei Ferlito.

Gli avvocati della difesa, Rosalia Tutino, Giuliana Rodi e Luca Bonanno,  hanno fatto una ricostruzione del fatto dalla quale emergerebbe che l'Alongi all'inizio del diverbio,  avrebbe rotto una bottiglia e cercato di colpire Rosario Ferrito che sarebbe stato protetto dai familiari, e che Alongi sarebbe stato ferito successivamente nel corso della colluttazione.

Quindi uan difesa legittima da parte dei Ferrito cosneguente al gesto aggressivo di Alongi.

Ma non solo: la ferità non rivestiva un particolare gravità, tant'è che come documenta la difesa, il taglio era stato  suturato presso il P.T.E di Bagheria.

Fu al Policlinico dove Alongi fu successivamente ricoverato che al ferito, sempre secondo quanto sostiene la difesa, non sarebbero state prestate le cure del caso, e che quindi la morte Alongi non sarebbe da imputare alla  diretta conseguenza delle ferite riportate, ma piuttosto alla sottovalutazione della gravità delle stesse da parte dei sanitari.

I pubblici ministeri Sergio Demontis e Renza Ceschon hanno chiesto trenta anni per tutti e tre gli imputati, che da quel giorno stanno scontando la custodia cautelare in carcere.

Entro la fine del mese la sentenza.

Pozzi, cisterne e comunque serbatoi d'acqua: sono questi gli obiettivi su cui si sta sviluppando una vasta operazione dei Carabinieri del comando provinciale agli ordini del cap. Raucci, coadiuvati dai Vigili del fuoco, polizia  municipale e unità  di sommozzatori, e che si sta svolgendo dalla  mattinata di oggi in contrada Celso a Casteldaccia.

Su mandato della Procura della Repubblica di Palermo oltre un centinaio tra Carabinieri e Vigili del fuoco stanno setacciando 12- 13 lotti di terreno su cui insistono qualche decina di villette alla ricerca di tracce di Salvatore Colletta e Mariano Farina, i bambini scomparsi in quella località il 31 marzo del 1992.

Ma, come dicevamo, è una ricerca mirata che riguarda pozzi e cisterne e serbatori di acqua. Con potenti idrovore vengono svuotati i pozzi e i serbatoi d'acqua che poi vengono ispezionati dai sommozzatori.

E' stata l'insistenza delle famiglie, soprattutto dei Colletta, (anche perchè i Farina qualche anno dopo il drammatico evento si erano trasferiti in America) a fare riaprire il caso.

Nelle ultime settimane la testimonianza di una donna, secondo  la quale i bambini sarebbero stati uccisi e murati dentro un muro di cemento in costruzione, aveva di fatto riaperto il caso.

In un primo momento gli inquirenti avevano pensato, in base alle sia pure sommarie indicazioni della donna, che resti dei due ragazzini, uccisi pare per un piccolo sgarro fatto inconsapevolmente ai mafiosi della zona, si potessero trovare in contrada Lanzirotti a Bagheria.

I RIS nei giorni scorsi avevano effettuato dei rilievi su un  muro di recinzione della strada che da Incorvino sale verso il cosiddetto crocevia, al fine di verificarne la veridicità.

Oggi questa imponente operazione apre a nuovi e imprevedibili sviluppi sulla vicenda. Si torna a cercare proprio dove i ragazzini sono stati lasciati per l'ultima volta dall'ultimo testimone che li vide in vita e cioè l'amico che li accompagnò in motorino.

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Viene da pensare che qualcuno che al tempo ha taciuto, magari mosso da pietà per l'appello lanciato dai familiari dei ragazzini alla trasmissione Chi l'ha visto?, abbia riferito qualche indizio credibile che possa consentire di scrivere la parola fine su questa tristissima vicenda 

I numerosi vigili del fuoco sul posto stanno utilizzando dei martelli pneumatici con degli interventi che si presumono mirati,  svuotando anche, ove presenti, piscine, e stanno eseguendo sondaggi; le ricerche stanno interessando, come dicevamo, una dozzina di villette sulla S.S. 113, comprese tra  l'incrocio della statale con  via Pietro Nenni, detta del depuratore, e la biforcazione da cui si diramano lato monte una stradina che porta in contrada Cavallaro e un'altra che porta verso la spiaggia del fiume Milicia.

In questo momento continuano ad arrivare i proprietari delle ville che sono stati sollecitati a presentarsi per consentire le ricerche.

Sul luogo si sono anche recati i familiari dei due ragazzini Carmela La Spina e Katia Colletta, rispettivamente mamma e sorella di Salvatore, e il fratello di Farina.

"Spero che non trovino nulla" - è quanto ci dice la signora La Spina: "voglio continuare a pensare che mio figlio sia ancora vivo"

La Guardia di Finanza di Palermo ha sequestrato un’affermata società di autotrasporti e spedizioni palermitana, con unità locale anche nel trapanese, del valore di 4,7 milioni di euro, in esecuzione del provvedimento emesso dal Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione, su richiesta della Procura della Repubblica del capoluogo siciliano.

Interessato dal provvedimento, quale reale dominus della società in sequestro, un imprenditore di Palermo di 52 anni, Cesare Carmelo LUPO, attualmente detenuto, già condannato per associazione mafiosa e sorvegliato speciale di p.s., ritenuto fino al 2011 uno dei membri del quadrumvirato a capo del mandamento mafioso palermitano di Brancaccio. 

Titolare, solo formalmente, della società in sequestro, un prestanome incensurato di Palermo, di 51 anni, prescelto dai vertici dalla cosca – secondo le risultanze di indagine – per la gestione di redditizie attività commerciali.

Oltre che su solide fonti di prova, acquisite attraverso intercettazioni di conversazioni telefoniche ed ambientali, appostamenti, pedinamenti, propalazioni di collaboratori di giustizia, il provvedimento di sequestro è stato emesso tenendo anche conto della nettissima sproporzione tra le effettive disponibilità del prestanome e le sue fonti di reddito ufficiali, rilevata dai Finanzieri a conclusione di complesse indagini patrimoniali e finanziarie.

Il sequestro dei beni rappresenta, in particolare, lo sviluppo di altra importante operazione condotta dalla Guardia di Finanza di Palermo alla fine del 2011 (Operazione “Madre Natura”), che ha portato, anche grazie alle rilevazioni del collaboratore di giustizia Fabio TRANCHINA, al sequestro di un patrimonio, costituito da attività commerciali (distributori di carburante, bar e agenzie di scommesse), beni immobili (appartamenti, ville, negozi e terreni), automezzi e disponibilità finanziarie, del valore di oltre 32 milioni di euro, riferibili, per il tramite di numerosi prestanome e fiduciari, ai fratelli Filippo, Giuseppe e Benedetto GRAVIANO ed ai loro luogotenenti PIZZO Giorgio, LUPO Cesare Carmelo e FARAONE Giuseppe.
 

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