Cultura

 Un incidente in Corte D’Assise

Il processo ha inizio il 29 aprile 1886, terminerà il 14 maggio successivo quando saranno pronunciati il verdetto e le condanne. Abbiamo notizie delle singole udienze, sia attraverso la cronaca che ne fece il Giornale di Sicilia dell’epoca, sia per i resoconti, quasi quotidiani, che la questura inviava al prefetto. Questi ultimi non sono particolarmente ricchi di informazioni, essendo soprattutto interessati ad attestare il normale svolgersi del processo e l’eventuale verificarsi di incidenti. Uno di questi resoconti , per esempio, è descritto nel giorno della prima udienza: “La S.V.Illma è già informata che oggi, innanzi questa Corte di Assise Straordinaria, è cominciato il dibattimento del grosso processo di Bagheria che mette capo al mancato assassinio del Sindaco Cav. Scordato. Questi…all’una ½ pom. circa di oggi era fermo nella 1° sala…quando è stato fatto segno a gratuite provocazioni ed ingiurie. …si sono trovati a passare là vicino i fratelli Fricano, Michele, Rosario e Giuseppe di Bagheria, quest’ultimo sottotenente medico di complemento ora in servizio presso il 10° Reggto fanteria qui stanziato. … e di fatto il Michele si diè ad ingiuriare lo Scordato qualificandolo assassino, ladro e birro della questura, mentre il militare Giuseppe, portando la mano all’impugnatura della sciabola in contegno minaccioso verso Nicolò Scordato, figlio del sindaco, si dava ad affermare pubblicamente che questi avesse a bella posta simulato l’aggressione contro di sé nello intento di provocare il processo che ora si dibatte”. ( 1 )

Ritornano nel comportamento e nelle parole dei Fricano, ch’erano del partito contrario al sindaco, le accuse diffuse subito dopo l’eccidio. Ma, dopo di questo, non ci saranno più altri incidenti se non, come vedremo, alla fine del processo.

In gabbia tredici imputati

 Il primo articolo che il Giornale di Sicilia dedica al processo è del 30 aprile, cioè del giorno successivo al suo inizio. Vi si legge: “ L’udienza comincia alle 10.30, sono tutti a posto i tredici imputati, nella loro gabbia. Eccone i nomi: Nicolò Todaro d’anni 40; Ciro Belvedere d’anni 28; Giovanni Mineo d’anni 42; Pietro Greco d’anni 34; Mariano Gattuso d’anni 27; Giuseppe Enea d’anni 39; Giuseppe Giangrasso d’anni 43; Paolo Ragusa d’anni 30; Giuseppe Scaduto d’anni 54; Giuseppe D’Amaro d’anni 40; Alberto Ajello d’anni 39; Antonio Ticali d’anni 26; Salvatore Ticali d’anni 43. …Si dà lettura dell’atto d’accusa…Termina accusando Todaro e Belvedere come esecutori materiali, Mineo, Greco, Gattuso, Enea, Giangrasso, Ragusa come mandanti, Scaduto, D’Amaro, Aiello e i due Ticali come complici”.

Il complice zappava al manicomio

Nell’elenco compare per la prima volta il nome di Giuseppe D’amaro accusato d’essere complice. Perché? Il Sostituto Procuratore Generale Cav. Marsilio, durante la sua requisitoria, dirà: “…L’assassinio fu premeditato contro il sindaco cav. Scordato-e che il dire che esso venne tentato contro il Galeoto-è un pretesto. Questo si combinò tra i compagni dopo l’eccidio, per isviare le ricerche della giustizia”. ( 2 )
Ebbene, secondo l’accusa, la riunione durante la quale fu deciso di ingarbugliare la matassa, facendo sospettare che l’attentato fosse rivolto contro l’assessore si tenne a casa del D’Amaro. Che una riunione ci fosse stata, era venuto fuori da una confidenza tra galeotti: sarebbe stato infatti Antonio Ticali, uno dei complici dell’eccidio della fiaccolata, a parlarne a tale Calcedonio Cirafici in galera per assassinio. Quest’ultimo avrebbe poi passato la notizia all’autorità. Il Cirafici disse che il giorno della riunione era stato il 14 maggio cioè l’ultimo giorno della festa di San Giuseppe. Vediamo se i conti tornano.

