Il nostro omaggio a Placido Ferrara - di M.Aiello e B.Napoli

Il nostro omaggio a Placido Ferrara - di M.Aiello e B.Napoli

cronaca
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Placido Ferrara, che ha vissuto una vita intera nelle sale cinematografiche non solo di Bagheria, è morto. Recentemente ci ha concesso una lunga intervista. Alcuni stralci di essa servano come ricordo e omaggio.

"Nascivu nel 1933, a gennaio. Picciriddru mè matri mi scrissi all'azione cattolica, al Sepolcro, da padre Buttitta. Tutte le madri, a quel tempo, mandavano i bambini in parrocchia.

Ma io ci java pu cinamu. Mè patri campagnùolu ,i mè frati campagnùoli, tutti a' mè casa cummattìevanu ca campagna, chi mi doveva portare al cinema? Accussì nessuno mi diceva di andarci in chiesa. Io ci andavo. Prima a vedere le pellicole a quadro fisso, un fotogramma dopo l'altro, erano cento o centoventi fotogrammi, una specie di fumetto, un giornaletto con le parole scritte. Ma patri Buttitta aveva puru 'na machina muta ca manovella. Però anche quando cominciò a fare il cinema parlato, c'era qualche film muto con i sottotitoli. Come difatti io mi vitti "Sigfrido" mutu e "Il re dei re" di De Mille. Puru mutu. 'U cinamu m'attirava assai.

Tantu m'attirava che una volta ne ho combinato una davvero grossa. Una volta, quando già c'era la guerra, mia madre aveva cinque lire messe da parte. Al Nazionale, quello vecchio, facevano un film con Stanlio e Ollio, I diavoli volanti . 'U cannarùozzu m'acchianava e mi scinnieva. Minchia, comu a fari? Soldi non ce n'erano, niente c'era! Appuràvu'i cincu liri ri mè matri, un brocculu avieva accattàri pi fallu ca pasta. Piglio queste cinque lire, chiamo mio fratello, amunìnni. Trasìemu o' Nazionali all'inizio del film. Finisce il primo tempo e spunta mia madre. Mè frati s'addrifinnìu. Iddru mi ci pujtò. Me matri m'affirrò.

Don Peppino De Lisi, buonanima, sfajdava i biglietti questo cristiano, ci rissi che il film non era ancora finito, ri farinni viriri il secondo tempo. 'U secunnu tiempu a casa ci ' u fazzu viriri. Lignati me ne dette più di quelle cinque lire che le avevo preso. 'Sta cuosa, parrannu poi cu Peppuccio Tornatore, gliel'ho raccontata e iddru ci livò 'u brocculu e ci misi 'u latti e 'a cuntò nno film "Nuovo cinema Paradiso".

(...)

"Un giorno mia madre, tutta scantata, mi dice: " E' venuta la polizia a cercarti. Chi facisti?" "Chi fici? Nienti fici!"

"Vinniru ccà. Che ti debbono dire?" "Ora ci vaju". Il commissariato si trovava a Palagonia, dietro l'Arena. Ci andai. Mi presento. Lei ha fatto una domanda per operatore. Tale giorno deve presentarsi al cinema Imperia, a Palermo, per gli esami. Mi venne una grande preoccupazione perché non ero preparato. Avevo la pratica, avevo fatto l'operatore a Morreale, ca machina ci avevo lavorato, però mi spaventavo, ero sicuro d'appizzàrici puru i picciuli ri l'esami. Enzo Messina allura mi ‘mpristò un libru.

Ca secunna elementari cu l'havi a leggiri 'stu libru? Ci pozzu rari 'n'approssimativa, talìu 'i fiuri, talìu a chi siejvinu 'i cuosi. Ho fatto gli esami. M'hanno promosso. Carmelo Gagliano era proprio analfabeta, non come me che avevo un poco di scuola, era analfabeta e gli avevano dato la patente. Mi disse di non aver paura, di andare a fare gli esami che sarei stato promosso, e ci jamu ‘nziemmula, iddru mi ci pujtò e avanzàvu.

