Cronaca

Questa volta si tratta di una vera e propria “storia a lieto fine”, che va oltre la cronaca di una delle tante operazioni di servizio a contrasto all’evasione fiscale effettuata dalla Guardia di Finanza e che aiuta a comprendere come la lotta a questo fenomeno serve non solo a recuperare allo Stato le imposte non pagate, ma può concretamente aiutare il rilancio dell’economica legale e il mondo del lavoro. 

E’ una storia lunga quella della Sala Bingo di via dei Cantieri,  a Palermo, iniziata nel 2005 con il primo sequestro nell’ambito dell’operazione “Grande mandamento”, in quanto ritenuta in “odor di mafia” poiché riconducibile a 2 esponenti di spicco della malavita organizzata palermitana, reggenti della famiglia mafiosa di Villabate.

Rimasta chiusa e in stato di abbandono per altri cinque anni, la gestione della sala Bingo è stata affidata nel 2010 alla società ELLE GROUP AGENZIA SCOMMESSE s.r.l., legata ad  un noto imprenditore palermitano, con l’obiettivo di riprendere l’attività secondo i canoni di trasparenza e legalità.

Nel prosieguo, tuttavia, a seguito degli approfondimenti investigativi effettuati dalla Guardia di Finanza di Palermo, è stata accertata la commissione di numerose condotte illecite ad opera dell’imprenditore palermitano culminate, nello scorso luglio, nell’esecuzione di un’apposita ordinanza di misura di custodia cautelare in carcere per i reati di truffa aggravata, estorsione, peculato ed appropriazione indebita.

Tra l’altro, nel corso delle indagini a suo carico, è emerso che l’imprenditore si era reso protagonista di alcuni episodi di estorsione commessi ai danni dei propri dipendenti, costretti a lavorare “in nero” e a subire vessazioni di vario genere, sotto la costante minaccia del licenziamento in tronco; in tale scenario, l’arrestato, coadiuvato da due dei suoi più fidati “collaboratori” e sempre dietro la minaccia del licenziamento, aveva  addirittura costretto una dipendente a rientrare al lavoro nonostante questa usufruisse del periodo di astensione obbligatoria per maternità.

Contestualmente alle indagini che hanno portato all’arresto dell’imprenditore, le Fiamme Gialle palermitane hanno concluso un piano di verifiche fiscali nei confronti delle diverse società riconducibili al noto imprenditore - tra cui la ELLE GROUP AGENZIA SCOMMESSE s.r.l. - scoprendo che lo stesso risultava aver omesso la presentazione delle dichiarazioni fiscali obbligatorie, non dichiarato al Fisco oltre 56 milioni di euro ed emesso fatture false per oltre 3 milioni di euro.

In tale scenario investigativo, le indagini eseguite dai finanzieri determinavano in capo all’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato l’attivazione della procedura di revoca della concessione della licenza per la gestione della Sala Bingo di via dei Cantieri, paventando così, a causa dei numerosi illeciti posti in essere dal loro datore di lavoro,  un futuro incerto per i 36 lavoratori che avrebbero di lì a poco perso il proprio posto.

La preoccupazione per la propria sorte si è manifestata in maniera oltremodo evidente nei primi giorni del mese di settembre quando una nutrita rappresentanza degli stessi dipendenti si è presentata presso il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Palermo via Crispi.

In tale circostanza, alcuni di essi  hanno voluto esternare le proprie preoccupazioni circa le conseguenze della possibile chiusura della Sala Bingo coinvolgendo direttamente il vertice del Comando Provinciale di Palermo; nell’occasione, ai dipendenti veniva assicurata la massima disponibilità della Guardia di Finanza a contribuire alla ricerca di una rapida e concreta soluzione alla questione, nell’ambito delle proprie prerogative e nel rispetto delle leggi.