Nicolò Todaro, il killer arrestato per primo, venne interrogato il 22 maggio. Già in quella occasione dunque avrebbe potuto raccontare la sua versione dei fatti. Allora però preferì negare ogni cosa. Durante l’interrogatorio successivo, non creduta la sua innocenza , raccontò la verità confezionata il 14 maggio. Ma davvero ci fu quella riunione in casa D’Amaro? A quest’ultimo forniranno un àlibi ben tre testimoni. “Guarino Giuseppe, di anni 40, impiegato al manicomio della Vignicella e Davì Baldassare giardiniere nel detto manicomio lo videro lavorare nel giardino l'ultimo giorno della festa di San Giuseppe, nel mese di maggio. …Toia Tommaso, carrettiere di Bagheria, vide Giuseppe D’Amaro lavorare sempre alla Vignicella nel mese di maggio per la festa di San Giuseppe e gli propose di andare insieme a Bagheria a godersi la festa, ma il D’Amaro rifiutossi”. ( 3 )

E, all’udienza dell’11 maggio, la nona, non troviamo l’avvocato Marinuzzi che difende Alberto Ajello, accusato anche lui di complicità, perché la riunione cui il D’Amaro ora si dice abbia semplicemente partecipato, si è svolta invece nella sua abitazione? Dimostrerà che “questa pretesa riunione è come quella delle streghe alla Noce di Benevento” ( 4 ), ovvero solo una leggenda. Il D’Amaro, comunque, non c’entrava nulla. A domanda del presidente della Corte risponde che, per andare a Bagheria, avrebbe dovuto chiedere ( ma non lo ha fatto ) il permesso della Direzione del Manicomio e l’avvocato Zummo, ch’era il suo difensore, dirà che il D’Amaro non aveva più casa a Bagheria da quando s’era trasferito, per lavoro, e già dal mese di aprile, al manicomio di Palermo; là vi starà almeno fino al mese di giugno. Giuseppe D’Amaro, alla fine del dibattimento, figurerà tra gli assolti.

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Le sevizie della questura

Anche Antonino Ticali, imputato come complice, avrà l’assoluzione. Particolarmente interessante appare il resoconto dell’interrogatorio affrontato in aula. “Dice che non può parlare forte, perché allora si risente dei tormenti subiti in questura. –Si-egli dice-alla questura dovrebbe darsi questo nome: macello di carne umana ( ilarità ). Non sapeva e non sa che esistesse alcuna associazione di malfattori a Bagheria.

Questo egli disse in questura. Ma invece là volevano costringerlo ad accusare gli altri e ad affermare cose non vere o che almeno egli non sapeva. Afferma che disse alla fine quanto volevano loro in seguito ai martirii di cui fu vittima. Ma non vi ha nulla di vero. …Il Ticali narra del fatto della fiaccolata a cui assistette da semplice spettatore come tutta la cittadinanza di Bagheria. E’ innocente di tutto e non comprende come il Gattuso lo abbia con infamia calunniato, lui un povero padre di otto figli. Dopo un battibecco tra Gattuso e Ticali, nel quale quest’ultimo dice al Gattuso che le di lui sorelle hanno cento mariti, il Ticali siede”. ( 5 )

Bocca cucita

E anche Alberto Ajello, capomafia e complice, curatolo del principe Lanza Tedeschi, sarà assolto. Dal dialogo col presidente della Corte riportiamo:
“Pres. Fate parte dell’associazione segreta dei Fratuzzi?
Imp. Si, ma non posso parlare.
Pres. Ma perché? Vi lega forse qualche giuramento segreto?
Imp. Non posso dire nulla”. ( 6 )

Narduzza e il capo mafia

Anche Giuseppe Scaduto verrà assolto e l’unico ad essere condannato, tra quelli giudicati come complici, sarà Salvatore Ticali “dichiarato complice non necessario senza l’aggravamento dello agguato e della premeditazione e col beneficio delle attenuanti”. ( 7 ) Con tutto questo, tuttavia, avrà 10 anni di reclusione.

