Bagheria come un'infanzia - di Biagio Napoli

Bagheria come un'infanzia - di Biagio Napoli

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 Pubblichiamo volentieri questo racconto-rassegna della vita di alcuni quartieri di Bagheria nel ricordo di Biagio Napoli.

 

1. E LANNARI.
La via dei Lannari non è che la via Ignazio Lanza di Trabia. A una punta c’è villa Butera e la torre di “ O corte a Dio”, all’altra Villarosa.

A metà c’era il forno di mio nonno che fu poi dei miei due zii Matteo e Salvatore. Parlo del nonno e degli zii materni, di mio nonno Giovan Battista sto parlando che chiamavano “il pecoraio”, un soprannome che gli veniva dall’essere stato padrone di pecore. Poi le aveva vendute e aveva mutato mestiere, aveva fatto il forno, era stato il primo forno elettrico di Bagheria.

Nonno Battista me lo ricordo vecchissimo, con la faccia scavata e la barba lunga e nera. E ricordo anche che per camminare, s’appoggiava ad una vecchia stampella di legno. Fino a quando furono vivi i nonni ( quelli paterni non li ho nemmeno conosciuti ), la domenica si andava a trovarli. Palagonia, dove noi abitavamo, è all’altro capo del paese. Era una bella camminata perché mio padre non aveva mai imparato a guidare un’auto. E quello non era tempo di macchine per uno che viveva lavorando in campagna. Si andava perciò a piedi e, allo stesso modo, si tornava. Col buio e, d’inverno, col freddo. Io, dopo essere stato al caldo del forno, tremavo di freddo. Mia madre apriva il suo cappotto e mi copriva tenendomi stretto a lei. Sulla faccia sentivo il calore del suo fianco cui mi stringeva.

2.IL  POSTO  DEL  CIRCO.

Enrico Curatola ebbe una piccola parte nel film Il giorno della civetta. E, chissà, anche in altri ma io soltanto in quello l’ho rivisto. E mi ha fatto piacere. Il suo circo, quand’ero ragazzino, a Bagheria ci veniva spesso. Il tendone veniva innalzato nell’unico posto possibile, cioè nello spiazzo, grandissimo, che c’era tra l’Arena Imperia dei fratelli Lo Medico, l’accesso al viale di Villa Valguarnera, il palazzo col giardino ch’era stato di Giuseppe Cirincione, oculista, docente universitario, benefattore e, forse, mafioso.

Enrico era giovane e bello, portava baffetti eleganti, pareva un moschettiere o il generale Custer del cinema, per noi era come un eroe. La sorella si chiamava Emma; anche lei era molto bella. Una volta le si sganciò il costume di scena e restò nuda. Lo fece apposta per richiamare gente allo spettacolo? Quella volta scappò via per sistemarsi e, quando ritornò sula pista, rivolta al pubblico disse maliziosa: “L’avete visto, ma non l’avete toccato!” Questa cosa si raccontò per anni. Senza esserci stati quando il fatto avvenne, ce la raccontavamo anche tra di noi quando si parlava di cose proibite.

3.
I sujdati chi vannu alla fiera
mancianu e bivinu e fannu accussì:
arrivannu e tri pujtuna
cavuci nculu e pizzicuna.

4. FURNARI

Zambelli abitava la casa d’angolo, dal lato dove anch’io stavo, della mia strada dov’essa s’incrocia con via Roma. Era il portiere della squadra di calcio e quella casa l’aveva in affitto. Con la moglie erano sempre tragedie perché le loro liti erano frequenti e lunghe e le grida di entrambi, ogni volta, si sentivano a cento metri di distanza.

