Cronaca

Il suicidio di Giuseppe Sciortino, il piccolo imprenditore edile che si era tolta la vita lo scorso mese di marzo, aveva suscitato una enorme impressione a Bagheria per la notorietà del personaggio, per la sua dedizione al lavoro, per la professionalità con cui la esercitava; ma lì per lì le notizie che filtrarono parlarono di un uomo sull'orlo del fallimento per i troppi debiti che aveva accumulato.

Una morte, quella di Sciortino, che lasciò nello sconforto i familiari e nello sgomento non solo i tanti amici e conoscenti ma una intera comunità. I suoi funerali furono seguiti da migliaia di persone che vollero testimoniare con la loro presenza il rispetto e la considerazione per una persona che del lavoro aveva fatto la sua fede e la sua ragione di vita.

Sembrava quindi una storia come tante oggi in Italia, di un imprenditore in difficoltà che non ce la fa ad andare avanti e preferisce chiudere con la vita.

In realtà però nel caso di Sciortino le difficoltà economiche derivavano anche da una terribile pressione cui lo sottoponevano gli esattori del pizzo che gli chiedevano continuamente soldi.

Un mese dopo la scomparsa, Sciortino venne ricordato con una commovente cerimonia promossa da Casartigiani svoltasi nell'aula consiliare, ed in cui gli fu intitolato un Consorzio di costruzioni che lo aveva visto tra i fondatori.

Poi, nelle settimane successive al dramma,  tra mezze parole e allusioni cominciò a venir fuori la verità o meglio una parte della verità: Giuseppe Sciortino subiva taglieggiamenti e  richieste di pizzo da parte degli uomini di cosa nostra bagherese.

Qualche mese prima di togliersi la vita era stato interrogato lui come tanti altri dagli inquirenti e dai carabinieri che gli avevano chiesto se e quali richieste estortive avesse ricevuto: pare, e parliamo necessariamente al condizionale, che Sciortino in un primo momento si sarebbe trincerato dietro i non ricordo, ma quando gli sono stati fatte ascoltare le intercettazioni ambientali che contenevano riferimenti precisi e documentati aveva ceduto, ed aveva confermato di essere bersaglio del pizzo da parte della mafia.

 Gli episodi venuti a galla durante le indagini e le dichiarazioni fornite dal collaboratore di giustizia Sergio Flamia, lo descrivono più volte a scontrarsi a muso duro con gli esattori del pizzo del mandamento di Bagheria, che lo avevano preso di mira dopo alcuni lavori che aveva effettuato nel comprensorio: il tentativo da parte dei boss era quello di imporre a Sciortino una ditta di movimento terra vicina a Cosa nostra e controllata da Giuseppe Di Fiore - reggente del mandamento -, rispetto ad un'altra.

Nel dettaglio, Sciortino aveva dichiarato di essere stato vittima di tentativo di estorsione agli inizi del 2011, in relazione alla conduzione di un cantiere a Santa Flavia. Successivamente, le minacce sarebbero arrivate da Salvatore Lauricella in merito ad un altro cantiere per la costruzione di unità abitative a Villabate, ma anche da Pietro Flamia, soprannominato "il porco" che nel 2013 avrebbe voluto imporgli un'altra ditta legata alla cosca, sempre per il movimento terra. Ma non solo, per quegli stessi lavori, l'imprenditore raccontò che Flamia gli aveva chiesto quindicimila euro.

"Ero consapevole che si trattava di estorsione - disse ai carabinieri Sciortino - e sapevo pure di non avere alcun debito nei suoi confronti. Mi precisò che 'c'erano nuove disposizioni' e che qualunque lavoro avrei dovuto realizzare da quel momento in poi, dovevo rivolgermi a lui, specificando che mi avrebbe dato indicazioni sui fornitori, e su tutte le ditte che avrei dovuto contattare nel proseguo dei lavori". Fu soltanto uno dei tanti incontri coi boss.