In quel tempo, a Villabate, c'era una Arena in costruzione, era di fronte alle scuole nel corso, ora non c'è più, è tutto case ormai. Andai a presentarmi ai proprietari, Cusumano si chiamavano, o forse Cusimano questo non lo ricordo più, due fratelli, morti ormai tutti e due. Mi dissero che mi avrebbero tenuto presente. E in quel tempo, a Bagheria, c'era il Supercinema in costruzione.

Andai da Gabriele Pampinella e gli dissi che avevo fatto gli esami per operatore. Gabriele Pampinella, anche lui, mi disse che m'avrebbe tenuto presente, che non stessi a preoccoparmi.

Ma o' Supercinema ci travagghiàvu mentri 'u costruivanu, comu muraturi. Anzi, fujutu 'a sira prima cu mè mugghieri, l'indomani me ne vado a gettare la soletta e non ne sapeva niente nessuno. Lo dissi a uno e subito si sparse la voce e tutti a farmi gli auguri. Dissero che ero il primo operaio al mondo, naturalmente per quello che ne sapevano, ca 'a sira se ne fugge e 'a matina va a travàgghia. Ma, allora, quei lavori tutti a mano si facevano e se venivano meno due braccia...questo conto mi ero fatto e così ero andato a lavorare.

Mentre facevo il muratore al Supercinema, aprì l'Arena a Villabate. Lassàvu 'u muraturi e me ne sono andato a lavorare al cinema. L'Arena di Villabate sono stato io ad inaugurarla. Il primo film fu "L'avventuriero della Luisiana". Poi facemmo un sacco di film. I proprietari non ne capivano niente. Erano come quelli del "Roma", a Bagheria, che avevano altri mestieri. I Cusumano avevano tanta campagna, erano agricoltori. Avevano soldi e li investivano in un cinema. Erano amici dei Lo Medico e si affidarono a loro per i film da contrattare. Ne contrattarono centocinquanta, uno più uno meno. Per un cinema aperto solo in estate. Quell'anno lavo- rammo da luglio fino al due novembre. Restarono almeno sessanta pellicole non fatte.

Natr'annu amu a fari 'i pilliculi vecchi? Ci vinni facili e s'affittaru 'u Vittoria, 'u chiamavanu Giangreco stu cinema, era Giangreco 'u proprietariu e accussì 'u chiamavanu, poi sarebbe diventato Ambassador. Lo affittarono per un anno, per fare le pellicole che avevano contrattato, fecero tutti quei film, si tennero di nuovo solo l'Arena. Ma ormai io ero sposato, potevo lavorare solo in estate? I Cusumano mi dissero se volevo lavorare in campagna.

Ma io, con la campagna, non c'entravo per niente . A Bagheria aprì il Supercinema , Gabriele Pampinella vi trasferì il vecchio personale del Vittoria e qui ci fu posto per altri.

Andai a lavorare al Vittoria. Là mi trovai però cu quattru spraticunazza e cu 'na machina che non ne voleva mancu a bruoru. Lavoravo con molto disagio. Allora c'erano i carboni, di quelli che si cambiavano a mano, la sera uno se ne andava come un carbonaio, quando finivo di lavorare mi riducevo comu un cajbunaru. E c'era un'altra cosa.

Tannu spittava un bicchieri ri latti, 'un'è ca 'u ravanu! Alla chiusura un bicchiere di latte spettava, perché uno si disintossicasse, e non lo davano. E c'era un'altra cosa. 'U cajbuni nei morsetti 'un'affirrava e riscaldava e i morsetti si dissaldavano. Ogni tre giorni ero costretto ad andare dal saldatore, 'a vita mi passava accussì. E c'era un'altra cosa. Mia moglie, ch'era di Villabate, là voleva restare e a Bagheria non ci si voleva trasferire.

Ogni giorno dovevo andare e venire e certe sere, quando si faceva troppo tardi, ero costretto a rimanere a casa di mia madre. Così non potevo continuare, così impazzivo. Al Vittoria ci lavorai tre mesi. Ci lavorai settembre, ottobre e novembre. A dicembre mi licenziai e ritornai a Villabate".

 

 

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