La doppia vita dell’opera d’arte - di Ezio Pagano

La doppia vita dell’opera d’arte - di Ezio Pagano

cultura
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“Penso Monna Lisa di Leonardo / immenso assoluto sguardo,
ammiro Guernica di Picasso / libertà che non arretra un passo”.

Ho voluto iniziare questa mia riflessione sull’arte con un attacco poetico per creare l’aura al messaggio, sperando che il contenuto serio dell’argomento venga recepito come tale e quindi condiviso.

Riflettendo sulla vita delle opere di ”arte visuale”, assimilandole alla musica colta e persino alla poesia di Dante, sono passato dal percorso evolutivo di alcuni aspetti intellettuali al mercato dell’arte con una esemplificazione che vede le collezioni protagoniste della Storia.
Infatti, senza i contributi sugli aspetti della cultura le Società civili si avviano ad un nuovo imbarbarimento, ostacolando quel modello che per millenni ha preferito la cultura umanistica a quella scientifica.
Ed eccomi al cuore della riflessione: Le opere d’arte hanno due vite, la prima quella con l’autore in vita, l’altra quella dopo l’emigrazione dell’autore nella Casa del Padre. Non c’è nulla di strano in questo tipo di emigrazione, si tratta infatti di un percorso riservato a tutti i viventi e non solo agli artisti.
Quando un’artista realizza un’opera d’arte, per diverse motivazioni l’opera segue un percorso, e più l’opera è interessante più la sua vita sarà movimentata attraverso prestiti a curatori di mostre, direttori di musei, pubblicazioni, ecc. Nel frattempo le quotazioni dell’opera lievitano, fino a raggiungere, a volte, cifre alte, grazie al calcolo fatto con l’algoritmo della finanza speculativa voluta dal gallerista; questo iter appartiene alla prima vita!
Invece, dopo la dipartita dell’artista l’opera vive autonomamente la sua seconda vita, ovvero quella che la vorrà protagonista nel lungo tempo, oppure che inizia a spegnersi sino a cessare la propria vita, in tempi brevi.
Questa volta la permanenza delle opere nel mercato dipenderà dalla reale utilità che le opere hanno per l’umanità, e questa volta il valore economico sarà determinato dal reale valore culturale. Non ci sarà più la filiera dei mercanti d’arte a tenere banco, perché una volta cessata la produzione, cesserà anche l’interesse del mercante.
Ovviamente dopo questa riflessione sorge spontanea la domanda: quando si compra un’opera d’arte, si fa sempre questo ragionamento? o basta l’effimera gratificazione generata dalla macchina del mercato e l’illusione di lasciare agli eredi “tesori”, quando invece si tratta di croste senza alcun valore?

 La foto: Luca Maria Patella, “… oh, si … che vuoi che ti dica.” (collezione Museum-Bagheria)

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