Una delle tappe del calvario durante il quale Sciortino subì numerosi danneggiamenti ai cantieri, compresi alcuni colpi d'arma da fuoco sparati alle saracinesche del suo magazzino, i danni alla propria auto e gli atti incendiari nel magazzino al piano terra della palazzina via Carlo Alberto dalla Chiesa a Bagheria, dove abitava.

Giuseppe Sciortino, come avevano notato familiarie conoscenti  aveva perso la serenità ed il suo umore era cambiato sino ad arrivare al gesto drammativo e irreversibile.

La conferma è venuta nella conferenza stampa di oggi da parte del procuratore aggiunto Leonardo Agueci che ha detto testualmente: "Sciortino  ha coraggiosamente denunciato i suoi estortori che lo avevano portato alla rovina economica. Poi, sommerso dai debiti, si è suicidato".

 

Foto di copertina da sinistra verso destra : Nicolò Greco, Carlo Guttadauro, Giuseppe Di Fiore

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 Raspanti Francesco        Nasta Carmelo           Pretesti Francesco     Rizzo Giovan Battista      Ribaudo Paolo

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Modica Michele            Lombardo Andrea        Grana Leonardo         Maccarrone Vincenzo     Messicati Vitale Fabio

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Flamia Giovanni Pietro,    Lo Coco Pietro           Buglisi Salvatore        Speciale Francesco       Romano Giovanni 

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La Rosa Giovanni          Di Salvo Giovanni           Terranova Francesco     Lo Piparo Salvatore         Lipari Nicolò

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Comparetto Giuseppe       Li Volsi Michele        Militello Bartolomeo      Pipia Francesco          Cecala Emanuele

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Leonforte Atanasio          Morsicato Benito      Provenzano Giorgio

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VAI AL VIDEO CON LE INTERCETTAZIONI AMBIENTALI: https://www.youtube.com/watch?v=vD0jpv2MIOk

L’ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE :IL MANDAMENTO DI BAGHERIA

L'elenco degli arrestati

 GRECO Nicolò, detto Nicola, nato a Bagheria (PA) il 16.06.1942, ivi residente – Reggente del Mandamento di Bagheria – REGGENTE DEL MANDAMENTO DI BAGHERIA;
     

 DI FIORE Giuseppe, nato a Bagheria (PA) il 25.06.1949, ivi residente – REGGENTE OPERATIVO DEL MANDAMENTO DI BAGHERIA;

GUTTADAURO Carlo, nato a Bagheria (PA) il 29.03.1956, ivi residente nella frazione di Aspra;
     

PIPIA Francesco, nato a Bagheria (PA) il 07.03.1957, ivi residente;

PROVENZANO Giorgio, nato a Palermo il 07.03.1966, residente a Bagheria (PA);
     

FLAMIA Giovanni Pietro, detto “u’ Cardiddu”, nato a Palermo il 20.06.1954, residente a Bagheria nella frazione di Aspra;
     

LO PIPARO Salvatore, nato a Palermo il 02.12.1972, residente a Bagheria, frazione di Aspra;

     

DI SALVO Giovanni, nato a Santa Flavia (PA) il 15.10.1962, ivi residente;
     

MORSICATO Benito, nato a Palermo il 21.06.1978, residente a Bagheria (PA);
     

LIPARI Nicolò, detto Nicola, nato a Palermo il 25.09.1963, residente a Bagheria (PA), frazione di Aspra;
     

PRETESTI Francesco, nato a Bagheria (PA) il 19.11.1974, ivi residente;
     

RASPANTI Francesco, nato a Palermo il 05.08.1968, residente a Trabia (PA);
     

SPECIALE Francesco, nato a Bagheria il 24.10.1966 ivi residente;
     

LI VOLSI Luigi, nato a Palermo il 15.2.1956, ivi residente;
     

TERRANOVA Francesco, nato a Villabate (PA) il 23.07.1973, ivi residente;
     

LA ROSA Giovanni, nato a Palermo il 12.07.1968, residente Villabate (PA);
     

MESSICATI VITALE Fabio, nato a Villabate (PA) il 22.01.1974, residente a Misilmeri (PA), in frazione Portella di Mare;
     

MILITELLO Bartolomeo, nato a Villabate (PA) l’8.10.1947, ivi residente;
     

