Il ferroviere di Bagheria e il delitto Notarbartolo - di Biagio Napoli (Seconda Parte)

Il ferroviere di Bagheria e il delitto Notarbartolo - di Biagio Napoli (Seconda Parte)

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IL  PROCESSO, FINALMENTE!

Un fatto nuovo aveva portato alla riapertura dell’istruttoria.

Nell’estate 1896 fu scoperta a Venezia un’associazione di falsi monetari, quasi tutti siciliani. Risultò provato che costoro ricevevano biglietti falsi da Fontana, e costui fu tratto in arresto con la rimanente comitiva”. Fu allora messa attorno ai falsari “una triste figura di galeotto spia; certo Bartolani, condannato alla reclusione per falsi in cambiali”. Potè in questo modo riuscire a sapere “che Fontana era quel mafioso celebre per l’assassinio di Notarbartolo; e tramutare queste parole in una denunzia. Si trovò modo di far dire al Bartolani qualche parola anche su Carollo e Garufi”(9) .

Giuseppe Carollo, alcuni giorni dopo l’incontro con Raffaele Palizzolo nella casa di quest’ultimo, venne, come temeva, nuovamente arrestato; in carcere v’andò anche Pancrazio Garufi ma, Giuseppe Fontana, la cui incriminazione avrebbe permesso di tirare dentro l’onorevole, venne prosciolto (10) .

 Infatti, riconosciuto dentro la sua cella dell’Ucciardone dal capostazione di Termini come colui che si trovava nello scompartimento del commendatore la sera del delitto, quando si trattò di confermare quel riconoscimento davanti al giudice istruttore, ma lo aveva fatto davanti al questore, l’uomo non ne ebbe l’animo. La paura lo portò a mentire. Ritrattò. Quel giudice non andò a fondo, non mise a confronto questore e testimone, ma il processo, stavolta, non poteva non farsi, come era avvenuto dopo la prima istruttoria, sarebbe stato vergognoso. Lo si sarebbe fatto ma Palizzolo, in quella faccenda, non c’entrava, i ferrovieri, invece, quelli sì, erano loro che bisognava portare in aula. I capri espiatori. Il primo processo, dopo ben sei anni dall’assassinio, fu comunque trasferito a Milano per legittima suspicione.

ALLE  ASSISE  DI  MILANO

11 novembre 1899. Si apre il processo nel capoluogo lombardo a Giuseppe Carollo e Pancrazio Garufi accusati dell’assassinio del commendatore Notarbartolo.

17 novembre 1899. Sale sul banco dei testimoni Leopoldo Notarbartolo, figlio dell’ucciso. Futuro ammiraglio della marina italiana, ora giovane (ha ventotto anni ) tenente di vascello. In un processo a due oscuri ferrovieri, egli afferma:“ Signor presidente, io sono convinto che la causa dell’uccisione di mio padre fu la sua energica condotta nel banco di Sicilia contro la corruzione dilagante. I mandanti dovevano essere ricercati tra gli oppositori principali. Tra questi, poi, colui che sollevò in noi maggiori sospetti fu Raffaele Palizzolo. Io ritengo che l’autore materiale sia stato Giuseppe Fontana (11).

A questa dichiarazione aggiunge poi di avere più volte manifestato le sue convinzioni all’autorità giudiziaria di Palermo senza che questa, per paura, ne avesse mai tenuto conto.

5 dicembre 1899. I due ferrovieri si trovano dentro la gabbia degli imputati nell’aula della Corte d’Assise. Giuseppe Carollo, in piedi, aggrappato alle sbarre, “ aveva l'’aspetto di un uomo malato; era dimagrito, la pelle del viso da olivastra gli si era fatta verdognola e anche gli occhi erano lucidi per la febbre, anche le labbra avevano perso quasi completamente il loro colore”. Con una voce “che sembrava già venire dall’oltretomba, tanto era afona e rauca”, si rivolse al presidente affermando di avere una dichiarazione importantissima da fare. Disse: “Io sono innocente come Gesù Cristo!” E poi: che giustizia era quella che lo teneva in prigione? Di cosa era colpevole? Perché avvocati, poliziotti, giudici stavano a perseguitarlo? Tardi si sarebbero pentiti quando, lui morto, non avrebbe potuto più perdonarli.

E ancora: in quale posto lo avevano portato? Dov’era? I giornalisti ? li guardò stupefatto, come se fino a quel momento non avesse mai visto degli esseri con due gambe e due braccia, vestiti con cappotti di lana”.

La malattia e la febbre dunque lo disorientavano e “quasi tutti i presenti nell’aula, ormai, ridevano apertamente” e ci furono anche degli applausi ,“alcuni chiesero di potere riascoltare l’intero monologo ( “Bis! Bis!”)”; ma Giuseppe Carollo, dopo aver minacciato lacrime da versare ad espiazione del sangue del giusto, del sangue suo, anche per i figli di chi lo giudicava, si segnò e si voltò verso il muro (12).

