La solitudine del Prigioniero - da Il mercante di parole

La solitudine del Prigioniero - da Il mercante di parole

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Ascoltando la televisione non si fa altro che sentire di gente che va in carcere tutti i giorni. Ci sono gli occasionali e ci sono quelli che sembra non facciano altro. La cosa che fa più "incazzare" le persone benpensanti è che sembra che loro,
i carcerati, non facciano altro che entrare e uscire dal carcere. Come se non avessero di meglio da fare. La gente, il popolo, arriva a pensare che sia genetica, che sia la povertà, o solo quella, che sia un vezzo di umani disumani che dovrebbero essere rinchiusi (se non peggio) per tutta la vita. "Tanto se entri una volta non esci più" si dice.

La cosa che mi colpisce di questa frase è che l'ho sentita pronunciare da due tipologie
di persone solo apparentemente distinte.

Una era una signora in un caffè bene di Palermo e l'altra persona era un carcerato.

Non mi trattenni con la signora, non ne vedevo lo scopo o il motivo visto che la suddetta poteva solo riempirmi di luoghi comuni, ma rimasi a parlare con un ragazzo che era stato e ora so che sta di nuovo in galera.

Chiaramente non dirò il nome.

Metterò in prosa quello che mi disse sperando di non tradire troppo il suo pensiero.

Mi disse che quando entri in carcere e ci stai anche per poco ti sembra di entrare in un'altra realtà. Lontana da tutto e da tutti. Questo evento è molto caldeggiato dalle autorità che fanno di tutto per rendere alieni e alienati i carcerati.

Dentro il carcere vigono delle leggi ferree. Non solo quelle giuridiche ma anche interne tra carcerati e carcerati, tra carcerati e carcerieri. Leggi dalle quali nessuno può essere difeso se non da sé stesso.

Ma non sono qui per parlare di questo ma per mettere il punto su un'altra cosa.

Quando entri vorresti morire tanto è differente l'aria, tanto è differente tutto. E infatti molti muoiono, si uccidono (cosa comunque difficile perché ti costringono a vivere e così neanche la tua anima può fuggire).

Entri in una gabbia, anzi peggio, in una stanza che diventa sempre più piccola con 23 ore di niente da fare se non accettare e difenderti. E accettare di essere diventato una cosa.

Quindi se non sei riuscito ad ammazzarti (cosa che provano tutti), se non ci riesci, pian piano ti abitui, impazzendoci, anche, magari, dentro la Stanza. Ma ti abitui.

Ti abitui e pian piano la realtà si capovolge. L'esterno ti sconcerta e il carcere con tutta la sua brutalità le sue regole i suoi soprusi diventa La Realtà, la tua Casa. Si dice in gergo "ti hanno istituzionalizzato".

In piccolo lo viviamo tutti noi. Quando finiamo un ciclo di qualcosa che ci ha trattenuto in un luogo per anni o decenni (la scuola, l'ufficio). Quanti vorrebbero tornare a lavorare? Tantissimi. Perché fuori non sei niente, non c'è nessuno che ti dica cosa fare, dove andare. Sei solo con te stesso e non sei più abituato. Sei solo con un estraneo in corpo.

Il carcere è identico. Naturalmente portato al parossismo. È la realtà fuori dalla realtà.

Nel carcere quindi la realtà diventa il carcere stesso e una volta uscito rientri in un mondo che non conosci, non capisci, che ti ripudia, non meno violento del carcere, sei vuoto, senza guida, disabituato a vivere senza qualcuno che ti dice cosa fare. In
definitiva: sei solo.

Sembra assurdo ma è così. Molti appena usciti non vedono l'ora di rientrare anche se il carcere è un vero inferno. Fanno un furtarello, un piccolo spaccio e rientrano. Ma la vita di tutti i giorni, mi ha detto questo ragazzo, non è meno infernale, anzi, è forse peggio ma tinta di benessere, di ben pensare, di normalità. Quindi, continua, meglio l'inferno dove i diavoli li vedi che l'inferno dove i diavoli sono nascosti.

Ci si istituzionalizza. Ci si assuefà alle mura. Tutti siamo istituzionalizzati chi più chi meno.

Tutti ci diciamo che non possiamo fare niente infondo se nella vita c'è chi soffre e che la vita deve andare così. Siamo istituzionalizzati. E ci sembra normale stare tutta la vita dentro degli edifici (scuola, ufficio) con la scusa del dobbiamo vivere, ma in realtà la pulsione massima è entrare in qualcosa che ti identifichi che ti dia regole e ti imprigioni.

Ecco perché vi invito la prossima volta, quando vi scappa il pensiero di giudicare chi "entra ed esce dal carcere" di riuscire ad avere comprensione per queste persone che non sono diverse da noi. Ma più simili e vere di quanto noi possiamo immaginare. Con una lucidità e senso di realtà maggiore del nostro.

Buonanotte e Buonafortuna.

Luigi Fabozzi (da poco è uscito il suo nuovo romanzo)
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