In tale contesto, il Comando Provinciale interessava la Procura della Repubblica di Palermo la quale, sulla base dell’impianto probatorio delineato a carico del titolare dell’Agenzia scommesse e facendo proprie le conclusioni di fatto e di diritto formalizzate dai finanzieri a seguito delle verifiche fiscali svolte e della conseguente denuncia per reati tributari, emetteva, in data 12.09.2012, un decreto di sequestro preventivo d’urgenza, finalizzato alla successiva confisca in misura equivalente ai tributi evasi, inerente il complesso dei beni aziendali relativi alla società oggetto di verifica – tra cui la Sala Bingo.

Così operando, con il provvedimento emesso dall’A.G., oltre a garantire allo Stato il credito erariale dovuto, si è assicurata la continuità aziendale della società atteso che, a seguito dell’arresto del titolare, sarebbe stata ineludibile la revoca da parte della competente Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato della licenza per la gestione della Sala Bingo, che costituisce, a tutt’oggi, la principale attività della ELLEGROUP AGENZIA SCOMMESSE Srl.

Pertanto, con il sequestro del complesso aziendale e la conseguente nomina di un amministratore giudiziario, oltre a sospendere l’iter procedurale di revoca della menzionata licenza, è stato possibile salvaguardare i numerosi posti di lavoro dei dipendenti operanti presso la Sala Bingo.

Finalmente a fine ottobre, ultimate le procedure di legge, la Sala Bingo è stata riattivata ed i 36 lavoratori sono stati reintegrati potendo così ritornare al proprio posto di lavoro, peraltro in un contesto di legalità e tutela dei loro diritti.

Una storia a lieto fine per 36 famiglie, grazie anche ad un accorto utilizzo degli strumenti legislativi a presidio della legalità economico – finanziaria e di un’azione coordinata, oltre che rapida, di tutte le Istituzioni interessate.

Fonte  Ufficio Stampa Guardia di Finanza

 

Questa mattina il bar " Il castello" è aperto, e vuole significare un ritorno alla normalità assieme alla solita animazione in piazza: un'altra aria  rispetto allo sbigottimento e allo spettrale silenzio di ieri mattina, quando, a botta calda tutte quelle auto di carabinieri e transenne di nastro,  avevano fatto d'istinto pensare ai casteldaccesi a qualcosa di più terribile: ieri sera a a tarda ora è rientrato in paese, da Roma dove si trovava, il sindaco, ora neoeletto deputato regionale, Giovanni  Di Giacinto.

Si indaga in tutte le direzioni: è ancora questo il messaggio che viene dai Carabinieri  della locale Stazione, del Nucleo Investigativo  della Compagnia di Bagheria, del Comando Provinciale di Palermo e della Sezione Investigazioni Scientifiche per i rilievi,.che stanno indagando sul grave episodio verificatosi all'alba di ieri nella piazza principale di Casteldaccia.

Si procede ad ascoltare familiari e conoscenti, ad effettuare riscontri, a cercare il bandolo di una vicenda gravissima, che non può trovare giustificazione in qualche dissapore o discussione animata, ma nessun provvedimento di fermo giudiziario è stato sinora adottato.

Si guarda anche ai filmati delle telecamere di sorveglianza, numerose a Casteldaccia soprattutto in piazza a servizio di attività commerciali private, per cercare di trovare una traccia utile all'indagine.

Quanto alla personalità di Antonino Tomasello pochi i dubbi, non solo di familiari e conoscenti, ma della voce di popolo, sulla personalità della vittima: una persona perbene, un grande lavoratore che aveva  ristrutturato il bar "Il Castello" già qualche anno fa rilevandone la gestione.

Il feritore ha sparato un solo colpo mirando alle gambe: un messaggio, un avvertimento dunque: il Tomasello non ha sentito arrivare nè auto nè moto, ha sentito una fitta alla gamba sinistra ed è andato ad accasciarsi sulla panchina che si trova in piazza e dove sono state trovate chiazze di sangue. 

