La politica a Bagheria tra mafia e antimafia - di Michele Balistreri

La politica a Bagheria tra mafia e antimafia - di Michele Balistreri

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L'archiviazione dell'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa di Pino Fricano, unitamente allo scioglimento dell'esperienza amministrativa della consiliatura Valentino avvenuta nel 1999, c'induce a svolgere alcune riflessioni.

Lo scioglimento per sospette infiltrazioni mafiose dell'aprile 1999 della sindacatura Valentino si rilevò un golpe politico istituzionale, in quanto, nulla emerse riguardo a comprovate commistioni con il potere mafioso e nessun filone d'indagine giudiziaria fece seguito allo scioglimento.

Alla stessa stregua, l'indagine su Pino Fricano che prende le mosse nel 2005, dalle dichiarazioni del pentito villabatese Francesco Campanella, a proposito dell'intreccio mafia-politica sulla vicenda del centro commerciale di Villabate, si è rilevata infondata.

Fricano, in ogni modo, fu praticamente costretto nel marzo del 2006 alle dimissioni, e l'amministrazione comunale di Bagheria, rischiò lo scioglimento.

Nel frattempo, in ogni caso, si sono interrotte bruscamente le ultime due esperienze amministrative della Città, sostanzialmente, "per nulla", buttando discredito sugli amministratori e adombrando accuse infamanti e sospetti sul loro operato, sulla loro onorabilità e su quella dell'intera classe politica bagherese e anche dell'immagine della Città.

Questo ci riporta alla necessità di riflettere su quale antimafia serve a Bagheria, per avviare una selezione di classe dirigente che s'intesti un serio e strutturato processo di modernizzazione della Città.

Le due vicende citate, ci portano a sostenere che non è giustificabile, neanche in nome dello Stato, la sospensione dello stato di diritto costituzionale per combattere la mafia, altrimenti la lotta rischia di trasformarsi in "strumento di potere".

Non si può certo disconoscere che Bagheria è stata ed è terra di mafia, ed è stata soprattutto lo scenario che ha dato luogo alla madre delle vicende giudiziarie che hanno connotano l'intreccio mafia-politica ed economia in Sicilia (la vicenda di Villa Santa Teresa che ha portato alla condanna definitiva in Cassazione dell'ex presidente della Regione Siciliana Totò Cuffaro e del manager della Sanità, l'ing. Michele Aiello).

Lo strumento della legislazione antimafia degli inizi degli anni'90, (adottata come reazione alla strategia stragista della criminalità organizzata che si voleva rendere anti-Stato e contropotere), che prevedeva la possibilità della scioglimento degli organi di democrazie diretta per sospette infiltrazioni mafiose, oggi, riteniamo, si rivela inadeguato e vessatorio e non più funzionale alla rimozione delle concause sociali, culturali ed economiche che determinano l'insorgere e la diffusione del potere mafioso.

Anche perché apre delle pericolose maglie per un uso perverso della giustizia come strumento di lotta politica. Una cultura antimafia che diventa "strumento di potere" e "non ammette critiche, né dissensi" .

La vicenda bagherese c'insegna che un Sindaco ha delle indubbie convenienze a consegnarsi alla retorica anti-mafia e avvalersi dello scudo protettivo della formula legalità-sviluppo, spesso rilevatasi vuota, meramente declamatoria.

E' sufficiente ergersi a paladino di un'antimafia militante, spesso infarcita di formalismi che sottendono solamente strumentalizzazioni per l'esercizio partigiano del potere .

Così risulta conveniente dedicare parte considerevole del proprio tempo a esibizioni e a declamazioni dell'armamentario anti-mafia e non trovarne mai per occuparsi seriamente e professionalmente dei problemi del paese o della città che amministra.

Questo lo blinderà sicuramente in una botte di ferro, anche se renderà un pessimo servizio alla città e ai cittadini che amministra.

Tra rischiare di essere scaraventato nel tritacarne della macchina dei sospetti, dei veleni e del fango, operando da buon amministratore e finendo, possibilmente nel migliore dei casi, con l' essere additato, senza fondamento alcuno, come complice e connivente del sistema mafioso, si finirà, probabilmente e più comodamente a rinunciare a svolgere un ruolo di guida e d'indirizzo volto a sostenere la cultura d'impresa e le politiche di sviluppo serie e strutturate.

Le esperienze delle sindacature di Giovanni Valentino (1995-1999) di Pino Fricano (2001- 2006) e di Biagio Sciortino (2006-2011) ci consegnano questo quadro sconfortante.

Non è una questione di sottigliezze teoriche o accademiche o di fumisterie intellettualoidi, riteniamo questa, piuttosto, una vicenda cruciale e strategica, sulla quale occorrerebbe fare chiarezza.

E propriamente sulle risposte che si daranno ai temi dell'utilizzazione dell'antimafia come strumento di potere, che si giocherà il futuro politico di Bagheria e delle sue residue speranza di dotarsi di una classe politica capace, coraggiosa e disposta ad affrontare una sfida difficile e complessa.

L'auspicio è che la tormentata storia politica degli ultimi lustri di Bagheria, serva da monito e costituisca elemento di riflessione e possa tornare utile per un'opera di pacificazione civile, politica e culturale e non scoraggi soprattutto le persone libere, volenterose ed intellettualmente oneste ad adoperarsi per la soluzione dei problemi della Città.

Bagheria ed i Bagheresi soprattutto quelli appartenenti alle categorie deboli ( giovani, donne e disoccupati) attendono.

L'Antimafia, la legalità e lo sviluppo devono essere valori, principi, aspirazioni, obiettivi comuni, universali e trasversali a tutte le forze politiche e non monopolio esclusivo di qualcuno che li utilizza in maniera impropria e strumentale nella lotta politica.

 

Articolo tratto dal numero in edicola de  "L'Approfondimento"

 

 

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