Le ragioni del sì. La riforma costituzionale è necessaria e urgente - di Pino Fricano

Le ragioni del sì. La riforma costituzionale è necessaria e urgente - di Pino Fricano

Politica
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Credo che dal dibattito sul referendum, non siano emersi alcuni elementi di contesto, fondamentali per comprendere la necessità e l’urgenza di riforme istituzionali nel nostro paese.

Il primo credo sia sotto gli occhi di tutti: il quadro di riferimento è ben diverso di quello ereditato dal fascismo e dalla guerra 70 anni fa.

La globalizzazione dell’economia e delle comunicazioni, impone alla politica ed all’azione di governo accelerazioni prima impensabili, se si vuole reggere alla competizione globale occorre agire con rapidità ed aggiornando continuamente gli strumenti. Non ci possiamo più permettere tempi di decisione, concepiti in epoca quasi preindustriale, la democrazia consociativa, giocata con veti e poteri d’interdizione è un retaggio che paralizza il sistema e ci condanna al declino.

L’altro elemento è legato alla difficoltà di uscire da una crisi che ormai subiamo da un decennio, crisi che sta creando una sorta di sindrome da “vittoria mutilata”: una piccola borghesia che sta perdendo i suoi privilegi, è sempre più incazzata e disponibile ad avventure neo-autoritarie. Come sosteneva L. Violante qualche anno fa, i cittadini, di una democrazia che non funziona, che non dà risposte, che non produce risultati concreti, non hanno che farsene, se non torniamo a rimettere in carreggiata il paese in tempi brevi, finendola con le chiacchiere, c’è da aspettarsi il peggio.

Per finire penso che la globalizzazione stia dimostrando come le sfide siano di natura continentali, non reggono le frontiere e non reggono i sistemi nazionali, il terrorismo e le guerre su commissione obbligano ad un profondo ripensamento, ci vuole più Europa e più ONU. Il federalismo, sostenuto dalla spinta leghista, ha moltiplicato i centri di spesa, aumentando clientelismi e spechi, da qui la necessità di tornare a modificare il titolo quinto ed, a mio parere, mettere in discussione il fallimentare statuto siciliano.

Il modello proposto dalle riforme è, per molti versi, quello anglosassone, non credo che agli Stati Uniti o al Regno Unito possano essere imputati deficit di democrazia superiori agli altri paesi a democrazia matura, mentre è sotto gli occhi di tutti che il modello “decisionista” ha consentito a questi due paesi di uscire più in fretta e meglio degli altri dalla crisi, realizzando le migliore performance sul terreno occupazionale, che oggi mi pare la frontiera principale su cui si gioca la tenuta del sistema.

Come sostiene il giurista F. Occhetta, che si schiera per il si, su Civiltà Cattolica “La Costituzione accompagna l’evoluzione della cultura e respira del suo ossigeno. E’ per questo che intorno al testo della riforma il paese può incontrarsi su grandi domande, come ad esempio quali istituzioni consegneremo alle nuove generazioni, da dove ricominciare per rispondere alle spinte sociali che i costituenti non potevano prevedere – anche se – Dossetti era a favore del monocameralismo”

Così come è il sistema non regge più, se ci teniamo alla democrazia, alle libertà faticosamente conquistate, su questi temi occorre discutere approfonditamente, senza schemi ideologici, contestualizzando i nostri ragionamenti, osando l’innovazione e guardando con preoccupazione e senso di responsabilità ai segnali di crisi del sistema democratico che arrivano dalle recenti elezioni di tutti paesi europei.

Ormai è chiaro che:

-Se vince il Sì diminuiscono le poltrone; se vince il no restiamo con il Parlamento più numeroso e più costoso dell'Occidente.

-Se vince il Sì, per fare le leggi e votare la fiducia sarà sufficiente il voto della Camera come accade in tutte le democrazie; se vince il no continueremo con il ping-pong tra i due rami del Parlamento.

-Se vince il Sì avremo un governo ogni cinque anni; se vince il no continueremo con la media di un governo ogni tredici mesi. Se vince il Sì avremo meno poteri alle Regioni; se vince il No continueremo a avere venti burocrazie diverse per trasporti, infrastrutture, energie, promozione turistica all'estero. Se vince il Sì i consiglieri regionali non guadagneranno più dei sindaci; se vince il No continueremo con stipendi e rimborsi di oggi.

-Se vince il Sì aboliremo gli enti inutili a partire dal CNEL; se vince il No continueremo con i poltronifici. Ma davvero vogliamo mantenere tutte queste poltrone? Questo bicameralismo che non volevano nemmeno i costituenti e che furono costretti ad accettare per effetto dei veti incrociati? Questa confusione insopportabile sulla materia concorrente tra Regioni e Stato centrale che ha portato alla paralisi di cantieri, allo spreco di fondi europei, alla costante tensione istituzionale?

 

Pino Fricano Maggio 2016