Non fu difficile per la difesa di Giovanni Mineo, indicato come capo mafia e organizzatore dell’attentato per fare un piacere a don Pietro Greco, ottenerne l’assoluzione. Egli poteva vantare un buon rapporto con il sindaco e aveva un alibi confermato da diversi testimoni. Verrà interrogato già durante la seconda udienza, il 30 aprile 1883. Dirà di essere molto riconoscente nei confronti del sindaco che, abitando a lui di fronte, “corse ad aiutarlo una sera che si incendiò la sua casa e salvò lui e la sua famiglia”. Parlerà “ anche del favore fattogli dal Sindaco nel fargli avere i mandati di restituzione dei denari delle tre rate pagate da lui indebitamente per la figlia ricoverata nel collegio Giusino”. ( 8 )

Ma come, il sindaco da buon vicino lo soccorre e gli mantiene a spese del Comune una figlia in collegio, e il Mineo organizza contro di lui un attentato? Il sindaco, peraltro, interrogato dopo qualche giorno, durante l’ udienza successiva del cinque maggio ( la quinta ), confermerà le due circostanze dichiarando, inoltre, “di non avere mai avuto nemici personali” ( 9 ) E l’alibi del Mineo? “Un tale Cerniglia afferma che il Mineo una, o 2 ore prima della fiaccolata recossi da lui per pagargli lire 40”. ( 10 ) Il resto della giornata poi lo aveva passato, e ne aveva i testimoni, “in giro per affari riguardanti il matrimonio di Michele Mineo con certa Narduzza”. ( 11 )

Come erano andate le cose e chi era questa ragazza? Giovanni Mineo “due giorni prima del fatto della fiaccolata, lavorava nella proprietà del marchese di S. Isidoro-quando venne Michele Mineo e lo pregò di raccomandarlo pel suo matrimonio con Narduzza. La mattina del fatto, dopo aver parlato col padre della ragazza…ma sul tardi si rifece in paese per riparlare del matrimonio che gli avevano amichevolmente raccomandato. Narra del va e vieni da lui fatto tutta la sera per l’affare del matrimonio…e soggiunge che soltanto l’indomani seppe delle fucilate . …L’imputato ripete che non sa altro, che è innocente come la bedda Madre Addolorata”. ( 12 )

Quanto detto dall’imputato verrà confermato dal padre della ragazza, Onofrio Sciortino, di anni 59, castaldo di Bagheria e da Caterina Sciortino, di anni 28, di lei sorella. Sappiamo ora chi è Narduzza, e il pretendente, quel Michele Mineo, è forse un parente di Giovanni? Sta di fatto che quest’ultimo, andando in giro a sistemare matrimoni, pare un personaggio da commedia martogliana; Doveva comunque essere uomo di qualche spessore o ambizione se teneva la figlia, anche se a spese del Comune, e probabilmente per la sua vicinanza ( attraverso il marchese di S. Isidoro ) alla nobiltà, in un collegio prestigioso . ( 13 ) Di lui sappiamo inoltre quello che dichiarò il capoguardiano delle Carceri di Palermo e cioè che “Mineo diede segni di pazzia nelle grandi prigioni, gli fu messa la camicia di forza e si calmò”. ( 14 )

Note.

1. ASP, Gabinetto prefettura, Busta 100, Fascicolo 116, 1887, lettera del Questore al Prefetto del 29 aprile 1886.
2.Giornale di Sicilia, 12 maggio 1886.
3.Giornale di Sicilia, 9 maggio 1886.
4.Giornale di Sicilia, 13 maggio 1886.
5.Giornale di Sicilia, 2 maggio 1886.
6.Ivi.

7.Giornale di Sicilia, 15 maggio 1886.
8.Giornale di Sicilia, 1 maggio 1886.
9.Giornale di Sicilia, 7 maggio 1886.
10.ASP,Gabinetto prefettura, cit., lettera del Questore al Prefetto del 6 maggio 1886.
11.Ivi, lettera del Questore al Prefetto del 30 aprile 1886.
12.Giornale di Sicilia, 1 maggio 1886.
13.Una delle scuole più esclusive era diventato quel convitto femminile “Maria Giusino” ch’era stato fondato dalla signora Giuseppa Tetamo Giusino nel 1808 e che, dopo successive trasfomazioni divenne verso la fine del secolo XIX, la scuola di tante nobili e ricche donzelle del capoluogo dell’isola. Cfr.S.A. Costa, La scuola e la grande scala, Sellerio editore Palermo, 1990, p. 723.
14.ASP,Gabinetto prefettura, cit., lettera del Questore al Prefetto del 6 maggio 1886.