Dunque una farsa se non fosse stata invece la tragedia di un uomo che, a soli quarantadue anni, di lì a poco, sarebbe morto di cirrosi. La testimonianza di Leopoldo Notarbartolo era stata una bomba e aveva messo in luce che quel ferroviere, per quanto in odore di mafia, non era certo un mafioso di livello. Di lui che, per non fare l’infame, si era accollato anni di carcere, e che in carcere ci stava anche per morire, la gente di Milano stentando a capirlo poteva pure ridere, quell’uomo poteva essere sbeffeggiato come un giullare qualsiasi.

INTOCCABILI  IN  CARCERE

La Camera, l’8 dicembre, vota l’autorizzazione a procedere contro Raffaele Palizzolo. Quel giorno il ministro degli interni e capo del governo Luigi Pelloux fa sospendere le comunicazioni telegrafiche con la Sicilia. L’onorevole non deve essere avvertito. La sera stessa verrà prelevato quando già è a letto. “Lo condussero alle carceri dell’Ucciardone, dove venne matricolato e chiuso (12)  nella cella numero sette , del nono raggio, dove una volta era stato chiuso Nicolò Barbato” (13).

Meno semplice fu l’arresto di Giuseppe Fontana. Dopo l’assassinio del commendatore Notarbartolo la considerazione nei suoi confronti era aumentata ed egli era diventato l’uomo che proteggeva le proprietà di una delle casate più ricche di Palermo.

Quando a Milano le acque cominciarono ad intorbidarsi, il mafioso scomparve. Dov’era? Si diceva che si fosse nascosto addirittura nel sontuoso palazzo di città di Pietro Seggio, principe di Mirto e deputato al parlamento per il collegio di Monreale. Vero o falso che fosse, sta di fatto che il Fontana si consegnò immediatamente dopo che al principe si ventilò l’ipotesi d’un’accusa per favoreggiamento. A distanza di cinque giorni dall’arresto di Raffaele Palizzolo, alle diciotto di mercoledì tredici dicembre, “Fontana Giuseppe di Vincenzo, incensurato, entra finalmente in carcere nella carrozza a due cavalli del principe di Mirto, famosa per i cocchieri dalle tube con le fasce d’oro che, però, nell’occasione portavano il cappello duro. Il presunto sicario viene rinchiuso nel nono raggio, dipartimento detenuti civili, tre celle avanti quella che ospita il presunto mandante” (14). In carcere c’erano ora i complici, il killer, il mandante.

INTERVIENE  IL  PICCOLO  RE.

11 gennaio 1900. Il processo di Milano, per dare luogo alla nuova istruttoria a Palermo, viene rinviato. Ma il procuratore generale, Vincenzo Cosenza, quello stesso che a Milano aveva mandato solo i ferrovieri, un palizzoliano di ferro, intendeva insabbiare ogni cosa e chiudere l’istruttoria così come era già avvenuto nel 1895, senza cioè un processo. Non fece i conti col battagliero Leopoldo Notarbartolo né con Giuseppe Marchesano, il suo avvocato; i due, per arrivare fino al re d’Italia, misero in mezzo il principe di Camporeale, allora sindaco di Palermo.

Era l’autunno del 1900. Umberto I era morto sotto i colpi di Gaetano Bresci e Vittorio Emanuele III era salito al trono. Amava stare a Napoli e ricevette il sindaco in udienza nel Palazzo reale di Capodimonte. Lo ascoltò. Lo mandò a Roma dal guardasigilli che eserciterà forti pressioni sul procuratore generale le cui “resistenze rischiano di configurare un conflitto tra potere esecutivo e quello giudiziario, soprattutto allorchè il procuratore avoca a sé la requisitoria non fidandosi della sezione d’accusa, colpevolista. Alla fine Cosenza deve rinviare Palizzolo e Fontana a giudizio ma con motivazioni tali da costituire una sorta di arringa in loro favore” (15).

 

GIUSTIZIA  E'  FATTA ?

Il nuovo processo si celebrerà a Bologna e avrà inizio il 9 settembre del 1901. Nonostante il procuratore generale, Raffaele Palizzolo riconosciuto colpevole come mandante fu condannato a trent’anni; anche Giuseppe Fontana, assassino, ebbe trent’anni. Patrizio Garufi fu prosciolto. Quando il processo si chiuse, il 30 luglio 1902, a conclusione di 195 udienze, Giuseppe Carollo era già morto. Sarebbe stato prosciolto anche lui? Una cosa è certa e cioè che Giuseppe Marchesano, nella sua arringa, fu particolarmente duro nei confronti del ferroviere di Bagheria.

