Sulla rivista 'Science' un articolo del giovane sismologo bagherese Francesco Grigoli

Sulla rivista 'Science' un articolo del giovane sismologo bagherese Francesco Grigoli

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Francesco Grigoli, giovane geofisico bagherese ormai ricercatore presso il prestigioso Politecnico Federale di Zurigo (ETH), ha recentemente pubblicato un articolo dal titolo ‘Il terremoto di Pohang: un possibile caso di sismicità indotta in Corea del Sud’, per l’autorevole rivista scientifica Science.

Può raccontare brevemente di cosa si occupa e qual è la ricerca che sta alla base dell'articolo pubblicato?
Sono un sismologo e mi occupo dello sviluppo di metodi avanzati per l’analisi dei dati sismici. Mi occupo anche dello studio della sismicità indotta, ovvero degli eventi sismici generati direttamente o indirettamente dalle attività antropiche. L’articolo recentemente pubblicato su Science mette in luce una potenziale relazione tra il devastante terremoto di magnitudo 5.5 che ha colpito la Corea del Sud il 15 novembre 2017 e le operazioni di sfruttamento dell’energia geotermica effettuate in prossimità della zona epicentrale. Se ciò fosse confermato, avremmo a che fare con il più forte terremoto associato allo sfruttamento dell’energia geotermica di cui si abbia mai avuto notizia.
Qual è stato il suo percorso professionale?
Ho frequentato il Liceo Classico “F. Scaduto” di Bagheria. Al liceo studiavo poco ed ero praticamente l’asino della classe, sono riuscito a diplomarmi per il rotto della cuffia. Durante il periodo universitario, invece, mi sono impegnato molto nello studio, laureandomi con lode sia alla triennale che alla specialistica. Il mio percorso accademico inizia a Palermo con una laurea in Geoscienze, passa per Pisa con una laurea Specialistica in Geofisica, e termina a Potsdam, in Germania, con un dottorato (sempre in Geofisica).
Si dice spesso che la fortuna di una persona sia un’altra persona, nel mio caso le persone sono due: il Prof. Dario Luzio che mi ha trasmesso la passione per la Sismologia durante la laurea triennale e il Dott. Simone Cesca che mi ha seguito durante il dottorato. Il mio “successo” professionale lo devo a loro.
Perché ha deciso di trasferirsi in Svizzera?
Dopo il dottorato sono rimasto per qualche anno in Germania, continuando a lavorare come ricercatore presso lo stesso istituto dove avevo conseguito il dottorato, l’Università di Potsdam. Tuttavia la nostalgia dell’Italia cominciava a farsi sentire e, dopo aver vinto un concorso come ricercatore presso l’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale (OGS) di Trieste, io e mia moglie (all’epoca in dolce attesa) abbiamo preso la decisione di ritornare. La nostra esperienza triestina è stata però di breve durata, giusto il tempo necessario di far nascere il piccolo Federico. Infatti, a distanza di qualche mese, ho ricevuto un’offerta di lavoro da parte del prestigioso Politecnico Federale di Zurigo (ETH). L’ETH è uno dei centri di ricerca accademici più importanti al mondo, un posto dove si fa ricerca di altissimo livello. E’ inutile dire che ho accettato senza esitazione, occasioni del genere si presentano poche volte nella vita. Il fatto che sia molto più facile raggiungere Palermo da Zurigo che da Trieste ha anche aiutato nella scelta.
Quali sono (da un punto di vista esclusivamente legato al suo ambito lavorativo) le prospettive che Palermo e, più in generale, la Sicilia offre?
In Sicilia non mancano certamente terremoti e vulcani, quindi, in linea di principio, ci sarebbe tanto spazio all’interno delle varie università dell’Isola per fare ricerca scientifica su questi temi. La realtà è però abbastanza amara, l’Italia non investe seriamente in ricerca da anni e le università, soprattutto al Sud, sono ridotte all’osso. Mancando i fondi necessari per sostituire i professori che vanno in pensione o per assumere nuovi ricercatori. Non mi sembra che, al momento, ci siano delle prospettive concrete per me.
Le manca qualcosa di Bagheria? Se si, cosa?
Durante il nostro periodo a Trieste, io e mia moglie (anche lei di Bagheria) abbiamo realizzato che quello che ci mancava veramente non era l’Italia di per sé, ma proprio la Sicilia. Mi mancano molto i miei familiari e i miei amici, mi manca il clima siciliano che ti sorprende con giornate primaverili anche in pieno inverno, mi manca la possibilità di poter osservare il MIO mare quando voglio. Ma la cosa che mi manca di più è quella varietà di colori che la Sicilia è in grado di offrire. Uno spettro così ampio di colori l'ho visto solo in Giappone, e forse è questo il motivo per cui questo paese è per me quasi come una seconda casa (ci vado quasi ogni anno), quando non posso andare in Sicilia vado in Giappone e quando non posso andare in Giappone vado in Sicilia.
Come immagina la sua vita nei prossimi dieci anni?
E’ molto difficile rispondere a questa domanda, troppe variabili influenzano il futuro di una persona. Pero’ se mi si chiedesse “dove vorresti essere tra dieci anni?” risponderei che vorrei poter continuare a fare quello che faccio in Sicilia (possibilmente a Palermo), e contribuire attivamente alla formazione delle nuove generazioni di sismologi.
Cosa consiglierebbe ad un giovane siciliano laureato in geofisica o in Facoltà Scientifiche?
So bene che andare via di casa non è mai una scelta facile, ma fare una esperienza all’estero è fondamentale per un giovane che vuole intraprendere una carriera scientifica. Oltre ad essere un indubbio arricchimento culturale, un periodo all’estero permette di inspessire sensibilmente il curriculum e di raggiungere una maggiore maturità scientifica, soprattutto se si lavora in dei centri di eccellenza. Il mio consiglio spassionato è quindi quello di andare via per qualche anno (per un dottorato e uno o due post-doc) per poi ritornare (se possibile) con un bagaglio scientifico molto più ampio.

L’articolo pubblicato su Science (in inglese) è reperibile al seguente link: https://doi.org/10.1126/science.aat2010

Un breve riassunto dello studio (in italiano) è invece disponibile a questo link:
http://www.saperescienza.it/rubriche/l-opinione-di/risorse-geotermiche-e-terremoto-di-pohang-in-corea-del-sud-c-e-un-legame

Intervista di Stefania Morreale

 

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