COMPARETTO Giuseppe, nato a Palermo il 22.01.1976, residente a Ficarazzi (PA);
     

LEONFORTE Atanasio Ugo, nato a Ficarazzi (PA) il 12.05.1955, ivi residente;
     

CECALA Emanuele, nato a Caccamo (PA) il 11.07.1977, ivi residente;
     

MODICA Michele, detto “l’Americano”, nato a Casteldaccia (PA) l’8.06.1955, residente ad Altavilla Milicia (PA);
     

LO COCO Pietro, nato a Santa Flavia il 27.08.1960, ivi residente;
     

LOMBARDO Andrea, nato a Palermo il 14.02.1981, residente ad Altavilla Milicia;
     

GRANA’ Leonardo, nato ad Altavilla Milicia (PA) il 09.06.1962 ed ivi residente;
     

MACCARRONE Vincenzo, nato a Palermo il 14.07.1979, residente a Villabate;
     

NASTA Carmelo detto “Rosario”, nato a Palermo l’11.06.1971, residente ad Altavilla Milicia;
   

 RIBAUDO Paolo Salvatore, nato ad Altavilla Milicia il 15.02.1973, ivi residente;
     

RIZZO Giovan Battista, nato a Palermo il 15.06.1966, residente ad Altavilla Milicia (PA);
     

ROMANO Giovanni Salvatore, nato ad Altavilla Milicia (PA) il 24.09.1962, ivi residente;
     

BUGLISI Salvatore, nato a Palermo il 27.03.1988, residente ad Altavilla MiliciA

L’indagine Reset ha consentito di delineare gli assetti e le attuali dinamiche operative del mandamento mafioso di Bagheria che continua a essere composto, oltre che dall’omonima famiglia (che comprende anche il territorio di Santa Flavia e delle frazioni di Aspra e Porticello), anche dalle famiglie mafiose di Villabate, Ficarazzi, Altavilla Milicia e Casteldaccia.
LA FAMIGLIA MAFIOSA DI BAGHERIA

Il vertice strategico della famiglia mafiosa di Bagheria e dell’omonimo mandamento è rappresentato dall’anziano boss Greco Nicolò, fratello dell’ergastolano Leonardo, alle cui direttive risponde Di Fiore Giuseppe, reggente operativo della consorteria (Giuseppe Di Fiore è succeduto, nel maggio 2013, a Di Salvo Giacinto, tratto in arresto nell’operazione Argo).
Guttadauro  Carlo e Pipia  Francesco, anziani “uomini d’onore”, sono i collaboratori più fidati del DI FIORE.

Con il ruolo di “capo decina” operano Provenzano  Giorgio e Flamia Giovanni Pietro.

Costoro, particolarmente autorevoli anche perché “formalmente combinati” (“punciuti”), si avvalgono dei “soldati” Lo Piparo Salvatore, DI Salvo Giovanni, Pretatesti Francesco, LI Volsi Luigi, Morsicato  Benito, Lipari Nicolò e altri.

In merito alla reggenza del DI FIORE Giuseppe, emblematica risulta la conversazione tra DI SALVO Giovanni e LO PIPARO in cui quest’ultimo affermava “… e sono andati a prendere, a questo “Peppinu U’ Ciuri” (DI FIORE Giuseppe) (…) …perché è come quando c’era GINO DI SALVO, c’era lui, a chi faceva comparire, a SERGIO (FLAMIA Sergio Rosario n.d.r.) . … giusto è? lui era però il primo”.

GLI STORICI UOMINI D’ONORE DELLA FAMIGLIA DI BAGHERIA

Greco Nicolò, unitamente al fratello ergastolano Leonardo, ha iniziato il suo percorso criminale già nel lontano 1969.

Dopo l’arresto di Greco Leonardo (avvenuto il 9 giugno 2004), il fratello Nicolò ha iniziato a far valere il suo carisma e la sua forza intimidatrice scalando il potere fino a giungere al vertice del mandamento mafioso di Bagheria.