Egli infatti, evocando un ritratto di Giuseppe Carollo sempre più inquietante, dice tra l’altro: “Signori giurati! Il povero Carollo è morto, e solo perciò noi lo chiamiamo il povero Carollo!"

"Parce sepulto! E ci duole di dovere, per quanto brevemente, parlare di un morto. Ma il nostro dovere ha necessità imprescindibili...Carollo persistette sempre a negare, e anche quando è sull’orlo della tomba e si avvicina al suo ultimo giorno egli continua ad escludere di avere partecipato al delitto, di averne conosciuto gli autori...Quando egli rese il suo ultimo interrogatorio, Palizzolo e Fontana erano già imputati e gemevano nello stesso carcere in cui Carollo moriva.

Ora se Carollo, che sapeva, avesse saputo cose che potessero discriminare questi due, quale responsabilità non si addossava egli, tacendo, dinanzi a quel dio a cui credeva di dovere comparire in cospetto?...Se quei due sono rei il suo silenzio si spiega. Il suo passato, l’ambiente in cui era vissuto, l’omertà che è legge d’onore per questa gente, lo spiegano benissimo. Ma se dal suo silenzio poteva nascere la condanna di due innocenti, allora sì che questo silenzio diventa inesplicabile...Carollo che tace , essendo i due rei, è grave; Carollo che tace essendo in prigione due innocenti è enorme, è antiumano, è assurdo!” (16)

 

Non c’è dubbio che Giuseppe Marchesano, con la sua arringa appassionata e lunghissima ( durò quattro giorni ) che Leopoldo Notarbartolo fece stampare ( 675 pagine ) , sia stato il principale artefice delle condanne degli imputati più importanti. E infatti “dopo il processo di Bologna, fu mandato uno spadaccino a provocarlo. Marchesano lo sfidò; accettò l’arma che quello volle, la spada, e gli passò il braccio da parte a parte” (17).

LA  CASSAZIONE.

9 agosto 1902. Nasce a Palermo un comitato innocentista, e poiché l’innocenza di Raffaele Palizzolo sarebbe equivalsa al riscatto dell’isola offesa, prende il nome di “Comitato pro Sicilia”. Si batterà, con manifestazioni pubbliche e campagne di stampa, per la revisione del processo di

Bologna. Inoltre “fu indetto un comizio, ove apertamente fu proclamato che sulla testa dei magistrati di cassazione pendesse la spada di Damocle dell’ira della Sicilia” (18). E la cassazione, il 27 gennaio del 1903, dopo un dibattimento di due giorni, annullerà il processo di Bologna. Cosa trovò che in quel processo non andava? Ce lo racconta, ancora una volta, il figlio del commendatore assassinato.Augusto Bartolani, galeotto a Napoli dove sconta diciotto anni di carcere per falso in cambiali, che con la sua delazione per niente disinteressata (gli sono state promesse quarantamila lire e una riduzione della pena ) ha permesso, a suo tempo, la riapertura dell’istruttoria, viene chiamato a testimoniare a Bologna per la parte civile. Giura ma la difesa sostiene che, essendo egli privo dei diritti civili, non possa farlo; questo solo fatto peraltro può costituire motivo addirittura per l’annullamento del processo. Non si ascolti dunque il testimone. Augusto Bartolani viene mandato via. Il presidente del tribunale non è tuttavia completamente persuaso. Pare che questa storia di diritti civili e di giuramenti non si trovi nel codice vigente ma in quello passato e che il processo può rischiare di essere annullato invece per non avere sentito un testimone regolarmente chiamato a deporre. Augusto Bartolani viene richiamato, viene fatto deporre, non viene fatto giurare. Ma il giuramento reso la settimana precedente non basta. La cassazione può così invalidare 195 udienze e undici mesi di dibattimento (19).

Il nuovo processo si svolse poi a Firenze a partire dal 5 settembre 1903; seguì una assoluzione generale per insufficienza di prove e il caso Notarbartolo fu chiuso il 23 luglio 1904 .

SI  RIVEDONO  IN  AMERICA.

8 giugno 1908. All’imbrunire entra nel porto di NewYork, ai Bush Docks di Brooklin, il piroscafo che imbarca don Raffaele Palizzolo.

E’ andato in America per una serie di conferenze educative alla ricerca di popolarità fra i siciliani d’America da utilizzare poi al ritorno in Italia. Tra i suoi scopi anche quello di distribuire “un libello che, ad imitazione del Pellico, aveva intitolato Le mie prigioni”.

