Il gay e il morto - di Biagio Napoli

Il gay e il morto - di Biagio Napoli

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Mai l’alcool era stato suo compagno; ora, tuttavia, riempì un bicchiere e cominciò a bere, a piccoli sorsi.

Aveva in programma di continuare fino allo stordimento; sperava così di lenire la sua doppia sofferenza: quella dovuta al cancro per il quale i suoi giorni erano ormai contati e quella legata al tradimento di Laura, sua moglie, che gli strappava l’ultimo sostegno.

Si era appartato nello studio. Con il gomito sul tavolo e il palmo della mano a reggere la guancia, teneva con la destra il liquore che ora prendeva come una medicina.

Il punto di rottura, in una vita fino ad allora normale, c’era stato solo due mesi prima quando, ad un improvviso e tumultuoso dimagrimento, si era associata una febbricola che mai lo lasciava e la tosse, che c’era già da prima, si era fatta più intensa, continua, e gli levava il sonno. Aveva gettato via le sigarette ma il tumore, la palla che gli cresceva nel polmone, con la pleura ormai colma di liquido, il chirurgo non glielo poteva più strappare.

E allora?

Lo avevano punto svuotandogli il torace e consentendogli almeno di respirare e lo avevano mandato a fare la cobalto. Se il male fosse stato sensibile…ma non sapeva di gente sopravvissuta a un cancro ai polmoni scoperto così tardi.

Bevve un sorso. Una iniezione gli avevano prescritto. Settimanale. Il farmaco lo avrebbe tirato su.

In verità era così, ma il massimo effetto lo aveva il giorno successivo alla sua somministrazione. Quel giorno pareva infatti una persona sana, aveva fame e forza e voglia di fare. Ma queste, giorno dopo giorno, scemavano sempre di più e, alla fine della settimana, era di nuovo un malato di cent’anni. Il lunedì si sentiva un leone; gli veniva voglia di fare l’amore e pensava di poterne anche essere capace. Ma Laura si rifiutava fermamente, lei poteva benissimo farne a meno, purchè non si sforzasse; poi, quando fosse guarito…

Riempì nuovamente il bicchiere. Ora beveva con più facilità.

Il suo sguardo cominciava a perdersi sulle pareti colme dei libri che tanto aveva amato, verso la porta chiusa. Bevve ancora. Ripensò al giorno prima, a quel tale, bene informato, che gli aveva detto di Laura e di quell’altro, alla confessione della donna subito da lui affrontata. Ecco la vera spiegazione al rifiuto di fare l’amore con lui! Semplicemente non gli voleva più bene. Si commiserò: come  avrebbe fatto ora a credere, a sperare nella guarigione? Bevve. Cominciava a farsi cullare da quell’alcool che, poco a poco, pareva poter spegnere le sue ansie.

La porta, che aveva chiuso per escludere il mondo, si aprì.

Era Laura.

-Mi dispiace- disse. -Non puoi sapere quanto mi dispiace-

-Ti sei consolata prima del tempo. Bastava aspettare solo un po’-

-E’ successo prima della tua malattia. Era un momento difficile per me. Ho paura di diventare vecchia. Sto diventando vecchia. Ma dov’eri tu? Sempre al lavoro. Questo prima d’ogni altra cosa-

-Così hai pensato di ringiovanire tra le braccia di quell’altro

Andò via.

Diceva:- Se c’erano dei figli…magari se avessimo avuto qualche figlio- E diceva anche:- Mi dispiace. Volevo dirti tutto. Dopo la malattia ho cambiato idea. Non dovevi saperlo mi dispiace

Riandò ai tempi dell’università; ripensò al gruppo di cui faceva parte e all’interno del quale i rapporti erano chiari. Tanto chiari che loro erano anche capaci di scherzarci sopra. Dicevano: A ama B che ama C che ama D che ama… D uscì presto dal gruppo partendosene per un’altra città; B e C, dopo l’università, si erano sposati; A, per tutti quegli anni, era rimasto l’amico fedele di B; la sua fedeltà, alla fine, aveva evidentemente pagato se ora era l’attuale suo consolatore, perché B era Laura e C lui stesso.

D era ritornata dopo circa trent’anni; l’aveva incontrata, s’erano scambiati indirizzo e telefono. Gli era parsa disponibile. Era lunedì e si sentiva un leone; l’avrebbe cercata.