Il Greco, servendosi della collaborazione operativa di vari uomini d’onore succedutisi nel tempo nella qualità di reggenti operativi del mandamento, di fatto ha gestito il sodalizio bagherese sancendo alleanze, determinando scelte operative e decidendo sulle sorti di importanti sodali, tra cui Bartolone  Carmelo.

Le investigazioni hanno delineato il ruolo fondamentale ricoperto dal boss, riconosciuto, in gergo mafioso, come la “testa dell’acqua”, ovvero la “sorgente” del mandamento mafioso di Bagheria.

Di Fiore Giuseppe è uno degli storici affiliati della famiglia mafiosa di Bagheria.

Il 25 gennaio 2005, nel corso dell’operazione “Grande Mandamento,” è stato tratto in arresto dopo che nel corso di una perquisizione eseguita all’interno della sua abitazione veniva rinvenuto il c.d. “Libro Mastro” della famiglia di Bagheria, unitamente a denaro e titoli.

Dopo la sua scarcerazione, avvenuta nel gennaio del 2012, le indagini hanno permesso di dimostrare la progressiva ed inesorabile scalata al vertice della consorteria.

Guttadauro Carlo è un altro uomo d’onore di elevatissima caratura criminale.

Egli è fratello di Guttadauro Giuseppe, medico chirurgo presso l’Ospedale Civico di Palermo, già “reggente” del mandamento mafioso di “Brancaccio”, e di Filippo, cognato del noto latitante Matteo Messina Denaro e autorevole uomo d’onore di Cosa nostra.

Le attuali investigazioni hanno permesso di dimostrare come il Guttadauro Carlo, oltre a collaborare attivamente con i vertici del mandamento, Greco Nicolò e Di Fiore Giuseppe, sia anche intervenuto personalmente per costringere un imprenditore edile a “mettersi a posto”.

Pipia Francesco è legato storicamente da un forte vincolo criminale a Gargano Antonino, storico capo della famiglia mafiosa di Bagheria.

Il Gargano, condannato all’ergastolo, al momento è sottoposto al regime della detenzione domiciliare.

Benché in passato il Pipia sia stato già oggetto di investigazioni da parte di diverse forze di polizia, non si era mai riusciti a dimostrare la sua sostanziale appartenenza al sodalizio.

Con le ultime investigazioni, invece, si è provato il suo pieno inserimento nella consorteria mafiosa di Bagheria, per conto della quale ha anche fornito un determinante sostegno alla latitanza di Bernardo PROVENZANO, in un momento di particolare difficoltà quale era quello successivo all’operazione Grande Mandamento del 2005.

Infatti, dopo l’arresto dei più importanti favoreggiatori del capo indiscusso di Cosa nostra, toccò proprio al Pipia farsi carico della gestione della latitanza del boss corleonese, sino alla data del suo arresto avvenuto nel covo di “montagna dei cavalli”.

LA FAMIGLIA MAFIOSA DI VILLABATE

La famiglia mafiosa di Villabate, sebbene negli ultimi anni sia stata oggetto di una particolare attenzione investigativa che ha portato all’arresto di numerosi esponenti di vertice, è sempre riuscita a ricompattare le fila con rapidità sostituendo i sodali tratti in arresto con nuovi affiliati.
Dopo la carcerazione di Lauricella Salvatore e il rientro in Italia da Bali di Messicati Vitale Antonino, hanno assunto la direzione della consorteria villabatese Terranova Francesco e La Rosa Giovanni, da lungo tempo organici a Cosa nostra.
Alle dipendenze dei suddetti, con compiti di “esattori del pizzo”, si collocano Messicati Vitale Fabio, fratello del più noto Antonino, e Militello Bartolomeo.

LA FAMIGLIA MAFIOSA DI FICARAZZI

Sia l’indagine “ARGO” sia le attuali investigazioni hanno fatto emergere le alterne vicende che hanno caratterizzato la famiglia mafiosa di Ficarazzi.

Dopo l’arresto (anno 2010) del capo famiglia Trapani Giovanni, la reggenza della consorteria veniva affidata a Leonforte Atanasio Ugo. Questi, ritenuto inaffidabile, veniva presto sostituito da Lauricella Salvatore, su disposizione dell’allora capo mandamento Zarcone Antonino.