Zambelli era però un grande portiere ed era il beniamino di noi ragazzini. Io non so di dove fosse né so da dove venisse Prato. Neppure lui, come Zambelli, era di Bagheria. Prato era un centravanti. Una volta che ero andato a vedere una partita e il Bagheria stava perdendo, si fermò un attimo in mezzo al campo alzando lo sguardo al cielo e congiungendo le mani come a pregare. Poi alzò l’indice della mano destra. –Uno-pareva che dicesse. –Almeno un goal-

E sconsolato lasciò cadere le braccia riprendendo il gioco. Di Pisoni, l’altro giocatore che consideravamo un campione, e che veniva anche lui da fuori, come del resto degli altri, ricordo solo il cognome. Quando il Bagheria giocava in casa, la domenica dopo pranzo, ci

fu un tempo in cui allo stadio io ci andavo sempre. I ragazzini biglietto non ne pagavamo, ma bisognava fossimo accompagnati. Mio padre, certo, non lo aveva questo pensiero.

Facevo come gli altri ragazzini che, a frotte, andavano a vedere la partita. Mi attaccavo alla giacca di uno grande. –Mi fa entrare?- gli chiedevo. –Vieni con me-.

Varcato il cancello me ne scappavo per i fatti miei. Quando quei campioni se ne andarono ,e la squadra finì di essere forte, la domenica cominciai ad andarmene al cinema. Però davanti allo stadio ci andavamo lo stesso a giocare.

Allora quella strada era ancora sterrata e non c’erano i palazzi di ora perché un agrumeto ben coltivato arrivava fin dietro villa Roccaforte. Se ne occupava un certo mastro Nunzio; abitava, con la moglie e i figli, due o tre stanze di una povera casa che, insieme ad alcuni magazzini, circondavano l’atrio interno della villa. Mastro Nunzio custodiva la villa e si occupava del giardino di limoni.

Lo conoscevamo perché era sempre lì, noi giocavamo e lui, improvvisamente, e senza fa rumore, compariva dietro la rete di recinzione. Con sé aveva sempre il fucile. Guai a raccogliere un limone. Noi avevamo paura e limoni non ne raccoglievamo. Mastro Nunzio e sua moglie continuarono ad abitare dentro villa Roccaforte anche quando i palazzi, a poco a poco, si mangiarono l’intero agrumeto e l’atrio e i magazzini vennero trasformati e ci fecero una pizzeria e il salone cominciò ad essere utilizzato per i matrimoni, le prime comunioni o altre feste del genere. Io non so quelle trasformazioni chi le fece, se il padrone della villa o il gestore del ristorante.

Quest’ultimo lo conosco perché è un mio vecchio compagno di scuola. L’atrio venne ammattonato, in estate vi sistemavano dei tavolini, ci andava un sacco di gente, la sera, a mangiare la pizza. Ma il mio ex compagno s’ammalò di cuore e il locale non aprì più. Mastro Nunzio e sua moglie morirono. Sono anni ormai che il portone di villa Roccaforte sta chiuso stabilmente.

5. DA CARMINE, AI  PILASTRI.

Carmine aveva un chiosco proprio dietro uno dei grandi pilastri in tufo, a metà del corso Umberto, addossato anche alla cabina della luce. Il pilastro è stato restaurato pochi anni fa, il chiosco è stato abbattuto, la cabina della luce è stata trasformata in una specie di ufficio per informazioni turistiche che, però, è sempre chiuso. Fissato a questo pilastro, ad una altezza tale che non ci si poteva arrivare se non con una scala, c’era un telaio con i prossimamente del cinema Capitol.

Il pilastro dell’altro lato del corso continua naturalmente ad essere inglobato in un brutto palazzetto. Carmine vendeva acqua e anice, limonate, gazzose, coni e brioches con gelato, naturalmente soprattutto in estate, ed era però rinomato per le iris fritte e per i cartocci con la crema cosparsi di zucchero che vendeva tutto l’anno. La domenica da Carmine c’era una processione di gente che comprava le iris o i cartocci. Mia madre mi dava ottanta lire per un biglietto in platea al cinema; altre cinquanta me le dava per andare da Carmine, dopo il cinema, e comprare una iris o un cartoccio.

Io una volta compravo la iris, la volta successiva mangiavo il cartoccio.

Giugno 2016 Biagio Napoli

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