Non solo cibo - di Maria Luisa Florio

Non solo cibo - di Maria Luisa Florio

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Il cibo da sempre contraddistingue un popolo e la sua cultura. Si lega al tempo e alle sue stagioni, all’ubicazione di una località, ai suoi usi, costumi e tradizioni.

Tutto scontato, direte voi, se non sopraggiungesse un fattore estraniante come può essere quello dell’emigrazione, che nella nostra terra è ormai endemico da secoli, a far acquisire al cibo anche il valore forte dell’appartenenza e dunque dell’identità.

Ruota tutto su questo concetto il bel libro del fotografo Ferdinando Scianna, (Ti mangio con gli occhi, ed. Contrasto, 2013) sul cibo come fattore di identità e sul ruolo fondamentale che ha avuto, e che ha, nella sua memoria e, di riflesso, anche nella nostra.


Ce lo dice lo stesso autore, all’inizio del suo lavoro, per fugare ogni dubbio.

Non un libro sulla cucina o di cucina, ma di storie, e piatti, che fanno parte del suo vissuto. Un excursus sulla vita contadina di una Sicilia anni cinquanta con i suoi riti culinari, il ciclo stagionale dei sapori, la campagna assolata, gli agrumi, e poi la ricotta, i cannoli, i gelsi neri, le panelle.

Quei sapori che ci consentono di non perdere la nostra vera essenza anche stando lontani, immersi nel ritmo frenetico e globalizzante di una società che tende all’omologazione, anche culturale. Il cibo, ma non solo, ci permette, dunque, di non smarrire il filo della nostra appartenenza anche se, si vive al di là del globo, e si salta qualche generazione.

Come nel caso dei genitori del regista Scorsese che hanno continuato, a New York, a preparare l’estratto di pomodoro nel roof o del simpatico marsigliese Ferrante che ha istituito, sulla costa francese, un improbabile Stato Libbiru di Sicilia con tanto di documentazione e statuto, come ci racconta, con fine ironia, Scianna nel suo libro.

E poi ci sono i cibi di strada ritrovati in altri sud del mondo o le varianti a qualche nostra pietanza, riscoperte nel bacino di un mediterraneo, ancora una volta, gastronomico mare nostrum.

Ma ogni identità ha il suo limite e per sperimentare il proprio, Scianna giungerà fino a Kuala Lumpur e lo troverà, niente meno, che nella zuppa di rospo che non è riuscito neanche ad assaggiare, malgrado gli inviti da parte degli estasiati commensali.

Una curiosità intellettuale e artistica che lo porta fino ai confini del mondo dove non disdegna qualche assaggio azzardato, almeno per noi.

Nulla di strano, infatti, per il coccodrillo e del suo sapore a metà strada tra pollo e pesce così come del retrogusto limaccioso dei piranas arrostiti.

Ma mangiare quello che mangiano gli altri serve anche, e soprattutto, a capirli meglio, ci suggerisce l’autore.

Non dimenticando, però, di coltivare la nostra essenza più profonda quasi fino alla mania vera e propria. Certe paturnie, infatti, non hanno confini. Se sei siciliano. e vivi fuori. potrai soffrire, ad esempio, di paranoie da mancanza di finocchietto di montagna (ne è affetto lo stesso autore che scrive “Se uno non può prepararsi un piatto di pasta con le sarde degno, che campa a fare?).

Infine Scianna ci regala anche qualche curiosità eno-letteraria come quella degli asparagi selvatici e Sciascia.

altCosì scrive, infatti, del grande autore di Racalmuto: A Milano gli chiesi: “Ma perché non si ferma ancora qualche giorno? Scherzi? Mi disse- Questa è la settimana che in campagna si cominciano a trovare gli asparagi selvatici!”

C’è anche molto altro nei cinquantadue racconti brevi di Scianna conditi con la maestria e la luce delle sue splendide fotografie che rivelano e corredano un lavoro apprezzabile e originale (che forse, però, avrebbe meritato una veste grafica un po’ più accattivante). 

Un libro da leggere e da gustare con un pizzico di nostalgia e magari, perché no? Una fetta di cassata siciliana a lato o una granita di gelsi neri. 

Fate voi.

Maria Luisa Florio
 

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