Dopo l’arresto dello ZARCONE (dicembre 2011, operazione Pedro) e l’inizio della latitanza di MESSICATI VITALE Antonino, LAURICELLA Salvatore assumeva la reggenza della famiglia di Villabate oltre a quella di Ficarazzi.

Le difficoltà connesse al duplice incarico, anche in considerazione del fatto che il Lauricella per volere di D’Ambrogio doveva affiancare Di Salvo nella reggenza dell’intero mandamento, comportavano la reintegrazione del Leonforte nella reggenza di Ficarazzi sino al suo arresto avvenuto nel maggio 2013, con l’operazione Argo.

Dopo la recente scarcerazione (giugno 2013), le indagini hanno dimostrato che il Leonforte, dopo aver inizialmente riassunto la carica lasciata vacante, è stato nuovamente sostituito, suo malgrado, da Comparetto Giuseppe, che adesso ricopre, senza dubbio, il ruolo di reggente della famiglia di Ficarazzi.

Comparetto Giuseppe era stato tratto in arresto, unitamente a Lo Verso Stefano, agli inizi del 2005, perché responsabile di aver favorito la latitanza di Provenzano Bernardo.
Le indagini sulla consorteria ficarazzese hanno evidenziato come gli affiliati, a causa delle efficaci operazioni di contrasto, cerchino in tutti i modi di evitare di “parlare tra loro”, comunicando con il metodo dei “pizzini”.
Le captazioni video hanno permesso di registrare tali scambi di “pizzini” dei quali si riportano le immagini relative a quello avvenuto tra Leonforte Atanasio e La Rosa Giovanni il 7 novembre 2013.

LA FAMIGLIA MAFIOSA DI ALTAVILLA MILICIA

Dopo l’operazione Argo, in assenza di un reggente formalmente investito, Lo Coco Pietro prendeva in mano le redini della famiglia altavillese, forte sia del sostegno del sodale Rizzo Giovan Battista sia della manovalanza di spregiudicati “picciotti”.

Dopo la scarcerazione di Modica Michele (7 dicembre 2013), però, alcuni autorevoli sodali, in particolare Lombardo  Andrea e Rizzo Giovan Battista, ordivano un piano per “accantonare” il Lo Coco  e far assumere al Modica  la “reggenza” della consorteria.

Lombardo Andrea, organico alla famiglia di Altavilla Milicia, nel corso di una conversazione ambientale con Rizzo, commentando l’elevato spessore criminale del Modica, ritenuto persona di grande esperienza, sottolineava il proprio ruolo di “eminenza grigia” del capo, in grado di orientarne decisioni e strategie, affermando testualmente che: “nca com’è…e ti dico una cosa… se prima non la dice a me… (…) no…se si deve vedere con qualcuno… mi dice “tu che ne pensi?…Tu che” capisci?!”.

Nel mese di gennaio 2014 , il Modica, facendo forza sul consenso ricevuto dagli affiliati, assumeva dunque la piena “reggenza” della consorteria e ne ripristinava gradualmente l’operatività criminale.

Modica metteva a disposizione della famiglia mafiosa di Bagheria il gruppo di “picciotti” di Altavilla, cui affidava anche il delicato compito di recapito dei tradizionali pizzini, in quanto ritenuti il mezzo più sicuro per le comunicazioni.

Nel febbraio 2014, i carabinieri di Bagheria rinvenivano dei pizzini all’interno di un casolare diroccato di Altavilla Milicia. I documenti fornivano informazioni di straordinaria valenza investigativa sulle strategie operative del sodalizio e sulle potenziali vittime dell’attività estorsiva, orientata anche sulla frazione marinara di Porticello.

