C'è poco da stare allegri: noi baarioti un popolo di masochisti- di Ezio Pagano

C'è poco da stare allegri: noi baarioti un popolo di masochisti- di Ezio Pagano

cultura
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Combino arte e politica e dichiaro la mia appartenenza al popolo dei masochisti.

È ormai consuetudine fare riferimento a gruppi e movimenti per accreditare un artista: per Boccioni si ricorre al Futurismo, per Guttuso a Corrente, per Accardi a Forma 1, e così via; come se l’importanza di un artista potesse dipendere da questa o quell’altra sigla, mentre quasi mai si parla della loro opera con riferimento all’autenticità dell’atto creativo o del periodo storico, piuttosto che della poetica o ancora, della profondità di pensiero se l’opera attiene alla sfera del concettuale. Un’anomalia che riscontro anche nella politica locale. Quando si parla di amministratori comunali, infatti, si dice di loro a quale corrente appartengono, quali maggioranze determinano, o quali minoranze rafforzano, piuttosto che evidenziare le loro qualità e competenze. L’altro giorno, al “Bar Don Gino”, ascoltando involontariamente la conversazione tra due “politologi” della domenica, ho addirittura sentito uno di loro sostenere nei confronti del sindaco: “Almeno è giovane e simpatico”. Ovviamente condivido questa definizione ma la trovo, oltre che poca cosa, nient’altro che discorso da caffè, assolutamente insufficiente per immaginare il cambiamento dello status quo, se non si voglia realmente considerare lo sfincione la nuova “via della seta”.

Torno a parlare d’arte per dire come quella astratta ai più appare incomprensibile o, peggio, relegata a un genere d’arte senza significato. Il fruitore dell’era digitale, infatti, essendo privo della virtù della lentezza, è condannato alla non conoscenza e mai riuscirà a leggere un’opera astratta. Allo stesso modo se gli chiedessimo di commentare una poesia come “Ed è subito sera” di Salvatore Quasimodo o “M’illumino d’immenso” di Giuseppe Ungaretti non farebbe altro che annaspare; ciò pur essendo insostenibile che nelle poesie di Quasimodo e Ungaretti non ci sia significato. Un fenomeno di degrado socio-culturale acuito dalla mancanza di un vero “Circolo di Cultura”, dalla mancanza di un “Cine Club” attivo o dalla mancata messa a regime del “Museo Guttuso”, per citare solo alcune delle principali criticità. Certo non è una pandemia poiché c’è ancora qualcuno che calibra le parole quando parla e si emoziona di fronte ad un’opera d’arte, pur consapevole di appartenere a una minoranza di chi pensa motu proprio avendo rifiutato l’adozione del “pensiero omologato dell’era digitale”.

Come si vede gli argomenti sono penosi, quindi per le pari opportunità racconto un frammento di vita positivo: Dovevamo incontrarci con Maurizio e non riuscivamo a farlo a causa dei reciproci impegni. Dopo diversi rinvii una domenica mattina, ritenendo fosse quella buona per vederci, gli telefonai e mi rispose che non era possibile perché si trovava al mercatino di Piazza Marina a Palermo alla ricerca di qualche rara chicca libraria. Al mio tentativo di spostare l’incontro nel pomeriggio rispose ancora che si sarebbe trovato a Villafrati a una conferenza del linguista Giovanni Ruffino. A questo punto ho evitato di tentare per il dopo cena, immaginando che a lui sarebbe venuta subito voglia di sbirciare l’antica brochure con il prezioso scritto di Leonardo Sciascia trovata a “les Pêcheurs de la Lune”, il modo migliore per finire una giornata col suggello di una grande emozione.

Ezio Pagano

Immagine di copertina Salvatore Quasimodo, particolare di un dipinto di Bruno Cassinari, 1948