L’oggetto di quel libro, ovviamente, era il caso Notarbartolo. E a NewYork, ad accoglierlo al suo arrivo, non c’è anche Giuseppe Fontana? L’ex capomafia di Villabate è venuto clandestinamente in America utilizzando “mezzi e protezioni che facevano capo a don Vito Cascio Ferro”, è entrato a far parte della organizzazione che costui aveva creato, La mano nera, ne è divenuto uno dei capi (20).

19 Notarbartolo, op. cit., pp. 378-379. La notizia del rinvio della causa ad altra Corte d’Assise verrà data a Raffaele Palizzolo nel carcere di Regina Coeli dall’avvocato Francesco Aguglia che sarà uno dei suoi difensori nel nuovo processo. Penalista di grido e già deputato, dalla XXII alla XXIV legislatura ( 1904-1919 ) l’Aguglia, pur non essendo bagherese ( e neppure siciliano ), sarà eletto nel collegio di Termini Imerese con i voti di Bagheria sconfiggendo il massone Giuseppe Scialabba, suo storico competitore

Poiché l’onorevole, negli States, ci sarebbe rimasto due mesi, i due avrebbero avuto tempo abbastanza per rinnovare la vecchia conoscenza.

A suo tempo, tuttavia, i protagonisti di quell’affare maledetto negarono di conoscersi. Non si conoscevano Carollo e Palizzolo. Cosa era venuto a raccontare quel Costanzo, quel farmacista?

E non si conoscevano Carollo e Fontana. O si? “Carollo era cucito a filo doppio alla mafia di Villabate...Fontana aveva dei rapporti intimi a Brancaccio. Egli stesso ha detto che la famiglia di sua moglie abitava a Brancaccio! Ora si sa che cosa sono questi sobborghi. Sono due file di case lungo i lati di una unica strada. Coloro quindi che vi abitano e li frequentano si conoscono tutti. ... Feci metter fuori le fedi di nascita dei figli di Fontana... mi accorsi... che tre di queste fedi...le quali si riferiscono a tre battesimi avvenuti nel ’79, nell’ ’81 e nell’ ’83, sono tutte tre della parrocchia di San Gaetano detta di Brancaccio. Dunque tre figli di Fontana dal 1879 al 1883 furono battezzati a Brancaccio, e questo vuol dire che egli in quell’epoca abitava sotto la parrocchia di Brancaccio, perchè il battesimo si amministra nella chiesa parrocchiale del luogo di nascita! Ecco pertanto venuta così, spontaneamente, la prova che nell’epoca in cui Carollo abitava a Brancaccio anche Fontana abitò per anni nella stessa parrocchia” (21).

Biagio Napoli

NOTE

8 Vassalli, op. cit., pp. 80-83.
9 Notarbartolo, op. cit., p. 335.

10 La situazione era infatti ancora una volta favorevole a Raffaele Palizzolo che, sempre dalla parte di chi governava, dopo Adua e la caduta di Crispi, era diventato uno dei più forti sostenitori della destra del Di Rudinì e del governo di quest’ultimo. Pare che Leopoldo Notarbartolo, che aveva riposto molte speranze sul nuovo capo del governo, antico amico del padre assassinato, si sia reso conto che il Di Rudinì non avrebbe fatto nulla quando quest’ultimo
gli suggerì di fare uccidere il Palizzolo se davvero era convinto della sua colpevolezza.

11 Corriere della Sera, a. XXIV, n. 316, Milano, venerdì-sabato 17-18 novembre 1899, in Giuseppe Carlo Marino, I Padrini, Newton Compton, Roma 2009, pp.131-132.

12 Vassalli, op. cit., pp. 106-108

13 Valera, op. cit., p. 325
14 Gigi Speroni, Il delitto Notarbartolo, Rusconi, Milano 1993, p. 130.

15 Salvatore Lupo, Storia della mafia, Donzelli Editore, Roma 2004, p. 130.

16 Giuseppe Marchesano, Processo contro Raffaele Palizzolo e C., Arringa, Tipografia Calogero Sciarrino, Palermo 1902, pp. 24-28.
17 Notarbartolo, op. cit., p. 364.

18 Notarbartolo, op. cit., p. 390.

19 Notarbartolo, op. cit., pp. 378-379. La notizia del rinvio della causa ad altra Corte d’Assise verrà data a Raffaele Palizzolo nel carcere di Regina Coeli dall’avvocato Francesco Aguglia che sarà uno dei suoi difensori nel nuovo processo. Penalista di grido e già deputato, dalla XXII alla XXIV legislatura ( 1904-1919 ) l’Aguglia, pur non essendo bagherese (e neppure siciliano), sarà eletto nel collegio di Termini Imerese con i voti di Bagheria sconfiggendo il massone Giuseppe Scialabba, suo storico competitore

20 Marino, op. cit., pp. 121-123 e pp. 136-137.
21Marchesano, op. cit. p.522-524.

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