Quando Don Ciccio litigò con Visconti

Quando Don Ciccio litigò con Visconti

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Francesco La Licata, giornalista palermitano che ora lavora alla “Stampa” di Torino, a un tale che gli chiedeva: “ Ma perchè mai a Bagheria nascono così tanti uomini di cultura e di sapere? "Semplice - rispose d’istinto il giornalista - perché a Bagheria si mangia bene."

 

Dalla fine degli anni cinquanta e per tutti gli anni sessanta Bagheria fu veramente polo di forte attrazione culturale e culinario.

Noi possiamo portare un piccolo ricordo personale di questa notorietà di Bagheria come luogo del mangiar bene: allorchè oltre 35 anni fa, appena assunto ebbi modo di incontrare l’amministratore delegato della mia azienda, la Schering SpA Italia, il dottor Giuseppe Vita, che sarebbe poi diventato il presidente mondiale della Schering A.G., e gli dissi che ero di Bagheria, non mi fece finire di parlare.
Mi parlò subito e con competenza di Buttitta e Guttuso; però concluse: “Quando penso a Bagheria, le prime cose che mi vengono in mente sono la trattoria di Don Ciccio e quella della ‘Zza Maria”.


I poli culinari erano appunto la trattoria di Don Ciccio e quella da Zza Maria: la prima, quella di Don Ciccio era più frequentata dai rappresentanti del potere economico, politico e della burocrazia regionale: venivano questori e prefetti, ed uno dei frequentatori più assidui era il primo presidente della Regione Giuseppe Alessi (che ora ha 104 anni) e con il quale Don Ciccio stabili una amicizia che ancora oggi si perpetua con gli eredi; l’avv. Giovanni Leone che diventerà Presidente della Repubblica, Nello Martellucci, poi sindaco di Palermo e tanti tanti altri, semplici operai e impiegati e rinomati dirigenti d’azienda.
La Zza Maria invece essendo frequentata pressocchè quotidianamente da Ignazio Buttitta, che abitava poco distante, attraeva gli uomini del potere accademico, i politici di sinistra, e dell’ “intellighentia” più in generale. .
Venivano Leonardo Sciascia, Giancarlo Paietta , Sandro Pertini, che allora era l’avvocato della madre di Salvatore Carnevale, il sindacalista ucciso dalla mafia a Sciara; venivano Lucio Lombardo Radice e Giorgio Amendola, il poeta russo Evghenj Evtuscenko, Salvatore Quasimodo e Giuseppe Ungaretti, Danilo Dolci e Carlo Levi.
In entrambi i posti si mangiava semplice, genuino, i piatti tipici della cucina siciliana, e, cosa che non guastava, a prezzi contenuti.

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A Don Santo Castronovo, che è uno dei figli, ed il più fedele erede della tradizione culinaria del mitico Don Ciccio, nei giorni scorsi è stata consegnata la chiocciola dell’ambiente, uno dei riconoscimenti più prestigiosi di Slow Food che edita il volume sul “mangiar bene”, le migliori trattorie e ristoranti d’Italia.


Noi lo abbiamo intervistato.



Dove e quando nasce l’attività di Don Ciccio?

L’esordio della nostra attività avviene nel 1942 durante la guerra a Bagheria proprio “sutta l’archi” in Corso Umberto: mio padre collaborato da mia madre gestiva una specie di taverna, dove si servivano fave “pizzicate”, qualche minestra di verdure o insalata e qualche bicchiere di vino, qualche uovo sodo; poi ci trasferimmo in Via Senatore Durante; fu nel 1947 che ci trasferimmo nel locale che si può definire storico, quello della Stazione.
Via via nel tempo mia madre, che era la vera cuoca, cominciò a preparare alcune delle ricette tipiche siciliane, la pasta con le sarde, la pasta con aglio e olio, il polpettone, gli spiedini, la pasta con il sugo ecc... All’inizio la nostra clientela era formata soprattutto da carrettieri e poi camionisti e gente di passaggio; si mangiava con poco e in poco tempo.


Che tipo era suo padre Don Ciccio?
A quanto pare aveva un carattere molto forte e volitivo, diciamolo pure sanguigno.


Sì, è vero aveva un carattere un po’ brusco nell’approccio, però rispettava l’amicizia e quanti vivevano del proprio lavoro.
Ricordo che una volta entrarono in trattoria operai che erano sporchi di fuliggine, perché trasportavano carbone: erano molto imbarazzati e chiedevano scusa del loro abbigliamento: mio padre li invitò ad accomodarsi in maniera molto calorosa: siete dei lavoratori disse e siete pertanto i benvenuti nel mio locale. Non dovete affatto chiedere scusa a nessuno per il vostro abbigliamento.