Adesso il ferito sta meglio, ma non è stato ancora sottoposto ad intervento chirurgico per l'estrazione del proiettile.

Messaggio anomalo a voler pensare ad una richiesta di pizzo: la mafia usa altri segnali che, nella loro rozzezza,  seguono però una gradualità, un crescendo che va dal tentativo di persuasione, all'attak, alla bottiglia di benzina, sino all'incendio e al danneggiamento; e comunque nessuna minaccia e nessuna richiesta estortiva sarebbe pervenuta al Tomasello.

Anche se, come si preme a sottolineare da parte degli inquirenti, nessuna pista viene esclusa, si scava soprattutto nei rapporti interpersonali di Tomasello, un qualche contrasto o una qualche ruggine pregressa con qualche paesano e  di cui si mormora in paese, e che i carabinieri hanno già comunque provveduto a verificare.

 

Era ancora buio pesto quando alle 6.15 di questa mattina Antonino Tomasello, 52 anni titolare del bar "Il Castello", uno dei bar storici della piazza di Casteldaccia si apprestava ad iniziare la propria giornata di lavoro: era appena sceso dall'auto una Seat Toledo scura posteggiata sul marciapiede di fronte al bar e si accingeva ad attraversare la strada, quando uno sconosciuto gli ha sparato addosso: uno solo il colpo che ha colpito Tomasello alla gamba sinistra.

L'uomo sanguinante si è accasciato su una panchina dove ci sono ancora le tracce di sangue e di due fazzolettini di carta con i quali l'uomo ha cercato di tamponare la ferita: nel frattempo sono arrivati i soccorsi.

Pare che sia  riuscito a telefonare alla moglie, ma anche qualcuno che aveva sentito i colpi, si è precipitato a soccorrerlo.

E' stato chiamato il 118 che ha provveduto a ricoverarlo al Buccheri La Ferla. Le condizioni dell'uomo non sembrano particolarmente gravi.

altSono accorsi i carabinieri che hanno provveduto a transennare l'intera piazza in attesa della scientifica che dovrà effettuare i rilievi per capire quanti colpi siano stati effettivamente sparati e con quale arma.

Gli inquirenti sono alla ricerca di una traccia che possa fare capire chi possa avere avuto interesse a compiere un gesto criminale nei confronti di un uomo, che è  incensurato, e che nel giudizio della gente comune è considerato un grande lavoratore ed una persona perbene.

Parrebbe di sì stando a quanto sta venendo fuori dalle indagini della Procura di Firenze che ha indagato sulle stragi dal 1993 al 1995: ma non solo, si ipotizza che anche l'esplosivo che servì a preparare l'attentatuni a Falcone prima e a Borsellino poi possa in qualche modo provenire da Porticello.

Stando ai riscontri che gli investigatori della DIA hanno fatto delle dichiarazioni, ma non solo, di Gaspare Spatuzza, è da Porticello che cosa nostra si approvvigionava di esplosivo, anche perchè nella frazione marinara di Santa Flavia, per i motivi che vedremo, trovare tritolo in grande quantità non era particolarmente difficile, anzi.

Adesso tutti, sia pure a mezza bocca, ammettono quanto in paese da sempre si  mormorava e si sapeva: ai pescatori succedeva anche abbastanza spesso di pescare soprattutto con le paranze bombe, siluri, mine e quant'altro: i più scrupolosi li consegnavano alla Capitaneria o addirittura li ributtavano in mare per evitarsi grattacapi, altri di pochi scrupoli quando scoprirono che si ci poteva guadagnare, nascondevano i ritrovamenti alle autorità.

Bombe, siluri e mine venivano conservati immersi sott'acqua con delle boe di segnalazione che solo gli interessati conoscevano. Quanto alla manipolazione dell'esplosivo c'era una sorta di fai da te, con qualcuno più pratico a fare da maestro; quindi niente artificieri specializzati o esperti.