Sul conto di Modica Michele, detto “l’americano”, è opportuno anche ricordare che è già stato condannato per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., avendo anche militato tra le file di Cosa nostra canadese. Dopo essere rientrato in Sicilia, il MODICA ha continuato a mantenere i contatti con la mafia d’oltre oceano e, in particolare, con Pimentel Fernando(rinvenuto cadavere nelle campagne di Casteldaccia l’ 08.05.2013), ospitato a Bagheria fino a quando il Modica veniva tratto in arresto (luglio 2008) unitamente a Carbone Andrea Fortunato e Cecala  Emanuele, in quanto ritenuti responsabili del progetto omicidiario nei confronti di Pietro Lo Iacono, detto “il due di spade”, uomo d’onore della famiglia di Bagheria.

I REATI CONTESTATI

IL TENTATO OMICIDIO DI SALERNO NICASIO E L’OMICIDIO DI CANU ANTONINO.

Le indagini hanno consentito di far luce anche su alcuni fatti di sangue: il tentato omicidio di Salerno Nicasio e l’omicidio di Canu Antonino, entrambi avvenuti a Caccamo.
Il 23 agosto 2005, alle ore 01.00 circa, a Caccamo, due uomini travisati ed armati di pistola tendevano un agguato a Salerno Nicasio, mentre in compagnia della moglie si accingeva a rincasare. I colpi esplosi non lo raggiungevano e il SALERNO riusciva a fuggire e a trovare rifugio presso la locale Stazione Carabinieri.

Secondo quanto emerso dalle indagini, e in particolare dagli accertamenti tecnici, la sera del 23 agosto 2005, uno dei due soggetti che aveva sparato all’indirizzo del SALERNO era stato Cecala Emanuele, che riteneva la vittima responsabile del furto di un escavatore patito dallo zio e, per questo, già il giorno prima, dopo avergli intimato di riconsegnare il mezzo, l’aveva malmenata.

Il 27 gennaio 2006, CANU Antonino si era recato a Caccamo a un appuntamento con CECALA Emanuele e MODICA Michele.

Il successivo 28 gennaio 2006, il CANU veniva rinvenuto cadavere in quanto attinto da colpi d’arma da fuoco alla testa.

Secondo quanto accertato, quindi, nel pomeriggio del 27 gennaio il CANU era stato attirato in una “trappola” dai suddetti CECALA e MODICA, perché da loro ritenuto responsabile di alcuni reati commessi fuori dal loro controllo e della mancata esecuzione di una rapina ai danni di un istituto di credito.
Le attività tecniche hanno poi consentito di accertare che l’omicidio del CANU, colpito alla testa con tre colpi di arma da fuoco a distanza ravvicinata, era stato verosimilmente consumato all’interno dell’autovettura in uso al MODICA, utilizzata anche per trasportare il cadavere sul luogo del rinvenimento.
Dalle intercettazioni effettuate a carico di MODICA Michele e CECALA Emanuele in altro procedimento penale è emerso che:
- il giorno dell’omicidio (27 gennaio 2006) CECALA aveva dato appuntamento al CANU (Cecala: “Qua io sono, avvicina qua da Emanuele …” – Canu: “Io, … io sono qua a Palermo, il tempo della strada” – CECALA “Va be, io sono qua, se tu vieni all’orario” – CANU: “Can Ah fra un’orata, il tempo dico della strada”) e, successivamente, il MODICA, in ambientale, domandava “…sti cosi lamu a ghittari?”, e CECALA gli rispondeva “eh! o … ghiettale, ettale no cà però”);
- il giorno successivo all’omicidio, dopo aver provveduto a disfarsi dell’autovettura utilizzata per trasportare il cadavere, MODICA chiedeva a persona a lui vicina di andare a prenderlo dallo sfasciacarrozze dove aveva demolito l’auto(Modica: “eh … eh … ti vengo a prendere ma dove mi devi venire a prendere se non sai dove sono”, e l’altro rispondeva di averlo capito, “… là allo sfascio”).

I due eventi delittuosi sono accomunati da una stessa chiave di lettura, ossia entrambe le vittime erano soggetti facenti parte di un gruppo criminale dedito alla commissione di reati predatori, circostanza questa più volte osteggiata anche dagli stessi vertici di Cosa nostra.

