Paolo Pintacuda, la scrittura e il cinema - di Giusy Buttitta

Paolo Pintacuda, la scrittura e il cinema - di Giusy Buttitta

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Parliamo di cinema. Introduciamo qualche elemento. “Il terzo uomo” è uno straordinario noir inglese del 1949, girato in uno splendido bianco e nero, regia di Carol Reed, e vincitore del Grand Prix per il miglior film al 3° Festival del Cinema di Cannes.

La sceneggiatura fu firmata dallo scrittore Graham Greene il quale, in preparazione della stessa, scrisse una novella dal medesimo titolo pubblicata l'anno dopo l'uscita della pellicola, nel 1950. Tra gli attori Orson Welles (Harry Lime il suo personaggio), che durante il film pronuncia questa frase: “Sai che diceva quel tale? In Italia, sotto i Borgia, per trent'anni hanno avuto assassini, guerre, terrore e massacri e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e di democrazia e cosa hanno prodotto? Gli orologi a cucù”. Pare che la frase sia stata inserita nel copione dallo stesso Welles.

Abbiamo seminato qua e là qualche elemento per tracciare una strada, per lanciarci in uno spericolato parallelismo, per ricostruire un puzzle che richiami alla mente una realtà che ci è molto vicina: la nostra, Bagheria.

Bagheria e il cinema, Bagheria e la scrittura, Bagheria e l’arte. Perché osservi Bagheria, la studi, l’annusi, ti ci inabissi dentro e non comprendi perché Guttuso, perché Tornatore, perché Buttitta, perché Scianna, perché i giovani che stanno venendo fuori. Perché tutto questo nel caos estremo di Bagheria, nel suo vuoto disperato, mentre alla Svizzera, per antonomasia precisa come un orologio, sono toccati gli orologi a cucù? Forse perché l’arte nasce dal conflitto, a cominciare da quello interiore, forse perché l’arte è travaglio e disperazione, forse perché la puntualità di per sé non è arte; rimane il fatto che il contrasto tra storia, decadimento, discariche a cielo aperto rappresentano un laboratorio di gran lunga più producente delle verdi montagne elvetiche.

Questa è stata la mia riflessione mentre davo un’occhiata alle tracce biografiche, partendo dagli elementi più recenti, di Paolo Pintacuda e dopo aver letto in anteprima la sua ultima opera.

Con Paolo Pintacuda la storia del legame tra Bagheria e il cinema scrive un’altra pagina, su quanto significativa ne riparleremo in futuro, io intanto scrivo questo pezzo per poter dire tra qualche anno: “Io, l’avevo detto.”. Paolo Pintacuda è un “giovane” (aggettivo particolarmente inviso all’interessato) sceneggiatore bagherese, intendendo per giovane, soprattutto in campo artistico, chiunque stia sotto i quaranta (lui è del 1974).

L’Italia, si sa, “è un paese per vecchi” quindi a trentasei anni si è a buon titolo giovani, nel senso di coloro che hanno ancora tutta una storia da scrivere, soprattutto quando si ha l’ambizione di lavorare nel cinema con l’aspirazione di fare del cinema d’autore. Cinematograficamente giovane, ma già con un background da fare invidia. Non vogliamo sgranare il rosario di tutta la sua produzione, non è necessario, per lui parlano i tre premi vinti alle prime tre edizioni del Film Festival di Busto Arsizio, premi assegnati da una giuria composta da nomi illustri del cinema italiano come Lizzani, Scarpelli, Cecchi D’Amico, Piccioni. Premiato mentre in platea sedevano nomi come Rambaldi (il papà di “E.T.”) e Francis Ford Coppola (“Apocalypse Now”, “Il Padrino”; insomma, la storia del cinema), questo basta a delineare i contorni e a chiarire gli ambiti del prestigio che tali riconoscimenti hanno significato.

Tutto nasce da due grandi passioni di Pintacuda, la scrittura e il cinema. Raccontare storie attraverso le immagini ed attraverso le parole. Il cinema, in particolare, per Pintacuda rappresenta una sorta di osservatorio privilegiato dal quale lanciare i primi sguardi sul mondo, lui figlio di Mimmo grande fotografo e proiezionista al mitico Cinema Nazionale - nonché figura che ispirò l’Alfredo di “Nuovo Cinema Paradiso” a Tornatore.

Paolo cresce a pane e cinema, vedendolo e rivedendolo, dalla sala, tra gli spettatori, e poi dalla cabina di proiezione, tra lo stupore e l’incanto per quella straordinaria macchina generatrice di sogni e racconti, una macchina chiamata cinema. È lì che si gettano le basi dello sceneggiatore di oggi, le basi di una passione che non è mestiere, ma è qualcosa che ti scorre nelle vene, tra i globuli rossi e i globuli bianchi si fanno largo i globuli del cinema.

Curioso come quella sala cinematografica, quel Nazionale ormai entrato nella mitologia e in qualche modo nella storia del cinema, sia stata la location involontaria di artisti che lì hanno cominciato e continuato ad immaginare cinema, una sorta di ventre dentro il quale mentre il cinema del momento veniva proiettato quello del futuro veniva ipotizzato, inseguito, sognato. Un vero peccato che quella sala non ci sia più, sarebbe stato uno splendido museo della memoria. Ma i bagheresi siamo fatti così, amiamo fare tabula rasa.

Ma Pintacuda non è solo autore di numerose sceneggiature, è anche scrittore di romanzi (“L’uomo tra la folla”), racconti, saggi, perché la scrittura a volte, è un’esperienza dai confini labili, non sempre recintabili.

Di Paolo Pintacuda, come dicevo, ho avuto la possibilità di leggere l’ultimo suo lavoro, “Scuru”, una sceneggiatura che speriamo diventi al più presto un film (soggetto suo e di Vincenzo Tripodo, nome che sempre più si sta facendo strada negli ambienti teatrali e cinematografici d’oltreoceano).

Il progetto è ben avviato (ha recentemente ottenuto il finanziamento dal Dipartimento Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali) e i contatti lasciano ben sperare. Dalla lettura della sceneggiatura emerge la prospettiva di un grande film, è chiaro che - in questo caso - il lettore si deve fidare di chi scrive, non un critico, ma un’appassionata, e da innamorata del cinema vi posso garantire che “Scuru” è una grande storia. Per ovvi motivi non mi posso lasciare andare ad anticipazioni, né far trapelare i contenuti della storia, mi limito a consigliarvi di prendere l’agenda e di appuntarvi questo titolo: “Scuru”; e questo nome: Paolo Pintacuda.

Tra un po’ di tempo ne riparleremo e vi anticipo già come inizierà il mio pezzo: “Io l’avevo detto, anzi, io ve l’avevo detto.”