Continua…

Gennaio 2015 Biagio Napoli

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In Italia sembra tutto scritto. Ognuno ha la sua parte all’interno di un film infinito. Giovani speranzosi di poter cambiare questa nazione, giovani che non hanno nessun interesse, giovani che sopravvivono, con la convinzione che non cambierà niente.

Adulti che hanno la fortuna di poter tirare avanti con uno stipendio statale, adulti che entrano in politica per ottenere più soldi possibili dallo stato, adulti benestanti che si fanno i fatti loro, adulti che provano a cambiare le cose. 

Ma il risultato è sempre quello: quella terribile sensazione di equilibrio. Quell’infame equilibrio che fa sopravvivere chi non è ricco. Quell’equilibrio che fa gestire la società in maniera sgangherata a chi possiede soldi e potere. Quel terribile equilibrio che zittisce chi può ancora mangiare.

Tutto è basato sui soldi. Sui beni e sui servizi. Ovvio… nel momento in cui mancano, e nel momento in cui si vedono persone che vivono nel lusso, si fa il paragone tra le due situazioni, ed il gioco è fatto. Si desidera continuamente il denaro. Forse i soldi non fanno la felicità, ma sicuramente la mancanza di soldi fa l’infelicità. Ed in questa situazione, per esclusione, la felicità corrisponderà a possedere un buon capitale.

Quella terribile sensazione di equilibrio è un gioco perverso che porta a pensare che non cambierà mai niente, che sarà sempre così, che bisogna accontentarsi.

È un equilibrio che porta ad una sempre più ristretta minoranza chi vuole cambiare le cose, e fa aumentare sempre più il gruppo di persone che sono integrate nel sistema. Sia i poveri che i ricchi non vogliono che le cose cambino e si integrano perfettamente in una società che è ormai fondata sui beni materiali. Chi vive al limite della sopravvivenza difficilmente può perseguire degli ideali, base di un possibile cambiamento. Chi ha i soldi non ha bisogno del cambiamento. Chi vorrà cambiare le cose dovrà combattere contro chi non vuole. E quest’ultimi, grazie a questo terribile equilibrio, sono sempre di più, e sempre più potenti. I ricchi hanno il potere di gestire la società, e i poveri hanno il potere di mantenerla stabile, accontentandosi di ciò che i ricchi gli propongono.

Spero che qualcosa spezzerà tutto ciò, ma questa situazione sembra rafforzarsi ogni giorno che passa. Ed all’interno del motto comune “non possiamo lamentarci…” vivo giornalmente quella terribile sensazione di equilibrio.

Giampiero Carollo

foto tratta dal web
 

La bellezza in solitario appaga il cuore solo a metà. Si vorrebbe condividerla subito, si tratti di una sonata di Beethoven o della lettura integrale della Divina Commedia. Poi ci sono quegli approdi che presuppongono uno sforzo maggiore: la scalata di una montagna così come la soluzione di un difficile rebus. Tanti di noi, tra questi, hanno posto anche le scienze esatte, affascinanti, ma difficili da raggiungere come vette inaccessibili. 

Probabilmente anche per vincere qualche diffuso pregiudizio, oltre che per provare a condividere la bellezza di certi approdi, il fisico teorico Carlo Rovelli, responsabile del centro di Fisica Teorica di Marsiglia, regala ai lettori, Sette brevi lezioni di fisica, Piccola Biblioteca Adelphi, 90 pp.10 euro. Comincia con Einstein e la sua teoria della relatività con un approccio letterario degno del più consumato dei romanzieri. 

Sentite un po’: “Da ragazzo Albert Einstein ha trascorso un anno a bighellonare oziosamente. Se non si perde tempo non si arriva da nessuna parte, cosa che i genitori degli adolescenti di oggi purtroppo dimenticano spesso (…) leggeva Kant e seguiva a tempo perso le lezioni all’Università di Pavia: per divertimento senza essere iscritto né fare esami. E’ così che si diventa scienziati sul serio”.