LE ESTORSIONI

Il dato di particolare interesse che merita di essere evidenziato è che, per la prima volta in maniera così significativa, in un territorio storicamente pervaso dall’omertà, moltissimi imprenditori e commercianti vittime di estorsione hanno fornito la loro piena e consapevole collaborazione, liberandosi dal “giogo mafioso” e denunciando i loro aguzzini.
Le indagini, infatti, hanno consentito di ricondurre al sodalizio la responsabilità di ben 44 estorsioni commesse ai danni di imprese edili, commercianti operanti nel settore del pesce, aziende di macellazione, commercianti all’ingrosso di alimenti, supermercati, autofficine, rivenditori di auto e pneumatici, autolavaggi, agenzie di scommesse, centri di analisi cliniche e case di riposo.

Più di dieci sono le imprese edili che hanno subito richieste estorsive con la compartecipazione delle famiglie mafiose competenti sia sul territorio della sede dell’impresa sia su quello di svolgimento delle opere.

Molti imprenditori edili, stanchi di subire le continue vessazioni, hanno deciso, quindi, di denunciare, raccontando non solo le estorsioni più recenti, ma anche quelle che dall’inizio della loro pluriennale attività avevano, loro malgrado, accompagnato il lavoro.

Si è anche dimostrato che le imprese edili, oltre a subire le “messe a posto”, sono state costrette a tollerare le imposizioni di ditte a cui subappaltare i lavori. Ciò era emerso già nell’indagine “Argo”, ove si era dimostrato che l’allora reggente del mandamento DI SALVO Giacinto imponeva la ditta del proprio genero CANALE Giuseppe.

Dopo l’arresto del DI SALVO, però, DI FIORE Giuseppe e GUTTADAURO Carlo imponevano altra ditta, estromettendo quella del Canale, con la conseguente disapprovazione del Di Salvo. Quest’ultimo, in un’intercettazione in carcere, dopo aver saputo dal genero quanto stava accadendo per un lavoro a Ficarazzi gli diceva di recarsi da Comparetto Giuseppe per riferirgli: “ho problemi con questi scemi … a Ficarazzi comandano … comandavamo io e lui … pure a Ficarazzi e loro tutti muti … e glielo dici che glielo fa sapere di starsi muti …”.

Il DI SALVO, inoltre, per contrastare la gestione DI FIORE – GUTTADUARO, rendeva noto ai familiari che, a breve, sarebbe stato scarcerato Lo Presti Tommaso (“Tommaso, Tommaso … Masino … così si chiama, LO PRESTI” …”), il quale avrebbe risolto la situazione (“a Palermo c’era uno che era con me che a breve dovrebbe uscire … e gli ho spiegato alcune cose … dice … “appena esco io se ne parla” … per Ficarazzi … non li farà avvicinare lui a Ficarazzi … hai capito?”).

Altro “settore” particolarmente preso di mira è risultato essere quello dei commercianti di pesce di Porticello, frazione del comune di Santa Flavia particolarmente attiva nel settore del commercio all’ingrosso del pescato. Le indagini hanno consentito di captare in “diretta” le “messe a posto” e di individuare in Lo Piparo Salvatore e Di Salvo Giovanni, gli autori delle richieste estorsive avanzate su incarico di FLAMIA Giovanni Pietro e PROVENZANO Giorgio. Particolarmente inquietante l’attività intimidatoria posta in essere per convincere le vittime a pagare, recapitando loro proiettili e “teste di capretto”.

A tal proposito risulta eloquente l’intercettazione ambientale di una conversazione tra DI SALVO Giovanni e LO PIPARO Salvatore, nella quale quest’ultimo afferma: “Andiamo a Bagheria, prendiamo una testa di capretto, gli prendiamo due cartucce di fucile normali e gliele mettiamo in bocca nella testa di capretto, ci mettiamo un bigliettino … stai attento a cosa fai (…) glielo attacchiamo nel cancello, questo lo possiamo fare pure adesso, prendiamo una testa di capretto e lo facciamo (…) mettiamo due cartucce di fucile, con un sacchetto e glielo attacchiamo nel portone, che loro già lo capiscono che non devono romperci …”.