Di qualcuno si ricorda addirittura che si portò a casa una grossa bomba d'aereo, e la nascose sotto il letto, correndo il rischio di far saltare in area un intero quartiere.

Il tritolo ricavato dalle bombe recuperate serviva per confezionare al tempo le bombe di profondità che venivano utilizzate per la pesca di frodo, oppure veniva venduto al mercato nero.

Per dire della disponibilità di esplosivo, ricordiamo che già nel 1974 sempre a Porticello  in una delle "pirriere" in prossimità di piazzetta D'Amato fu operato un sequestro di oltre 700 chilogrammi di tritolo.

Ma perchè tante bombe e proprio a Porticello ? i motivi sono sostanzialmente due.

Durante i bombardamenti inglesi e americani che furono scatenati su Palermo dal 1942 al 1943 accadeva spesso che gli aerei di ritorno dalle incursioni, si liberassero delle bombe inutilizzate facendole cadere in mare, e che nel tempo pur sommerse da sabbia e fango la paranza con la sua imboccatura rigida, smuovendo il fondo riportava alla luce questi reperti che rimanevano impigliati nelle reti e issati a bordo.

Ma c'è un altro fatto che spiega l'abbondanza di bombe nel litorale palermitano: nel 1945 in località "Cavallo di mezzo" tra Bagheria e Santa Flavia saltò letteralmente in aria  il deposito americano di armi e di esplosivi, in dialetto chiamata " a pruvuliera".

Quando gli americani bonificarono il sito ammassarono tutte le bombe, le mine e l'esplosivo rimasti inesplosi su una chiatta ormeggiata a Porticello in quello che al tempo era poco meno di un rozzo pontile di attracco: secondo la vulgata popolare quella chiatta sbatteva pericolosamente contro il molo, e rappresentava un serio pericolo per la piccola comunità.

Fu Giuseppe Lo Coco, l'unico pescatore che al tempo aveva la barca  a motore, (tutte le altre utilizzavano ancora il vecchio sistema removelico), che, incaricato dalle autorità militari americani, agganciò la chiatta la trainò lontano dal paese e dalla terraferma e scaricò in mare il pericoloso carico, guadagnandosi, pare per questo gesto di coraggio e altruismo, il titolo di cavaliere del lavoro.

Il tratto di mare dove scaricò bombe e quant'altro, dai pescatori è inteso "u fussuni" un avvallamento circa un miglio fuori dall'imboccatura del porto di Palermo in direzione nord est, "fussuni"  appunto che va da una profondità di 100-120 metri sino a 600 metri e oltre, e che la gente di mare conosce bene.

E pare che Giuseppe Lo Coco mai abbia rivelato il luogo in cui affondò le bombe.

Dicono però i pescatori, che ampliando sempre più l'area in cui si recavano a pescare, "u fussuni" era uno di quelli in cui, almeno un tempo, si pescavano bene i gamberi: è possibile che l'azione reiterata delle imboccature delle paranze smuovendo il fondo fangoso abbia praticamente riportato alla luce, se così si può dire, una sorta di miniera a cielo aperto di materiale esplodente, dove qualcuno di pochi scrupoli si approvvigionava di tritolo.

Quanto a Cosimo D'Amato, inteso "u marruoccu", anche se brusco di carattere, non gli viene attribuita dalla gente comune una caratura mafiosa particolare, tutt'altro. Aveva il libretto di pescatore, ogni tanto si imbarcava, ma lavorava soprattutto come camionista e uomo di fatica nella zona del mercato ittico conducendo una vita modesta.

C'è stata infatti molta sorpresa  nell'apprendere stamane che è sospettato di avere fornito centinaia o addirittura migliaia di chili di tritolo, per alcuni degli attentati che hanno sconvolto l'intera Italia.

nella foto di copertina  Cosimo D'Amato

 

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