Ci racconti di qualche episodio curioso nei rapporti con la clientela.

Ricordo quando nei primi degli anni ‘60 si stava girando a Palermo e dintorni il film “il Gattopardo”; venivano spesso a cena da noi i protagonisti del film, Claudia Cardinale, Alain Delon, Burt Lancaster, Paolo Stoppa, ed altri attori della troupe.
Un giorno senza essere prenotato a pranzo arrivò il regista Luchino Visconti, che peraltro mio padre non conosceva.
Cosa desidera? gli chiese mio padre.
Mangiare, rispose sinteticamente il grande regista, e fece per avviarsi ad un tavolo e sedersi.
Scusi - lo bloccò Don Ciccio - ma lei è prenotato? No - rispose Visconti.
Mi dispiace - disse mio padre - ho tutto prenotato e non ho posti per lei e i suoi amici.
Successe un parapiglia, in cui Luchino Visconti cercò di far valere il peso del suo nome: non valse a nulla - ricorda Don Santo -che fu testimone dell’episodio; mio padre e Luchino Visconti arrivarono quasi alle mani.
Il giorno dopo a Don Ciccio telefonò Nello Martellucci (che diventerà sindaco di Palermo, n.d.r.):"Ma cosa mi combina, disse in maniera burbera e affettuosa, conoscendo il tipo, a mio padre: “ Lei caccia via dal suo locale uno dei più grandi registi italiani; ma si rende conto?"
Non era prenotato e non potevo lasciare fuori chi si era prenotato – chiarì mio padre.
Comunque il finale della storia è prevedibile: Luchino Visconti tornò la sera successiva da Don Ciccio con l’avvocato Martellucci e divenne molto amico di mio padre, al punto che quando tornava in Sicilia non perdeva mai l’occasione di venirci a trovare.

Qualche cliente speciale che frequentava il vostro locale?

Un giorno venne il console USA per preparare un banchetto con una serie di autorità italiane e americane: si raccomandò perché facessimo del nostro meglio e rimase talmente contento e impressionato che, per riconoscenza, fece avere a mio padre un passaporto diplomatico degli U.S.A., che mio padre peraltro non usò mai.
Un altro cliente particolarmente importante era il comandante della VI flotta americana dislocata nel Mediterraneo: fece avere a mio padre, dopo avere cenato da noi, una foto con dedica della nave ammiraglia della flotta.

Quale eredità le ha lasciato suo padre?

Mio padre è mancato purtroppo relativamente giovane: è morto nel 1975 a soli 62 anni.
Ci ha lasciato un nome importante, che è stato il nostro vero patrimonio;
è stato come avere una sorta carta di credito che non si esaurisce mai: e poi , e non è retorica, ci ha lasciato l’amore per il nostro lavoro.

Chi sono i vostri clienti?

Sono generalmente famiglie, gente che nell’intervallo del lavoro dedicato al pranzo vuole mangiare presto, bene e cose genuine e noi cerchiamo di accontentarli. La gran parte sono nostri clienti da anni, alcuni da decenni.
Però essendo noi citati nelle guide, talvolta vengono clienti da tutta Italia e dal mondo: mi impressionarono dei giapponesi che vennero con il taxi da Palermo, taxi che li attese sino alla fine del pranzo e gli costò un patrimonio: ma quando si alzarono dal tavolo erano felici, e non potevano credere ai loro occhi nel constatare che il conto del pasto fosse stato molto meno salato della tariffa del taxi.

Quale è il vero segreto di una buona cucina?

Io amo dire ai miei collaboratori che noi, quando cuciniamo, dobbiamo metterci sempre l’amore e la passione che metteremmo se stessimo cucinando qualcosa per noi stessi: è questo il vero segreto di una buona cucina.
E poi, la scelta di quelle che io chiamo le materie prime, vale a dire gli ingredienti.
Ancora oggi sono io ad andare dal “chianchiere” a scegliermi i tagli di carne; l’olio rigorosamente extravergine d’oliva, ce lo fornisce da oltre trenta anni lo stesso frantoiano; la caponata ce la prepariamo noi, gli ortaggi devono essere di prima scelta. Non possiamo deludere le aspettative.

Chi ci sarà dopo Don Ciccio e Don Santo?

Per intanto c’è mio figlio Francesco che porta naturalmente il nome del nonno, e spero anche che qualcuno dei miei nipoti nel futuro voglia continuare questa bella avventura.

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