LE RAPINE

Anche il settore delle rapine è risultato essere di particolare interesse per la consorteria.

Le indagini hanno consentito di accertare la consumazione di una rapina in un’abitazione di Altavilla Milicia e svariati tentativi di rapina non portati a compimento grazie all’intervento dei carabinieri.

 

L’INCENDIO DELL’ABITAZIONE DI UN NOTO PROFESSIONISTA E IL SEQUESTRO DI PERSONA DEL DOMESTICO

Il 22.3.2004, ad Aspra, tre soggetti penetravano nell’abitazione di un noto professionista e, dopo aver immobilizzato con del nastro adesivo il domestico e averlo condotto fuori casa, cospargevano di liquido infiammabile l’immobile appiccandovi fuoco.

Le indagini consentivano di ricondurre la vicenda a Comparetto Giuseppe e a Bartolone Carmelo (quali esecutori materiali) nonché a Morreale Onofrio (all’epoca reggente del mandamento Bagherese), che avrebbero agito per punire il professionista in quanto ritenuto responsabile di aver venduto un’abitazione a persona non gradita.

LE ARMI

La disponibilità di armi da parte della famiglia mafiosa di Bagheria risulta da numerose intercettazioni ambientali.

E’ emerso che i sodali più attivi, soprattutto quelli dediti alle estorsioni, hanno la disponibilità di armi da fuoco che minacciano di utilizzare nel caso di mancato pagamento del “pizzo”.

 

 

Tra i fermati Nicola Greco, Messicati Vitale, Carlo Guttadauro, Giuseppe Di Fiore, Giovanni Pietro Flamia, Salvatore Lo Piparo, Giovanni Di Salvo, Giuseppe Comparetto, Michele Modica ed Emanuele Cecala.

Dalle prime luci dell’alba, 500 Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo, al termine di una complessa attività d’indagine coordinata dalla locale D.D.A., sono impegnati nell’esecuzione di 31 fermi del P.M. nei confronti di capi e gregari del mandamento mafioso di Bagheria, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, omicidio, sequestro di persona, estorsione, rapina, detenzione illecita di armi da fuoco e danneggiamento a seguito di incendio.

Completamente disarticolato il mandamento di Bagheria, storica roccaforte di cosa nostra. Insieme ai reggenti dell’ultimo decennio del mandamento e delle famiglie mafiose di Bagheria, Villabate, Ficarazzi e Altavilla Milicia, sono stati tratti in arresto pericolosi “uomini d’onore” della consorteria.

I militari, guidati sul campo dai colonnelli Salvatore Altavilla ed Enrico Scandone, in un colpo solo hanno messo le mani sul braccio operativo del clan e su quella che viene definita la “testa dell’acqua”, un anziano boss del calibro di Nicolò Greco, che dal 2004 sarebbe stato il capo assoluto del mandamento. Le sue parole – e di conseguenza i suoi ordini – non si potevano e non si dovevano discutere. Così come non si poteva discutere la necessità di tenerlo fuori dai guai. E lui, che era considerato da tutti la fonte del potere, in questo modo è riuscito a comandare per almeno dieci anni evitando una mezza dozzina di retate.

Le investigazioni, in particolare, hanno consentito sia di documentare l’esistenza di un “Direttorio”, un organo decisionale provinciale, sia di accertare l’esistenza all’interno della consorteria di un vertice strategico, in gergo “la testa dell’acqua”, al quale doveva obbedienza anche il reggente operativo del mandamento.

Sono stati inoltre identificati gli esecutori materiali dell’omicidio di CANU Antonino, consumato in Caccamo il 27 gennaio 2006, e del tentato omicidio di SALERNO Nicasio, occorso in Caccamo il 23 agosto 2005.

Le acquisizioni raccolte hanno, infine, consentito di documentare ben 44 estorsioni, quattro danneggiamenti a seguito di incendio, una rapina e una tentata rapina. Quattro i progetti di rapina sventati grazie all’intervento “preventivo” dei carabinieri.

Vai al video dei Carabinieri

Seguiranno nomi, foto e aggiornamenti

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