Lo ricevette in un salottino ricavato dalla chiusura di un largo balcone al 5° piano di un affollato condominio. 

Il tempo con lei non era stato clemente; guardandola bene in volto, si rendeva conto che i tre anni in più che lei aveva e che, da giovani, non significavano molto, ora si vedevano tutti.

Quelle piccole rughe, che si dipartivano a raggiera dalle commessure delle labbra, e quelle altre che, allo stesso modo, si allontanavano dal canto esterno di ambedue gli occhi, la rendevano già vecchia togliendole l’antico fascino.

Ne era consapevole? Ne aveva paura come Laura ne aveva avuto?

Ma fu lei a guardarlo con intenzione; cominciò a rivolgergli delle frasi, una dopo l’altra, senza lasciargli il tempo di parlare.

Gli disse: -Sei irriconoscibile -Mi ricordi quella poesia. Aspetta…ecco…a purpa supra l’ossa un’avi traccia…come fa poi? Ah…ci la sucau lu vermi di la fami -Fame? Ma sicuro non è questo il tuo caso -E il colore che hai mi piace così poco. Scusami se te lo dico. Pare quello di un morto. - La vita non mi è stata amica; divorziata, una figlia contro e per i fatti suoi, rigorosamente single, cioè sola; ma una cosa io credo di averla capita , magari per averla letta da qualche parte, e cioè che si può essere o meno infelici o più infelici. -E tu devi avere un problema al cui confronto i miei perdono ogni valore. Perché sei venuto da me?- Si addolcì. -Ti faccio un caffè? Vuoi qualcosa da bere?-

Le disse di preparargli un caffè; poi la sentì mentre trafficava in cucina; senza far rumore guadagnò la porta e andò via.

Che avrebbe fatto ora?

Iniziò a girovagare in macchina; pareva avesse smaltito l’alcool che aveva in corpo. Affioravano ora nella sua mente domande tormentose.

E si chiedeva quanto gli restasse da vivere, come si sarebbe ridotto, chi gli sarebbe stato vicino.

Si ritrovò al passaggio a livello oltre il quale il rettifilo portava al mare. I chioschi erano ormai chiusi. Solo i lampioni illuminavano il lungomare deserto.

Fermò la macchina, scese, andò ad affacciarsi sulla spiaggia appoggiandosi al parapetto di metallo.

La scena che si presentò ai suoi occhi era davvero strana. Tre giovani costringevano carponi un uomo nudo mentre un quarto cercava di penetrarlo con un bastone di scopa.

L’uomo nudo piangeva.

L’altro gli disse:- Era quello che volevi, no? Qualcuno che ti riempisse il culo. Per questo sei venuto a cercarci. Ora stai fermo, non ti agitare o te lo rompiamo il tuo culo delicato…fermo!-

Conosceva quell’uomo. Chi non lo conosceva? Omosessuale, lo dicevano ottimo avvocato, poeta. In quali mani era andato a finire? Scese sulla spiaggia per aiutarlo.

-Ma che fate? Cos’è questa violenza?-disse.

-Che vuole questo?-disse il giovane col bastone.

-Ma lasciatelo!-

-Perché non ti fai i cazzi tuoi?-

-Ma lasciatelo, altrimenti…-

-Altrimenti cosa?- disse il giovane e con la punta di quel bastone contro il suo petto, colpendolo ripetutamente, lo spinse fino a farlo cadere con le spalle sulla sabbia.

Sentì in bocca il sapore del sangue. Poi la bocca gli si riempì di sangue e dovette sputarlo. Ma il sangue non si fermava. Quelli scapparono via. L’uomo nudo gli si avvicinò; gli si inginocchiò accanto; lo prese tra le braccia; cominciò a piangere.

Capì che stava morendo; gli avevano detto di una possibile, copiosa, emorragia; questa era stata favorita da quei colpi ripetuti sul petto. L’uomo nudo gli chiedeva perdono; piangeva, pregava e gli diceva di perdonarlo. Non ebbe il tempo di dirgli che non aveva nulla da perdonargli, anzi! Un atto di violenza a cui aveva cercato di opporsi aveva paradossalmente risolto i suoi problemi.

Con la sua morte. Anticipandola.

Biagio Napoli  gennaio 2015