Come si fa a non rimanerne affascinati? I non addetti ai lavori, ideali destinatari di questo piccolo gioiello, tra cui i tanti timorosi amanti delle belle lettere, si trovano travolti da questa bellezza cosmica e si rendono conto di essere rimasti indietro di qualche centinaio d’anni sulla comprensione dell’Universo.

Ebbene, tenetevi forte: Newton e la sua teoria della Gravitazione Universale sono, infatti, belli e superati da un secolo buono e in questo momento storico due diverse, e per ora inconciliabili, teorie si contendono la chiave dell’Universo: la Relatività di Einstein e la teoria dei Quanti. La terra e gli altri pianeti non girano attorno al sole perché attratti da una misteriosa forza di gravità, ma perché lo spazio si incurva. E’ come se il sole fosse sprofondato in una rete molle e tutti i pianeti “costretti” in un’ orbita dallo spazio ricurvo.

E poi ancora: la fisica delle particelle, la probabilità, il tempo, che passa più veloce in montagna che al mare, i buchi neri. Rovelli, ci prende per mano e ci fa vedere una realtà nuova e incredibile, con un linguaggio semplice ed affascinante. Abbiamo la sensazione di avere spostato un po’ più in là l’asticella della nostra ignoranza e di aver preso coscienza che “la nostra immagine intuitiva del mondo è parziale, parrocchiale, inadeguata”.

Uno straordinario viaggio in cui si resta strabiliati dalla bellezza che ci sovrasta e che ci sfugge. E anche in questa grande sorpresa, quasi prefigurando il nostro smarrimento, Rovelli ci accompagna con parole piene di poesia. “La natura è la nostra casa e nella natura siamo a casa. Questo mondo strano, variopinto e stupefacente che esploriamo, dove lo spazio si sgrana, il tempo non esiste, e le cose possono non essere in alcun luogo, non è qualcosa che ci allontana da noi (…) Qui, sul bordo di quello che sappiamo a contatto dell’oceano di quanto non sappiamo brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato”.

Meraviglioso!

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Maria Luisa Florio
 

Giovedì 18 dicembre alle ore 18.00 nella sala Borremans di palazzo Butera, verrà presentato il libro di Giusi Buttitta, "Milleparole circa sull'assenza", editore Ottavio Navarra.

Interverranno con l'autrice, Ottavio Navarra, Maurizio Padovano e Davide Camarrone. Modera Angelo Gargano

Dieci frammenti, dieci derive, dieci precipizi, dieci soggetti isolati, circondati dal vuoto, sgomenti di fronte alle declinazioni della normalità; dieci
personaggi fuori fuoco.
Dieci storie ed un unico protagonista: l’assenza.
Dieci racconti, ciascuno di mille parole circa, che narrano il reale attraverso lo sguardo di dieci soggetti atterriti dalle sfaccettature della consuetudine.

Può un viaggio che dalla Cina catapulta una donna in Italia cambiarle la vita?   Può l'ossessione di un tradimento portare un marito a devastare sua moglie?  Può una vita costruita sul demone degli “elenchi del fare”, o quella che incatena una donna al cerimoniale di un ti amo vuoto, spiegare scelte estreme?

È innegabile che ognuna di queste storie nasconda un malessere. La conclusione è una presa di coscienza che porta i personaggi a scelte prive di ribellione, protese verso una ricomposizione i n t e r i o r e c h e p a s s a a t t r a v e r s o l’annientamento.

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Giusi Buttitta, bagherese, da anni collabora con periodici locali, cartacei e on line, ed è una delle presenze, dal punto di vista giornalistico e narrativo, tra le più interessanti e promettenti del nostro territorio. Per Lei "Milleparolecircasull'assenza" è la prima vera fatica letteraria organica, sviluppata secondo la formula del racconto breve, portata avanti lungo due versanti paralleli, l'introspezione acuta e talora impietosa dentro se stessa e lo sguardo 'fuori' pronta a cogliere alcuni dei fenomeni più complessi della società contemporanea.

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